_di Edoardo Biocco.
– foto realizzate in analogico da Daniele Celona e il suo staff –
Daniele Celona, cantautore torinese con un passato fatto di grandi canzoni e di una coerenza musicale invidiabile, torna nel 2018 con un obiettivo dichiarato: sorprendere tutti.
Perché non basta fare soltanto un album, a Daniele: Abissi tascabili infatti è una graphic novel – un’opera a fumetti diciamo – che si presenta come un progetto completamente nuovo per la discografia italiana, capace di raccontare sotto differenti media comunicativi e artistici le visioni e le creazioni di un cantautore fiero di questo nome, capace di unire il meglio di una produzione rock nostrana con una lingua forte, viva e capace di toccare a fondo dentro il cuore.
Daniele, oramai sei arrivato al terzo album, più uno live. In che maniera ti senti cambiato oggi con Abissi Tascabili rispetto all’esordio con Fiori e Demoni?
In realtà dall’interno non è sempre facile cogliere un cambiamento, diciamo che la formula è sempre quella e il concetto di fondo pure: fare onestamente quello che nella stesura dei brani mi piace di più, quindi in qualche modo seguire l’istinto. A dirtela tutta, rispetto ad Amantide Atlantide è una specie di ritorno a Fiori e Demoni perché sono tornato a lavorare moltissimo al computer, cosa che invece per il disco precedente non era stata fatta, in quanto creato in saletta. In questo caso, volevo proprio ritrovare quella dimensione un po’ solitaria del lavoro sul brano: io i tasti e gli strumenti. E così ho fatto.
Che tipo di disco volevi realizzare?
L’idea era di fare un disco violento, molto sboccato: se fosse un film dovrebbe essere un horror, invece è uscito un film di fantascienza. Aldilà delle intenzioni, spesso sono i brani che si ritagliano il vestito: c’è sempre un elemento imperscrutabile e casuale quando crei arrangiamenti per sgrezzare il brano, magari nato solo chitarra e voce (anche se per quest’album alcune volte sono partito proprio dal beat della batteria), quindi forse il cambiamento è nell’approccio all’arrangiamento, ma la formula rimane la stessa, la mia etichetta di rock italiano, e anche se questa dicitura è utilizzata troppo spesso come vezzeggiativo, nel mio piccolo cerco di darle una dignità diversa.
Beh in Abissi Tascabili ci si incazza e si piange: se non è rock questo! Tu mentre scrivevi eri incazzato o piangevi?
Diciamo che negli anni avendo ridotto la parte autobiografica, la massima emotività la raggiungo durante la fase di scrittura, quella primordiale , quando non sono ancora di fronte ad una canzone, ma a frammenti, scampoli di testo, quindi sono più emotivo nel momento che poi risulta quello più privato. Rimane un qualcosa di molto egoistico, molto vicino all’autoterapia, quando poi ti metti a tavolino magari a fare il taglia e cuci di questi diversi frammenti: giocoforza devi essere più freddo ed è importante che non si noti questo filo da pescatore con cui hai unito diverso materiale. L’emotività è istintiva e primordiale, poi scatta il lavoro e il mestiere del cantautore. Sull’incazzatura è più facile perché magari ripetendo parole che hai scritto come mantra ,un po’ per difenderti da quello che vedi in giro e da certe devianze sociali di questo periodo, ritrovi e ti ricarichi di un senso di malessere per il periodo che stiamo vivendo.
Hai usato la parola lavoro e mi colpisce come la usi anche nella canzone Lupi nel buio, quando dici: “Sopravvivere è un lavoro duro, sopravvivere è un lavoro vero”. Come ci si prepara ad affrontare questo lavoro?
Eh, ci vuole un corso che duri tutta la vita, ahimè! In ogni frangente bisogna trovare un equilibrio e un modo per mantenersi onesti nonostante l’essere colpiti come pungiball, trovare una maniera intelligente di reagire ad ogni piccola o grande ferita che ci viene inferta. Il disco anche se parte da molto lontano, magari parlando del maelstrom di Poseidone, o dello spazio o di un uomo che legge nel pensiero, alla fine, stringi stringi, parla sempre di rapporti umani, che siano affettivi o che siano rapporti di forza che un giovane in particolare deve vivere in quest’epoca. Quindi in particolare in questo momento ho cercato di porre l’accento sul ritrovare una umanità e una dimensione che si stacchi da quella delle nostre vite meramente virtuali e social. Un primo passo, innanzitutto, è quello di mantenere un piede nella realtà e in essa cercare di essere equilibrati e di comportarsi in maniera integra che possa diventare poi il modo corretto di usare gli strumenti social e tecnologici.
C’è quindi una critica alle nuove tecnologie, come quelle social?
La critica che muovo non è tanto al mezzo quanto alla nostra natura propensa ad intendere tutti questi mezzi come un’arma per raggiungere un fine. C’è sempre questo parallelo fra reale e virtuale, ed essere un buon essere umano ti permette di agire anche come un buon avatar che si guarda dall’attaccare gli altri o che diffonde contenuti senza averli minimamente approfonditi, ma qui si parla dell’intelligenza dell’uomo più che del web. Ci vuole responsabilizzazione da applicare da dietro uno schermo, altrimenti si riversa malessere anche in quell’ambito che crea un climax verso la follia. Poi io non riesco a fornire soluzioni, magari da regista, come dicevo, mi piace mettere in evidenza certe caratteristiche di questo tempo e certe difficoltà quotidiane: si piantano dei semi ma la reazione spetta sempre all’ascoltatore, però posizionare la lente d’ingrandimento in un determinato modo è fondamentale.
La vedo come una sorta di politica attiva a cui non ci si può sottrarre.
