L’indie negli ultimi anni è cambiato tantissimo, il fenomeno è passato dall’essere di nicchia fino a diventare nazionalpopolare. Oltre il ruolo degli artisti e delle etichette, pensi che il pubblico si sia impigrito? Come pensi possa reagire a “Settebello”?
Credo che il pubblico si sia normalizzato, così come il fenomeno Indie si è normalizzato. Si è persa un po’ di magia perché l’Indie è diventato Pop: quello che lo rendeva magico era la sua unicità, il suo esser quasi esclusivo, che il tuo cantante preferito era uno come te. Questo si è perso con la grande corsa ai sold out o a fare il disco d’oro, con la fusione magari naturale con i grandi della musica italiana. La gente non si sconvolge più se un artista indie scrive per un artista mainstream o se stanno insieme nella Top Ten delle classifiche, mentre prima era una notizia. Allo stesso modo il pubblico ancora ascolta, ma ha perso quell’entusiasmo dell’inizio, quando si faceva il passaparola che oggi non serve più, perché tutti sono conosciuti. Per questo avevo necessità di fare qualcosa di diverso, non volevo essere il copia-incolla né di me stesso né di nessuno.
La nostra è una generazione ha cavalcato molto la nostalgia, specie di un passato che non ha mai vissuto, penso ad esempio alla nostalgia degli anni ‘80. Pensi che sia un problema la nostalgia e l’utilizzo che se n’è fatto nel pop di questi anni?
Non è un problema la nostalgia in sé, è un problema chi utilizza questa scusa per fare dei meme o la canzoncina usa e getta. È un problema il come, non il cosa: come usi la nostalgia e come la fai arrivare. Credo che la nostalgia sia un sentimento universale che l’uomo ha sempre avuto, appartenga al genere umano come la malinconia, la solitudine, quasi come se fossimo predisposti ad avere questo rubinetto emotivo aperto. Stare solo con se stesso, magari anche un po’ storto con i pensieri, ti fa porre delle domande e ti dà delle risposte, è sempre un’indagine, una ricerca che fa parte dell’evoluzione.
Mi sembra che il tuo obiettivo fosse ridefinire il pop italiano e dargli un’altra direzione. Hai detto che è un disco tra passato e futuro. Dove pensi che porti questo futuro?
Con “Settebello” cercavo – e mi son dato – delle risposte. Gestire un certo tipo di successo, anche se moderato, poteva mandarmi in tilt e farmi cadere in qualche tranello o qualche scorciatoia. Il rischio era fare un disco leggermente superiore al primo, mantenendo lo stesso approccio. Il futuro è continuare ad avere la stessa testa e la stessa umiltà, la stessa consapevolezza e aumentarla, migliorare nello scrivere canzoni. La cosa positiva del fatto che l’Indie è morto è che siamo più liberi: oggi vale più il progetto, l’artista, il racconto, il contenuto. L’essere messo così in discussione secondo me è un buon nuovo inizio.
L’immaginario che circonda il disco è quella da “La Luna Nera”, e in copertina campeggia la scritta “A story by Galeffi”. Che storia pensi di aver raccontato nelle canzoni dell’album?
A livello di immaginario avevamo scelto di recuperare e di rendere attuale un certo mondo cinematografico, come le locandine e i film della Nouvelle Vague. Ascoltando i primi provini insieme al mio team, tutti mi hanno confermato quanto fosse un disco “cinematografico”, pieno di immagini che cambiano. Ha una sua dinamica, una sua coerenza, un proprio fil rouge con ambientazioni e suggestioni diverse.
Un dettaglio interessante della copertina è che il tuo volto appare quasi di sguincio, riflesso sullo specchio della cartomante, ma senza essere il centro della scena, e anzi dando una sensazione di pericolo e mistero.
Per la copertina volevo che ci fosse la carta, ma non mi bastava che il settebello fosse semplicemente poggiato. Volevo creare qualche cosa di misterioso, essendo un amante del vedo-non-vedo, non volevo esserci come persona, piuttosto incuriosire e creare un alone di mistero, e anche un po’ di inquietudine se vuoi. Sono amante del mondo della cartomanzia, della magia e delle pratiche “oscure”, così abbiamo fuso tutte queste intuizioni e siamo riusciti a dare quell’atmosfera.
È molto adatta, riassume bene da atmosfere fumose e oblique dell’album. Hai parlato del tuo disco come un disco cinematografico: se l’avesse girato un regista, chi l’avrebbe girato “Settebello”?
Considerando come sono fatto io e la parte testuale delle mie canzoni, lo vedo come un film molto francese – a me piace molto Autant ad esempio – ma lo vedo anche molto italiano e di un certo surrealismo, per cui metterei anche Fellini.