– di Giacomo Daneluzzo –
Infernum. Mettendo da parte lo straniamento che questo titolo genera in qualsiasi classicista che vi si trovi davanti (visto che è inspiegabilmente un accusativo), è così che si presenta il viaggio nell’oltretomba dantesco dipinto e ripercorso da un duo rap d’eccezione: stiamo parlando di Claver Gold e Murubutu, due amici di lunga data, che hanno collaborato più volte e con molte affinità dal punto di vista della scrittura. Tutte ragioni per cui, chi come me li segue da un po’ di tempo, non aveva dubbi sull’uscita, prima o poi, di un progetto comune ai due dei più grandi maestri dello storytelling del panorama italiano.
E l’Inferno di Dante risulta essere il terreno perfetto per quella che, prima ancora che un’attualizzazione vera e propria dell’opera magna del Poeta, sembra essere una magistrale prova di stile per due penne particolarmente abili a narrare, a raccontare storie capaci di convincere gli scettici del fatto che il rap, non meno della canzone d’autore, può essere letterario.
La catabasi di Claver Gold e Murubutu, pubblicata da Glory Hole Records, inizia nella proverbiale Selva oscura, in cui però non c’è traccia del duo: infatti è l’attore Vincenzo di Bonaventura ad annunciarci, recitando alcuni versi selezionati dall’Inferno dantesco, l’inizio dell’epica avventura di Infernum, anticipandone anche i punti salienti proprio com’erano soliti fare gli aedi dell’antica Grecia prima di iniziare a narrare storie mitiche in versi.
I due cantori di esperienze oltremondane infatti iniziano a poetare solo nella seconda traccia (Antinferno, in collaborazione con Davide Shorty), e da lì ci conducono fino alle viscere dell’aldilà. E nel farlo si confrontano con alcune delle più iconiche figure che Dante posizionò nella cantica, da Caronte a Paolo e Francesca (singolo “pop” con Giuliano Palma), da Ulisse a Taide e attribuiscono loro messaggi e significati talvolta estesi rispetto agli originali della Commedia: è così che i passeggeri traghettati da Caronte non desiderano altro che scordare le sofferenze provate in vita per via dell’abuso di droghe, il notaio di corte Pier delle Vigne, suicida, diventa il pretesto per parlare di cyberbullismo e persino lo stesso Lucifero è dipinto come una figura tormentata, che oltre a rappresentare il male è egli stesso colmo di sofferenza.
Non è errato affermare che si tratti di un’attualizzazione dell’Inferno dantesco, ma l’opera del Poeta risulta di per sé tanto universale, nelle tematiche affrontate, da rendere un’operazione come questa più sottile: Claver Gold e Murubutu, più che riprenderne la trama e modificarla per avvicinarla alla sensibilità contemporanea, ne assimilano i concetti e i significati a un punto tale da farli completamente loro e riprenderli così come sono, senz’alcuna corruzione, e usarli per esprimere le loro dimensioni poetiche.
E un tratto apprezzabile dal punto di vista testuale è che, per quanto incrociate e coerenti tra loro, queste dimensioni poetiche restano estremamente riconoscibili. Murubutu, nella vita professore di storia e filosofia, risulta occupare con naturalezza il posto di maestro e guida, di virgiliana natura, di un più giovane Claver Gold (che peraltro al momento della pubblicazione ha un anno meno di Dante al momento del suo viaggio oltremondano). Il primo si confronta da anni con il mondo letterario in modo diretto all’interno dei testi delle sue canzoni (memorabile il ritratto di Verga in Rest in Prose, Rest in Poetry degli Uochi Toki), mentre il secondo, pur essendo abituato ad attingere da diversi generi letterari e in primis dall’area tematica del decadentismo, con frequenti citazioni all’ambito letterario, appare più spontaneo, più concreto e contemporaneo, anche dal punto di vista lessicale. Non è un caso che il presunto dissing a Sfera Ebbasta nella seconda strofa di Malebranche sia pronunciato proprio da lui, piuttosto che dal Professore.
Un’operazione ambiziosa come una ripresa dell’Inferno di Dante Alighieri per realizzare un concept album di per sé rischia di risultare artificiosa, innaturale e interessante solo per fanatici e appassionati. Eppure qui entra in gioco il vero punto di forza tanto di Claver Gold quanto di Murubutu: due attitudini alla scrittura uniche, diverse ma complementari, che impediscono a Infernum di essere un divertissement intellettuale e magari anche un po’ snob, consentendo agli autori di usare la straordinaria potenza di significato dell’opera originale per portare avanti le loro rispettive poetiche, con cui quest’album risulta perfettamente in linea.
Dulcis in fundo: la produzione. Certo è che niente di tutto ciò sarebbe stato possibile senza un team di beatmaker d’eccellenza, che comprende James Logan, Squarta, l’immancabile Il Tenente (nella prima e nell’ultima traccia con gli scratch di DJ Fastcut) e altri sei produttori, che hanno ricreato alla perfezione le più svariate atmosfere infernali presentate dai testi.