Un disco strumentale di solo pianoforte che in qualche modo testimonia l’urgenza e il bisogno di fermare il tempo che corre intorno e le mille derive che troppo spesso la vita quotidiana ci impone. Pianista, compositore e arrangiatore, ma soprattutto una firma giovanissima della scena italiana che vanta già collaborazioni importanti in ambito main stream. Francesco Lippelli, che tra l’altro abbiamo conosciuto tra le righe della produzione di “Amici di Maria De Filippi”, oggi ci presenta questo suo nuovo disco dal titolo “Apple Tree”, un lavoro di preziosa contemplazione, di nuove scritture giunte tutte in un giorno… sembra quasi una tela ricamata con grazia e serenità, belle di un grandissimo equilibrio umano e spirituale ma anche figlie di una latente energia che cerca e trova nella scrittura lunga dai tempi larghi il vero luogo dove rifugiarsi. Un disco che si misura a passi lenti, che suona come un lungo orizzonte.
Per noi è un grande piacere ospitare musica altra, cioè dare uno sguardo (quando possibile) ad altre forme di composizione che eludono il cliché della forma canzone indie o comunque pop in genere. Dico “quando possibile” perché raramente dischi di questo tipo cercano di far arrivare la voce oltre il loro recinto di confort, oltre quella nicchia di ascoltatori educati al genere. Un po’ come accade per la classica, il jazz etc… Cosa ne pensi?
Non amo autocelebrarmi. Potrei fare mille esempi di colleghi che riescono a riunire intorno al proprio strumento, eseguendo musica strumentale, decine di migliaia di persone. È vero, ci sono pochi casi in Italia, molteplici all’estero. In generale, studiando seriamente e per tanti anni, ho capito che la musica non è questione di numeri. La musica di Bach è stata riscoperta dopo oltre un secolo. Giuseppe Verdi è stato respinto nello stesso luogo che ora giustamente celebra il suo nome: Conservatorio “Giuseppe Verdi”. Vogliamo parlare del diploma di Giacomo Puccini? Un voto di un compositore medio… E del primo concerto di Giovanni Allevi? C’erano solo 5 persone…
In questo tempo in cui impera la composizione digitale, “Apple Tree” ci riporta alla natura, al suono reale, alla bellezza della composizione artigianale. Una vera controtendenza o, per tornare al discorso di prima, è dato dal fatto che raramente se ne parla?
Giudicando la questione come produttore musicale sì, questo progetto è volutamente controtendenza e destinato a pochi. È un progetto in cui ho calcolato nota per nota, tutto è così voluto: le strane modulazioni, gli accordi dissonanti, il riverbero più presente del solito…
Parli di composizioni nate in un solo giorno. Realmente o è un modo di dire?
No, questo progetto è nato in sette ore, un solo giorno di improvvisazione pianistica. È interessante precisare che il processo compositivo in questo caso è nato dall’improvvisazione e solo successivamente è passato per la scrittura su pentagramma. Non è una cosa strana, è una pratica antica.
Un primo disco personale che hai affidato molto all’istinto dell’ispirazione o sbaglio? Che rapporto hai scoperto di avere con la scrittura e la composizione?
Esatto, infatti l’improvvisazione in questo caso ha preso il sopravvento. Scrivendo musica da tanti anni ho capito che alla fine la questione analitica, programmatica e razionale devono coesistere con quella istintiva e passionale. Solo in questo modo i grandi classici hanno scritto la storia!
Che poi tutto il disco ha una coerenza e un amalgama lungo tutto l’ascolto. Ho come l’impressione che in fondo sia una sola composizione che si divide in momenti e stati d’animo. Che ne pensi?
Sicuramente “Intro” e “Outro” sono una sola composizione divisa in due parti. I brani di mezzo hanno molto in comune, soprattutto dal punto di vista della prassi esecutiva.