Potrei iniziare la recensione con una lista infinita di questo o di quell’altro artista a cui s’avvicinerebbe Ilenia Volpe, magari dai più scontati come Giorgio Canali e dintorni, presente più volte sull’album tra l’altro, o qualche Riot Grrrl, o le Hole. Oppure potrei optare per i più anonimi, qualcosa come i Deviants o i primi Pink Fairies. Ma sarei “dialetticamente chic”. E poi non servirebbe a molto.
Una cosa è certa: Ilenia Volpe non le manda certo a dire, e ciò si evince già dal titolo dell’album. Radical chic un cazzo è un disco di rapido consumo, da sorbire tutto d’un fiato e che non lascia alternative: o ti prende o ti lascia indifferente. E c’è molto che colpisce, anche solo al primo ascolto: se il nostro intento è quello di banalizzare Ilenia nella punk arrabbiata, allora potrebbero bastare solo la bukowskiana “Gli incubi di un tubetto di crema arancione” o l’arrabbiatura adolescenziale di “La mia professoressa di italiano”, a base di fuzz e ritornelli urlati.
Ma il valore aggiunto della cantautrice emerge nei brani capaci di slittare su più livelli di scrittura, sulle sensazioni diverse e sulla varietà sonora: vuoi che sia il rock più tradizionale di “Mondo indistruttibile”, o della kuntziana “Le nostre vergogne” (che ritornello!), vuoi che sia il suono della chitarra acustica in “La Croci-finzione” o nella (molto simile, a dire la verità) cover di “Direzioni diverse”. Specialmente quest’ultima mette in mostra il talento di Ilenia Volpe, che prende il brano del Teatro degli Orrori rendendolo prima una lentissima ballata, acustica e straziante, per poi farla esplodere in un urlo e una richiesta d’amore. Se posso permettermi, forse anche meglio dell’originale.
Personalmente, le due cose che m’hanno conquistato sono verso la fine dell’album, che mostra la sua completezza con “Il giorno della neve”, unico brano strumentale, in un lento crescendo di chitarre acustiche ed esplosioni elettriche, quasi liriche, e che in poco più di quattro minuti condensa tutte le sensazioni dei brani precedenti in una traccia sola. E infine, “Preghiera” non tradisce le aspettative e, fedele al proprio titolo, ha il volume di una marcia militare e la densità di una preghiera, appunto, per un brano conclusivo dall’incedere marziale che arriva a commuovere.
Ci hanno forzato a identificare il punk solo come rabbia e nichilismo. Ilenia Volpe ci dimostra che c’è molto, molto di più.
MENZIONE D’ONORE: “Preghiera” arriva dritto al cuore.
Riccardo De Stefano
ExitWell Magazine n° 1 (marzo/aprile 2013)