Sfruttando un’altra citazione dall’album, ti riporto il tuo “Dici che siamo destinati a questo: un’insalata in pausa pranzo, la sigaretta su di un ballatoio, la carriera, la routine o un nodo scorsoio“. Bellissimo e tremendo. Vedi davvero la dicotomia “carriera o morte”, specie fra i millennials?
No dai, io credo che ci sia qualcosa che possa rinfrancarci. Ti dirò che quella è una delle mie parti preferite del disco dal punto di vista testuale, e lo è perché essendo tutti i personaggi in chiaroscuro, spinti all’estremo e se vogliamo quasi caricaturali nelle loro caratteristiche, in quel caso quel ragazzo sballato che rincontra la compagna di un tempo, anche lei all’epoca ai margini della società, e il suo grido disperato lo mostra come ancora ancorato all’essere fuori, contro il sistema e al non rinunciare alla libertà per la sicurezza, perché poi è sempre questa l’equazione che anche la politica ci pone davanti. Spesso per essere più liberi occorre fare delle scelte estreme e quindi è stato per me uno sforzo di traslazione mettermi nei panni di questo ragazzo disperato che vede un suo amore rientrare nei ranghi della normalità e ne trae un’analisi che vorrebbe trasmettere molta amarezza.
E anche la rabbia che dicevamo prima.
Esatto, è una di quelle situazioni portate all’estremo a cui facevo riferimento. Non è né un esempio in positivo, né in negativo, mi piace sempre creare una scena, far girare una telecamera e poi il giudizio lo lascio allo spettatore.
Non c’è il rischio di cadere nel pessimismo?
Ovviamente stiamo parlando di uno dei momenti più crudi e non vorrei venisse preso come punto di pessimismo cosmico, in fondo quando delineo questo tipo di scena poi mi piace sempre restituire una quota di speranza, anche in tutti gli altri brani in cui alla disperazione fa sempre seguito una reazione fosse anche solo un cambio di registro vocale, un alzare il tono che può racchiudere in sé un moto liberatorio. È un discorso che si lega al ritrovare la propria umanità e tenersela stretta, fin dalla notte dei tempi non credo
esista un’altra soluzione che non sia quella di rispettare sé stessi e il prossimo e cercare di sopravvivere in maniera degna. La sostanza è sempre quella.
Quello che si fa poi torna indietro, giusto?
Non vorrei dire che è una questione di karma il modo in cui ci si comporta, per cui anche una piccola azione che sia umana o artistica o linguistica, porta un mattoncino vitale per la comunità, magari invisibile alla cronaca, ma costitutivo e costruttivo culturalmente: politica attiva. Non ti accorgerai mai del volontario che aiuta i ragazzi con la sindrome di Down, o quello che va con la Croce Rossa senza percepire uno stipendio, ma neanche dell’artista che si esibisce gratuitamente pur di portare agli altri il suo messaggio, ma questi sono componenti invisibili, che messi assieme formano un muro socio-culturale ben visibile. Se poi è possibile lanciare un flash su queste piccole cose, senza confezionarlo come qualcosa di lacrimevole in stile Giletti, sarebbe tutto di guadagnato.
Hai spesso usato termini da regista cinematografico che mi fanno pensare ad una tua passione per l’arte visuale e ricordando che Abissi Tascabili esce sia come produzione discografica che come produzione fumettistica, ti chiedo se le cose sono correlate e come entrano in contatto i due mondi.
Il mio staff conosce bene la mia passione per fumetti, manga e animazione (specialmente quella nipponica), quindi quando in riunione ho proposto di fare una copertina illustrata è uscita fuori l’idea di farne un vero e proprio fumetto, che lì per lì sembrava più una provocazione, una pazzia. In realtà si è dato corso ai primi contatti col Comicon di Napoli che si è dimostrato disponibile a sostenere l’operazione editorialmente, e quello è stato un primo importantissimo pilastro, quello che ha permesso tutto; e poi abbiamo contattato Alberto Ponticelli, un disegnatore abbastanza noto che ha illustrato anche Batman, ed è che lui ci ha proposto di coinvolgere l’intero Progetto Stigma. Alcuni di loro li conoscevo già, è una frangia molto indipendente del fumetto italiano il che li rende abbastanza paralleli a quello che facevo io, a quel punto in maniera molto insperata avevamo sia la casa editoriale, sia una rosa di fumettisti (addirittura dieci, uno per brano) che si potesse occupare della realizzazione del prodotto grafico.
Come è stato lavorare con così tanti fumettisti diversi?
Ognuno di loro si è occupato di una traccia. Io ho anche mandato qualche sceneggiatura, ma assicurando ad ognuno la totale libertà sull’interpretazione del brano e le suggestioni che faceva sorgere nel disegnatore. Quindi nei mesi in cui stavo registrando, prendeva corpo anche questa operazione (che in realtà è più simile ad un regalo che ci siamo fatti a vicenda) e una volta finito tutto sicuramente mi ha dato davvero tantissima soddisfazione.
Cosa c’è nel prossimo futuro di Daniele Celona?
Adesso abbiamo fatto le prime tre date di presentazione e siamo riusciti a suonare in due di queste, tenute al Lucca Comics (suonare in un contesto simile è uno dei primi effetti collaterali piacevoli di aver portato a termine un prodotto crossmediale) che ci ha offerto la possibilità di poter fare un firma-copie per la prima volta dall’altra parte del tavolo e ci ha restituito un’esperienza davvero gratificante, eravamo dei ragazzini in gita! Per il resto fino a fine anno avremo altre date e torniamo un po’ al nostro mestiere che è quello di salire su un palco.
Daniele Celona sarà in concerto questa sera al Lanificio 159 di Roma (qui tutte le info).