– di Assunta Urbano.
Foto Riccardo Piccirillo –
Siamo nei mesi più caldi di questo 2020 molto strano. E in qualche modo inconsueto stiamo riprendendo alcune nostre abitudini. Come noi, il panorama musicale – per fortuna – non si è fermato. Dopo i dischi e i singoli pubblicati nei mesi di lockdown, siamo tornati ad assistere ad una sorta di live, con pochi abbracci, ma tanta musica. E qualcosa, sia dei nuovi brani, che dei concerti, ne sa Blindur.
Massimo De Vita porta avanti il progetto, dal 2014 al 2018, sotto forma di power duo, insieme a Michelangelo Bencivenga.
In quel 2018 Blindur diventa da un lato una sola anima pulsante, con il musicista che registra in solitaria il secondo disco. Dall’altro si trasforma in una vera e propria famiglia composta da lui stesso, unito a Carla Grimaldi, Jonathan Maurano, Luca Stefanelli e ancora una volta Michelangelo Bencivenga. Senza dimenticare le persone che gravitano intorno a questo lavoro.
Il suono tipicamente folk, misto al rock alternativo e al cantautorato italiano tradizionale, guadagna sempre più consensi da parte del pubblico e della critica. Nel corso di sei anni di viaggio, tantissimi sono i palchi calcati in giro per il mondo, ma alcune esibizioni diventano più incisive di altre. L’esempio più calzante è quello che vede le canzoni passare attraverso le carceri italiane, grazie al laboratorio Gli Ultimi Saranno.
Dal canto discografico, grazie a La Tempesta Dischi sono uscite opere molto interessanti dei Blindur. Precisamente l’album omonimo nel 2017 e A nel 2019. Il 3 luglio, invece, è stato pubblicato 3000remiX, EP che contiene sette versioni differenti dello stesso brano 3000X, inserito nel disco dello scorso anno.
Nonostante il difficile periodo che stiamo attraversando, il 2020 non è del tutto da cancellare. Anche se i nostri cari hanno dovuto rinunciare ad alcuni sogni nel cassetto, a breve riprenderanno ad esibirsi dal vivo. Tra le date, c’è anche quella di Musicultura in cui sono tra gli otto vincitori.
Per farci raccontare tutte queste novità scoppiettanti abbiamo scambiato quattro chiacchiere – forse anche otto – con Massimo De Vita.
Il 29 agosto si concluderà la XXXI edizione di Musicultura, con le ultime due serate all’Arena Sferisterio di Macerata, e, soprattutto, con Blindur tra gli otto vincitori. Raccontaci come hai vissuto questa esperienza, anche paragonandola a quella del 2016, che ti ha visto tra i sedici finalisti.
Musicultura è sempre un discorso particolare. A questa edizione qui, ci siamo iscritti senza pretese o aspettative. Onestamente non ero nemmeno sicuro che ci avrebbero selezionato per la prima fase. Fino a quattro anni fa eravamo più proiettati nella dimensione dei concorsi musicali, che sono stati fondamentali per darci il via, sia dal punto di vista relazionale, sia dall’aspetto economico, dato che ci hanno permesso di realizzare il primo disco.
Quando ci siamo iscritti nel 2016 eravamo ancora solo un duo ed eravamo piuttosto turbolenti e molesti. Il nostro arrivo in un posto si avvertiva abbastanza chiaramente. Quella esperienza l’abbiamo vissuta in modo serio, con impegno ed attenzione, nonostante fossimo dei tipi molto punk-rock, più di quanto lo siamo ora. Stavolta, invece, ci siamo approcciati alla cosa con uno spirito diverso. Poi, eravamo con la band. In qualche modo anche l’idea di portare gli altri musicisti lì ci ha particolarmente motivato.
La cosa più divertente è stata che l’audizione per Musicultura l’abbiamo fatta il 29 febbraio ed è stata la nostra ultima esibizione dal vivo. Tra l’altro, anche quel live si svolse a porte chiuse.
