– di Riccardo De Stefano
foto di Danilo D’Auria-
C’è qualcosa di sorprendente e al tempo assolutamente normale nel successo di ieri di Gazzelle a Roma, Circo Massimo.
I numeri ufficiali ci dicono che 54.400 persone hanno riempito l’arena del Circo Massimo di Roma, e se fa strano pensare che lì ci hanno suonato Rolling Stones, Bruce Springsteen e David Gilmour, si può normalizzare il tutto ricordando che i primi italiani sono stati i Thegiornalisti e quello appena prima Liberato.
Quindi, da questo punto di vista, tutto normale. Sono passati tempo fa gli anni in cui Gazzelle poteva sorprendere in termini di numeri e di successo, e ora si può parlare solo di fenomeno da osservare, analizzare e studiare.
Perché Flavio è vero che fu l’ultimo degli indie, in termini cronologici, l’ultimo di quella fortunata generazione che a Roma ci è nata o ha orbitato (qualcuno ricorda “#scenaromana”?), ma è anche l’unico che è sopravvissuto. Perché Calcutta, da Bologna, rifiuta ancora le luci della ribalta e difficilmente lo vedremo a Sanremo, se e quando tornerà. I Cani hanno fatto la sorpresa quest’anno ma nessuno crede che uno come Contessa voglia esporsi più di quanto ha fatto già. E Tommaso Paradiso, col suo crollo di qualità, è sfumato via negli acquired taste del pubblico di massa.
Gazzelle ha saputo ballare sulla sottile linea che separa la sincerità dal compromesso, l’indie dal mainstream, i testi generazionali dalle frasi fatte. E il colpo d’occhio non può ingannare: non porti tutte quelle persone se non hai qualcosa da dire, e lo dici bene. Non puoi fregare il pubblico troppo a lungo: se non hai talento, dopo poco sparisci.
Ma Gazzelle è diverso, ha fatto una cosa diversa. Ha saputo parlare al nuovo pubblico in maniera sincera, diretta e semplice, confermando anche per i fratellini più piccoli dell’indie il suo ruolo di narratore del malessere generazionale. La formula musicale infatti è ancora cristallina e smagliante, e il concerto lo conferma: dai classici (“Quella te”, per dire) fino ai nuovi singoli come “Stupido” si può tracciare una linea quasi perfettamente dritta, che il pubblico ama e riconosce.
Certo, se questo fa perdere un po’ il senso di “evoluzione” in una carriera che ormai si avvia verso il decennale, poco importa al pubblico. Non a caso, l’ultimo album “Indi” dichiaratamente conferma la formula e la cifra stilistica di Flavio (e a dire il vero, è il meno interessante dei suoi album). Ma che sia il salto continuo su canzoni come “Meglio così” o “Zucchero filato”, o la placida contemplazione durante il medley (delizioso) di piano e archi (Ettore Mirabilia con Guendalina Pulcinelli ed Elena Bianchetti), la partecipazione del pubblico è costante, attenta e appassionata.
Senza grandi fronzoli, con appena due guest (Fulminacci e Noyz Narcos), Gazzelle tiene il palco a modo suo, microfono e qualche passetto avanti e indietro, e va bene così. Il concerto è una sorta di rito catartico, di purificazione dal mal di pancia del disagio, vomitare fuori urlando quello che fa star male sentendoci parte di una famiglia collettiva per circa 2 ore.
Quest’anno Gazzelle farà due soli concerti, oltre a quello appena passato al Circo Massimo. Lo attende il San Siro a Milano. Chi può, vada a vederlo.