– di Michela Moramarco –
Ibisco pubblica il suo album d’esordio, dal titolo parlante e polisemico “Nowhere Emilia”, di cui vi avevamo accennato qui. Il progetto ha sonorità che mescolano cantautorato tradizionale e new wave. L’album strizza l’occhio a certe atmosfere punk e non rinuncia a picchi di elettronica. Si tratta quindi di un album che racconta il grigiore delle periferie emiliane, ma anche il disagio di chi ha paura ad addentrarsi nel buio interiore. L’immaginario creato da Ibisco è decisamente suggestivo e, se in un primo momento può creare un’esperienza d’ascolto non proprio comoda, successivamente lascia libera l’immedesimazione. Ne abbiamo parlato con l’artista.
Il tuo disco è un gioco di parole incredibile, da nowhere, ovvero il nessun luogo, al now-here, il qui e ora. È una molteplicità di significati che hai reso bene con i tuoi brani. Come è andata la scelta e la costruzione di questo immaginario un po’nebbioso, ma sicuramente evocativo?
Ok, innanzitutto ti ringrazio per aver colto questa duplice sfaccettatura. Il nowhere è un concetto che in italiano non può essere espresso in un’unica parola ma solo con l’espressione non-luogo, appunto. Secondo me era la parola che più di tutte riusciva a trasmettere da un lato quell’immaginario di desolazione urbana, in cui io praticamente vivo, cioè in provincia; dall’altro quella nota british, che ho personalmente come ascoltatore. Mi piaceva l’idea di avere un nome che andasse anche aldilà della mia lingua. Uso l’inglese nelle mie canzoni. E questo titolo lo vedo anche come un ossimoro, dato che è come se indicasse un luogo che non si trova da nessuna parte però è in Emilia. È un luogo definito come intersezione, tra la città e tutto ciò che le si oppone, in cui ribollono i sentimenti più profondi, più introspettivi.
Il tuo album mescola l’elettronica, il cantautorato con idee new wave, è stato difficile trovare questo compromesso o hai avuto le idee chiare sin dall’inizio?
Inizialmente l’approccio produttivo era molto più orientato verso l’elettronica pura, poi anche da questo punto di vista siamo atterrati su un territorio che è un po’ di confine, inserendo dei bassi, delle chitarre e dei piani elettrici. Ma si può dire che siamo approdati su un territorio anche di unione, tra il cantautorato e l’elettronica ben dosata con la new wave, che costituisce ora come nel tempo una parte importante dei miei ascolti. Poi in prospettiva della dimensione live, mi piaceva l’idea di avere un disco che può essere suonato da musicisti ma che allo stesso tempo possa essere reso con una formazione più minimale e quindi con un set più elettronico. Quindi mi interessava produrre pensando anche alla resa live.
Ibisco canta il disagio, l’underground, il grigiore dell’esistenza. Può essere questo il modo per riassumere la tua cifra stilistica?
Direi che si potrebbe casomai cambiare sonorità. Credo che sia una fortuna dei musicisti solisti, ovvero che si possa avere molta più libertà estetica. Adesso ti posso dire che mi piacerebbe creare ogni album con una chiave sonora diversa, ma è chiaro che non vedo la possibilità di fare dei pezzi solari. Si potrebbero ampliare gli strumenti che vengono utilizzati, i colori da dare ai brani. Sicuramente spero nelle evoluzioni dal punto di vista sonoro e dell’immaginario.
Questo album sembra far vivere atmosfere un po’ vintage, legate quindi ad una dimensione temporale passata. Immagino ci sia stato uno studio profondo prima di arrivare a questo punto. Quali sono gli ascolti che ti hanno portato a ideare questo album?
Quando ho cercato una reference l’ho trovata negli MGMT, da cui sono rimasto folgorato, poi si sono aggiunti gli Arcade Fire. Poi ci sono chiaramente echi new wave con The Cure, Joy Division, The Horrors.
Credi che sia semplice per gli ascoltatori immedesimarsi in questi brani?
Credo che il mio sia un disco in cui al primo ascolto comprendere i testi sia un po’ più difficoltoso, ma a livello di mood una immedesimazione può avvenire, nella speranza che possa essere da tramite alla comprensione e alla chiarificazione dei testi.
Quindi col progetto Ibisco ti rivolgi ad un pubblico che è potenzialmente attento a ciò che ascolta.
Abbiamo lavorato molto in studio per rendere i brani anche fruibili.
Progetti per il futuro?
Spero di suonare dal vivo, il più possibile. È questo il vero obiettivo.
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