Insomma, ce l’abbiamo fatta, è stato bello, ci siamo divertiti molto, ma si, si è sentita la mancanza del pubblico. In più, io ero molto carico grazie al tour che mi stava portando in giro da un paio di mesi.
Dopo quell’esperienza, sai, è arrivato il lockdown. È stato un po’ un disastro, perché abbiamo perso più di venti date in Italia, più un tour su cui stavamo lavorando da mesi, che ci avrebbe portato negli Stati Uniti. Quello è stato difficile da digerire. La notizia di Musicultura ci ha risollevato tanto il morale, pur non sapendo ancora quando si sarebbe svolta.
Quindi, la cosa veramente assurda è stata che la prima esibizione dal vivo dopo la reclusione sarà la stessa con cui ci eravamo salutati. In qualche modo questa competizione ha unito due punti. Per questo agosto, in cui ci andremo a giocare la finale, siamo super gasati. Non sapevamo se organizzare o meno un tour in questo periodo, ma questa conquista ci ha dato voglia di mettere su progetti.
Siamo già felici così, ma magari speriamo di riuscire ad arrivare anche sul podio.
Certo, ve la giocherete di sicuro bene questa carta.
In ogni caso, non si può dire di certo che in questo 2020 il progetto Blindur si sia fermato. Il 3 luglio avete pubblicato il nuovo EP 3000remiX, un’opera contenente sette versioni inedite e remixate dello stesso brano 3000X, inserito nel disco A (pubblicato il 19 aprile 2019). Parlaci di questa idea e di come ha avuto origine.
Questa idea è nata molto prima dell’isolamento. Avevamo in conto di pubblicare questo remix a maggio e ci stavamo organizzando per portarlo in giro. Avevamo pensato di fare questo concerto misto a djset, volevamo inventarci una cosa nuova. Blindur ha un po’ questa caratteristica, sia come progetto, sia come mio alterego. Ecco, io sono sempre alla ricerca di novità. Voglio cambiare e trasformarmi quanto più possibile. Non mi piace pensare che Blindur abbia un’identità cristallizzata, che fa “solo quella cosa”. Forse è tutto collegato ad una deformazione professionale, dato che io sono anche produttore, oppure è perché sono un affamato di musica. Non mi accontento mai, ho bisogno sempre di suoni diversi.
3000remiX rappresenta perfettamente questa mia visione. Quando lo scorso anno è uscito A, 3000X non è diventato un singolo, sebbene io fossi molto legato a quella canzone. È molto distante da quello che era l’intero lavoro per tanti motivi: la sua scrittura, l’aspetto musicale. È un pezzo da una parte molto rock, dall’altra molto afro. Blindur ha sempre avuto delle atmosfere più nordiche, direi scandinave. Questa volta si parla di un brano che ha proprio il sapore di sabbia. Il testo, poi, non è per nulla narrativo. Un dettaglio che lo rende sicuramente diverso dalle precedenti canzoni. Mi sono sentito legato a quella canzone perché sentivo avesse qualcosa di speciale. Ci sono dentro molti tasselli personali, abbastanza profondi, ben celati tra le righe del testo, ovviamente. Soprattutto dal vivo, credo abbia dimostrato la sua potenza. Durante il tour, infatti, abbiamo legato a 3000X una lunghissima parte strumentale, un po’ anni Settanta, un po’ psichedelica. Ci abbiamo messo dentro tante cose.
In un certo senso, mi sembrava giusto tutto questo percorso.
È molto interessante che una canzone, mai diventata singolo, abbia dato il via ad un ulteriore progetto.
Sì, secondo me ha un enorme potenziale. Il suo essere visionario, onirico, regala alla canzone un lato magico e lo rende una sorta di rituale. In questo senso, l’ho visto come un qualcosa di molto vicino alla felicità. Per essere certi che quella mia visione non era solo mia, abbiamo deciso di mandarla in pasto ad una serie di dj, per vedere cosa se ne poteva tirare fuori. Il tutto con una provocazione: farla diventare un classico pezzo da rave. I primi due remix hanno centrato subito questa atmosfera. Così abbiamo iniziato a mandare le tracce a vari amici e persone che ci hanno accompagnato in questi anni. Ed è nata questa follia totale. Eravamo arrivati a sei, ma sapevamo di dover raggiungere il sette, il numero magico. Proprio la settima ha in un certo senso giustificato il rallentamento dell’uscita, dato che è venuta fuori tardi rispetto alle altre.
