Dal Montefeltro arriva una voce che coniuga letteratura, disegno, tratti di matita, una macchina da scrivere, una barba che sa di legno e di vita tra i boschi e un fascino quasi fiabesco per dare forma alle sue canzoni. Lui è Giorgio Bravi ma in realtà lo conosciamo con il moniker COMELINCHIOSTRO che realizza e ci presenta questo disco che ormai ha più di qualche mese di vita. Si intitola “Di che cosa hai paura?” ed è leggero, semplice, a volte rock nelle tinte, a volte ricorda un certo Branduardi nelle intenzioni. E parla con fraseggi di elettronica se c’è da usarla e si fa teatro canzone. E poi ha quel gusto leggero e di incanto nelle melodie. Noi lo lasciamo libero di dirci la sua e vi invitiamo a tenere questo disco, fatto a carboncino o a matita, basta che sembri disegnato.
“Facile”. Cos’è che risulta facile per Giorgio Bravi?
Niente è facile! La vita presenta ostacoli continui; facile non è una descrizione del reale ma è un’esortazione a ricercare: a ricercare la parte buona che c’è in tutte le cose, nonostante tutto. Facile è un modo di affrontare le cose che ci succedono per non farci dominare da loro. Citando Calvino: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Ma soprattutto: la paura cosa rappresenta per davvero? Un limite, una protezione o un moto di consapevolezza?
Tutte le cose insieme credo: l’essere umano si è evoluto per secoli grazie anche alla paura, è stato l’unico strumento di difesa dal mondo per un sacco di tempo. Purtroppo la società moderna sempre di più dà alla paura una connotazione negativa, sempre di più si tende a vederla come debolezza, come sconfitta personale, in realtà la paura è uno strumento importante di cui disponiamo, come tutte le altre emozioni, può essere usato per crescere ed andare avanti, per superare gli ostacoli, oppure può essere usata come abili per non affrontare la realtà; la paura è uno strumento, sta a noi decidere come usarlo.
Disegni. Inchiostro. La creazione dal nulla di una visione. Appunto la visione. Cos’altro rappresenta per te il disegno?
La visione è un punto di partenza interessante: il mio modo di scrivere è molto legato al concetto di visione, che sia un’immagine, una tela dipinta, un’emozione o un fatto, comunque il punto di partenza è sempre una visione. Poi l’inchiostro e il disegno hanno caratterizzato il disco sin dalla sua origine: il progetto grafico si è sviluppato da subito insieme ai pezzi ed anzi, le due cose si sono intrecciate e contaminate a vicenda; la disegnatrice che ha curato il progetto grafico (Sabrina Sideri) ha fatto molto lavoro direttamente in sala prove mentre i pezzi nascevano e si sviluppavano. Così alcune tele si sono direttamente legate a momenti precisi di singole canzoni ed alcune canzoni sono state influenzate dalla direzione che prendevano le tele, i toni dei carboncini e degli acquerelli.
E questo disco che pare disegnato a matita come uno schizzo? Perché ha tanti tratti e tante facce…
Il disco ha tante facce come ne ho io: i miei gusti musicali sono vari e cambiano spesso in base ai momenti della mia vita, nella mia musica c’è tutto quello che sono. Sono figlio della grande generazione di cantautori, poi ad un certo punto ho scoperto Giorgio Gaber e il Teatro canzone ed è stata una rivoluzione nella mia vita, ho cominciato a fare teatro, ma sempre a modo mio, con in miei tempi. Sono cresciuto con il calore degli strumenti acustici ma poi ho scoperto la possibilità espressiva dell’elettronica e la miriade di colori che si possono ottenere mescolando dei suoni sintetici. Ho amato i bassi profondi della voce di De André ma poi mi sono appassionato agli acuti leggeri ed eterei dei Sigur Rós e di tutto il pop elettronico di matrice nordica. Sono stato sul palco a far ballare la gente con l’energia della musica folk ma anche seduto a raccontare delle storie, con una musica dolce ed armoniosa in sottofondo. Ho messo tutta la mia vita, musicale e non, in questo disco; ha tante facce perché io ne ho, mi piace essere tante cose e non ho mai saputo ne voluto rinunciare a nessuna delle mie anime.
Perché quindi Giorgio Bravi diviene COMELINCHIOSTRO? Cosa di preciso senti di paragonare all’inchiostro?
In realtà il mio nome d’arte non è direttamente legato all’inchiostro: mia nonna materna si chiamava “Caterina” ma tutti la chiamavamo “China” come l’inchiostro appunto. È strano come riusciamo a trovare un senso a dei pezzi della nostra vita in maniera apparentemente casuale e comunque soltanto dopo che è passato molto tempo. Credo che le nostre esperienze si leghino assieme in una maniera che spesso ci sfugge, e a volte anche dopo che il cerchio si è chiuso fatichiamo a capire che i due lembi della circonferenza erano naturalmente uniti l’uno all’altro. Sono innegabilmente legato all’inchiostro e al suo gesto ma il mio nome d’arte non è nato pensando a questo.
Questo disco ormai inizia ad essere vecchio per il tempo che corre velocemente in questo presente. Anzi quasi futuro. Nuove scritture? Resterai sempre fedele a questa linea a due passi tra la fantasia e il rock d’autore?
Da quando esiste l’essere umano “il passato sogna il futuro ed il futuro ricorda il passato” come recita uno dei pezzi che sarà nel prossimo disco: è un circolo che non si interromperà mai.
Eh già… ho già un prossimo disco all’orizzonte, quasi finito, è stato un anno molto intenso. E mentre sto cercando un’etichetta con cui uscire, e con cui iniziare un percorso che mi faccia crescere, ho già iniziato a scrivere il terzo disco. Nella vita non bisogna mai fermarsi.
Riguardo al restare fedele a me stesso non ho grandi dubbi, solo come dicevamo prima, restare fedele a me stesso per me vuol dire cambiare, ricercare, andare avanti. Quindi il secondo disco sarà naturalmente legato al primo ma fondamentalmente diverso, e così sarà sempre. Non so dove mi porterà la strada che ho preso, ma sicuramente mi porterà avanti.