Esce venerdì 16 maggio 2025 su tutte le piattaforme digitali il nuovo singolo di Cappie, uno di quegli artisti che vivono nell’energia viscerale del rock italiano. Chitarre distorte, voce graffiante, testi che alternano rabbia e vulnerabilità: tutto in Cappie sembra parlare di un’urgenza autentica, quella di chi scrive canzoni perché non sa farne a meno.
“Rètina” racconta la distanza emotiva e fisica tra due persone che non si sono mai davvero lasciate. Cappie descrive il senso di sospensione che segue una separazione, quando ci si rifugia dietro uno schermo nel tentativo di restare connessi, anche solo con un ricordo. Le immagini di pioggia d’agosto e occhi chiusi evocano un’estate interrotta, piena di cose non dette. Il brano alterna strofe intime e malinconiche a ritornelli energici, trasformando l’attesa in un urlo trattenuto. “Rètina” è una canzone sulla nostalgia, ma anche sulla speranza che, nonostante tutto, qualcuno torni a prenderci. Un loop emotivo che si rompe solo quando si trova il coraggio di andare via.
Siamo partiti dalla sua nuova casa, da Milano.
Milano è spesso raccontata come una città veloce, spietata, competitiva. Che ruolo ha nel tuo processo creativo? È uno sfondo, un ostacolo, una spinta?
Sicuramente lo è. Per me è stata fonte di ispirazione in molte occasioni, non tanto per la città in sé, quanto per chi la abita e ciò che ha da offrire. Ci sono tante storie in questa città e bisogna solo essere pronti ad ascoltarle.
C’è un ascolto recente – disco, artista, anche fuori dal rock – che ti ha spiazzato o ispirato inaspettatamente?
C’è un artista che ho scoperto recentemente grazie a dei miei amici, è un’emergente veneta. Si chiama Alanis. È una bomba, assolutamente fuori dal mio genere, ma ha una potenza delicatissima, oltre ad un immaginario tutto suo. La consiglio vivamente.
Nei tuoi brani si percepisce un’urgenza, ma anche una certa misura. Da cosa nasce questo equilibrio tra sfogo e controllo?
Da un lato, sono cresciuto ascoltando punk e alternative rock, quindi c’è sempre stata in me una certa componente tumultuosa. Dall’altro lato, nei miei testi cerco di partire sempre da una componente autobiografica e intima, un po’ come fossero pagine di diario. Il risultato è questo ossimoro, che a dire il vero non mi dispiace. Mi ci riconosco molto.
Hai mai pensato di scrivere per altri, o la tua scrittura è qualcosa di troppo legato alla tua voce e al tuo vissuto?
Non ho mai scritto da zero per altri. Mi è capitato di aiutare amici con dei testi che non li convincevano. Tendenzialmente quello che scrivo è molto personale, quindi dare ad un altro artista una mia canzone lo vedo un po’ complesso, ma non lo escludo completamente. Potrebbe essere un ottimo esercizio per migliorare anche quello che scrivo per me.
Se dovessi spiegare la tua musica a qualcuno che ascolta solo trap o hyperpop, da dove partiresti? C’è un punto di contatto possibile?
Un punto comune con l’hyperpop è sicuramente l’energia. Con la trap non trovo molte cose in comune, ma devo ammettere che è un mio limite dato dal fatto che non è un genere che ascolto e conosco. In generale, la mia musica la spiegherei come uno sfogo: se un giorno hai bisogno di urlare, magari ascoltando la mia musica ti sentirai meno solo.