La simbologia dei numeri ritorna in tutto l’EP, con la presenza dei due numeri religiosamente “perfetti”, il 3 ed il 7. Forse è una mia interpretazione.
No, è proprio così! Non dimentichiamoci che in mezzo c’è anche un simbolo per me importantissimo, la X. Una sorta di croce capovolta, una cosa strana. Da una parte è la firma di chi non sa scrivere il proprio nome, dall’altra è l’incognita. Ecco, è proprio l’ignoto. Anche quello è un valore molto importante. Infatti, il tour si chiama X Tour, un po’ perché ci è sembrato di portarci dietro come amuleto il simbolo dell’incognita per eccellenza. È molto in linea anche con il momento che stiamo vivendo, dato che non sappiamo cosa succederà. Tutto sarà diverso, questo è certo. Le esperienze che faremo. Sarà molto difficile conoscere nuove persone. Diciamo che ci sono una serie di convergenze.
Negli ultimi anni Blindur fa dei simboli, a partire già da A dello scorso anno, il suo mantra.
Tornando a 3000remiX, si ha la sensazione che le canzoni in questione non siano la stessa base di partenza, è un aspetto che volevi trasmettere? E c’è una delle versioni che senti più “tua”?
È assolutamente vero, un po’ sembra che tutte le versioni abbiano un’anima propria. La cosa più bella è che non mi è apparso si trattasse di una mia canzone. Una sensazione unica. Diventi ascoltatore di te stesso. Un risultato del genere non può che essere merito di tutte le persone che hanno collaborato al progetto. Sono stati tutti bravissimi, per essere stati in grado di trasformare uno spirito primitivo in un qualcos’altro. Per farti un esempio banale, i ragazzi de Il Mago, il duo toscano, hanno stravolto il brano originario, spezzettando e ricomponendo l’intero materiale. Sono cambiati proprio gli accordi della canzone. Così come anche la versione di Indigo, questi due ragazzi palermitani. È una roba che ricorda Stranger Things, con un gusto tra gli anni Ottanta e Nicolas Jaar.
Poi, ovviamente, non ti dirò mai quella che preferisco. [ride ndr.]
L’unica cosa che posso dirti è che, secondo me, ce ne sono alcune più Blindur di altre. Nel senso che se mi fossi trovato a fare quel tipo di lavoro, l’avrei fatto allo stesso modo.
È stata veramente un’impresa decidere un solo brano per il videoclip. Alla fine abbiamo scelto, di comune accordo tra noi e l’etichetta, la traccia numero uno, con Marco Messina.
Onestamente quando mi è venuta quest’idea iniziale ho pensato fosse una follia. Mi sono detto che sarebbe passata inosservata e che nessuno avrebbe mai preso in considerazione un EP composto dalla stessa canzone in sette versioni diverse. Invece, stiamo avendo un riscontro incredibilmente sorprendente.
È proprio vero allora che le cose che ti mettono in dubbio, le follie, sono quello che riescono meglio.
Concordo.
Mi piacerebbe dare attenzione allo stesso modo al testo, di cui ho apprezzato molto il concetto di felicità accostato all’immagine del coltello. In particolare, vorrei chiederti di spiegarmi la chiosa finale: “felicità è il nome del coltello/che divide gli ultimi dai primi/quelli sbagliati da quelli normali/i buoni dai cattivi”.
Dipende, quanto tempo hai? [ride ndr.]
L’idea che ho avuto quando ho scritto la canzone era quella di creare una sorta di rito. Da antropologo mancato, ho una passione per questo tipo di cose. In più, sono un feticista dei coltelli.
