– di Assunta Urbano –
Sarò di parte, ma i New Candys sono una delle realtà musicali degli ultimi anni che preferisco in assoluto. E, inaspettatamente, i componenti sono italiani come me.
La band si forma a Venezia nel 2008 e attualmente è composta da: Fernando Nuti (voce e chitarra), Andrea Volpato (chitarra), Alessandro Boschiero (basso) e Dario Lucchesi (batteria e percussioni).
Dal 2012 al 2017, vengono pubblicati tre dischi: l’esordio Stars Reach the Abyss, seguito da New Candys As Medicine e Bleeding Magenta. Il 4 giugno 2021 esce la nuova perla, Vyvyd, mixata da Tommaso Colliva, che segna un nuovo inizio.
Se oggi siamo qui a parlare di questo gruppo è, soprattutto, perché ci siamo stancati di dover sentire il suo nome più all’estero che nel nostro Paese. I New Candys hanno tutte le carte in regola per dare il via, insieme a tanti colleghi nostri compaesani, ad una esclusiva ondata della scena psych e alternativa, qui, in un territorio apparentemente ostile. Il momento è giunto, non ci sono più scuse.
Nell’attesa di poter assistere al live del 20 agosto al Siren Festival, a Vasto, oppure il giorno successivo a Villa Ada, a Roma, abbiamo intervistato la band.
I palchi, il pubblico, la musica dal vivo. Siamo tornati, anche se in un modo diverso rispetto a quello a cui eravamo abituati. Il tour dei New Candys riprenderà il via dal Siren Festival, a Vasto; che aspettative avete per questo live?
Siamo contenti di suonare finalmente il nostro primo concerto in Italia da quando è uscito il nostro nuovo album Vyvyd. Il Siren Festival lo abbiamo spesso sentito nominare negli anni passati, quindi siamo curiosi di vivere il live in prima persona.
Il giorno seguente sarà la splendida location di Villa Ada, a Roma, ad accogliervi. Poi si riprenderà a settembre da Padova e la band è pronta a conquistare il resto d’Europa. Inoltre, con queste temperature alte, avete fatto una tappa a Barcellona, lo scorso 22 luglio. Com’è stato tornare nel vostro habitat naturale? Poi, abbiamo parlato delle vostre aspettative, ma cosa ci attenderà, invece, come pubblico, dall’altro lato del palco?
Il concerto di Barcellona è andato molto bene ed è stato bello ritornare sul palco dopo tanto tempo e suonare i pezzi nuovi dal vivo, ma vedere le persone sedute non è paragonabile all’atmosfera a cui eravamo abituati pre-pandemia, purtroppo. Speriamo tutte le persone facciano la loro parte per permettere anche al settore dello spettacolo di riprendere a dovere. Dal vivo cerchiamo sempre di variare la setlist il più possibile, spaziando da momenti più cupi ed energetici ad altri più calmi o spensierati, quindi potete aspettarvi un concerto vario, diciamo.
Il 4 giugno è uscito il vostro quarto e più recente disco Vyvyd, a quattro anni dal precedente Bleeding Magenta. Ci raccontate di questi dieci brani e di ciò che rappresentano nel vostro percorso musicale?
Vyvyd sotto certi punti di vista è un secondo album di debutto, la line-up della band è cambiata e questo è il primo disco che abbiamo fatto assieme. Il feedback che abbiamo ricevuto finora è stato positivo e pensiamo sia il nostro miglior album. Il lato A è sicuramente quello dove abbiamo sviluppato una scrittura più nuova per noi, mentre nella seconda parte sono presenti elementi comuni ai nostri primi dischi. Quando c’è stato il momento di registrare i pezzi non ci siamo dati limiti, abbiamo lavorato come quattro musicisti, lasciando perdere gli strumenti che suoniamo dal vivo. Quindi, ad esempio, in un brano abbiamo optato per una drum machine piuttosto della batteria tradizionale, o in un altro abbiamo sostituito una chitarra elettrica ritmica con un sintetizzatore distorto. Questo tipo di scelte e molte altre sono state ispiranti e sicuramente procederemo allo stesso modo anche in futuro.