L’immagine, secondo me, ha un valore che prescinde dall’utensile stesso. In molte culture è anche un oggetto iniziatico. Può avere mille significati. Questa opposizione tra buoni e cattivi, giusti e sbagliati, si tramuta quindi proprio in questo oggetto.
Siccome nelle culture più antiche si dava un nome ai coltelli che avevano dei ruoli speciali, in questo testo ho immaginato questa tribù che ha un coltello chiamato “Felicità”. Questa tribù che vive in un futuro distopico, in qualche modo, era per me come una metafora del fatto che la felicità nella nostra società è un concetto contorto. Il mondo in cui viviamo, non fa altro che spingerci l’uno verso l’altro. Vince sempre chi è più bravo, chi è più ricco, chi è più bello, chi è più fortunato, chi ha più possibilità. Tutto questo “più”, questa logica del dover arrivare primi a tutti i costi è direttamente connessa all’idea che gli altri debbano essere schiacciati. Il secondo non ha nessun valore, se non quello di essere il “primo degli ultimi”. O arrivi primo oppure hai fallito. Cosa che ovviamente ti condanna all’infelicità. Il peggio è che questa corsa verso la felicità implica l’idea che se non ce l’hai fatta è colpa tua. Non sei stato abbastanza bravo, non sei riuscito a meritartelo. In questo senso, la felicità diventa un coltello, un oggetto che ti ferisce, ti può far male, ti può uccidere. Invece, dovrebbe essere il contrario. Nel ritornello canto “finalmente saremo di nuovo animali”, provando a riconsegnare quel tipo di gioia primitiva, propria dell’istintività naturale. Questo concetto così si avvicina ad un altro meno strutturato. È legato alla condivisione, alla semplicità. Io credo che la felicità sia una cosa dentro di noi. Non abbiamo bisogno di metterci in gara contro gli altri per essere felici. Proprio a questo riguardo mi piace sempre citare Chris McCandless, che in punto di morte ci ha lasciato con una frase che spiega perfettamente la nostra condizione umana: “la felicità è reale solo se condivisa”. Mi sembra una grande consapevolezza.
Mi viene anche da pensare che questo tipo di riflessioni sulla felicità provengano dalla mia esperienza a suonare dal vivo nelle carceri. Ti ritrovi davanti a delle esperienze che cambiano te e il tuo modo di pensare.
Pensa anche che il coltello in una tradizione ottocentesco casertana, stava a simboleggiare l’amore. Lui lo donava a lei, come si dona il proprio amore, e lei doveva farne uso in caso di tradimento. Un oggetto che viene denominato “Amore”, in realtà, ha la possibilità di ucciderti. Il bene che può trasformarsi nel male.
Ci lasciamo con un’ultima domanda. Sta per partire il tuo nuovo tour, che, come dicevamo, ti vedrà fare tappa, tra le tante, a Macerata. Che aspettative hai di queste date? E come credi sarà il ritorno ufficiale sul palco?
Beh, è difficile dirlo. Ci sono le regole da seguire. È traumatica l’idea di organizzare un festival con più band, ma non ci si può incontrare a causa del distanziamento sociale. Già questo è abbastanza singolare. Il pubblico poi sarà contingentato. Nella mia folle idea, la musica, soprattutto quella dal vivo, dovrebbe essere una cosa super accogliente. Capisco perfettamente che non potrebbe essere diversa la situazione, a causa del periodo attuale. È ovvio anche che non sarà tutto naturale. In quarantena ho fatto molte dirette in streaming ed ho cercato di farle al meglio. In questa circostanza faremo lo stesso. Già nel corso delle prove ho potuto vedere un’energia pazzesca. Siamo tutti felicissimi di tornare dal vivo sul palco. Però, sono sicuro che sarà strano e difficile. Ad esempio, io ci tenevo tanto a riprendere tutti insieme questa avventura. Lasciare qualcuno a casa è un dispiacere per me, perché Blindur è una famiglia e proprio questo nucleo dovrebbe cercare di essere il più unito possibile. Il periodo è quello che è, bisogna provare ad adattarsi. Sono fiducioso. Staremo a vedere.