I New Candys si formano a Venezia nel 2008 e provengono dalla realtà di Dischi Sotterranei. Si parla sempre delle scene romana, milanese, torinese, ma cosa succede, nel frattempo, nell’Italia del nord est?
Con Dischi Sotterranei la collaborazione è nata in modo naturale, ci conosciamo da molto tempo e ci hanno supportato fin dal 2012 quando uscì il nostro primo album. Noi abbiamo sentito la necessità di radicarci maggiormente in Italia dopo molti anni di collaborazioni estere, anche in risposta alla pandemia. Dischi Sotterranei, inoltre, organizza molti concerti con artisti internazionali e ci siamo spesso ritrovati alle loro serate, hanno sempre più importanza nella scena italiana e sono sicuramente una realtà cardine del nostro territorio.
La band, nonostante un buon seguito nel nostro Paese, vive soprattutto all’estero. Questo accade di certo perché l’ambito psych trova più spazio per esprimersi altrove. Innanzitutto, vi chiedo che rappresenta per voi questo universo e per quale motivo in Italia non riesce a trovare un risalto maggiore.
Secondo noi più che di ambito psych, si tratta di tutto il “rock alternativo” cantato in inglese. Se in Italia non canti in italiano fai molta più fatica ad emergere, ma esiste anche l’altro lato della medaglia, ovvero che se canti in italiano suoni quasi esclusivamente in Italia. Questi poi sono discorsi che lasciano il tempo che trovano, un artista/musicista deve fare quello che si sente e va benissimo così. Non sapremmo dire come mai c’è meno attenzione, crediamo sia qualcosa che accomuna le nazioni mediterranee, perché anche in Spagna ad esempio band come la nostra fanno più fatica, siamo probabilmente adatti a nazioni più “fredde” o con una cultura importante nella musica rock, come il Regno Unito e gli Stati Uniti, in primis. Ci viene anche da puntare il dito su tutti i media di rilievo italiani, sta anche a loro “rischiare” e proporre cose nuove, ci capita di accendere Radio Capital o Virgin Radio e sentire ancora “Smoke On The Water” o l’ultimo singolo degli AC/DC. C’è questo modo di rappresentare e raccontare la musica pop-rock solo con band del passato e secondo noi questo non aiuta per niente, sembra un genere sotto naftalina così e vorremmo si andasse oltre. Siamo nel 2021, quante volte ancora ci devono raccontare la storia di come si sono formati i Led Zeppelin o la notizia dell’ennesimo tour di The Wall di Roger Waters? Siamo un po’ stanchi noi.
Un esempio del successo internazionale l’abbiamo visto con la serie televisiva statunitense Shameless, che ha inserito voi e vostri colleghi come i Bee Bee Sea nella colonna sonora. Immaginando una pellicola cinematografica con i vostri pezzi, chi sarebbe il regista con cui vi piacerebbe collaborare? Avete un film del passato di cui vi avreste voluto curare la soundtrack?
Nicolas Winding Refn, ma anche Lynch, sarebbe bello apparire alla fine di un episodio di Twin Peaks. Rispetto al film di cui avremmo voluto curare la colonna sonora, così, il primo che ci viene in mente è Il Corvo del 1994, con Brandon Lee.
Dagli anni Sessanta ad oggi, abbiamo a disposizione una quantità enorme di album psych. Dovendo scegliere solo un disco, che vi ha segnato come band, quale sarebbe? Tra l’altro nel vostro nome compare tra le righe anche un “Syd”.
The Velvet Underground & Nico, ma anche The Piper At The Gates Of Dawn [Pink Floyd, ndr.], questi due su tutti.