– di Riccardo Magni –
Carmine ed Isabella Tundo, La Municipal, hanno pubblicato da circa un mese il loro nuovo disco “Bellissimi difetti”.
Li abbiamo apprezzati già più volte live in tutta Italia e a Roma in particolare, su palchi via via più importanti nonché su quello del Primo Maggio dello scorso anno, quando erano arrivati ad esibirsi in Piazza San Giovanni passando dal contest 1MNext. Nel frattempo tanto lavoro in studio, tanti cambiamenti ed un successo meritato che li porterà di nuovo sul palco del Concertone, questa volta tra gli headliner.
Ma per farci raccontare il loro Bellissimi difetti, vogliamo riavvolgere il nastro e partire proprio da un anno fa, da quando meravigliosamente emozionati, appena scesi da quel palco, raccontavano quanto fosse stato difficile farlo una volta superata la “botta” iniziale. E prendiamo quello come ipotetico punto di partenza per raccontare questo loro nuovo tempo. Quello in cui, lavorando insieme, hanno prodotto un gran bel disco.
State per tornare sul palco del Primo Maggio, è passato un anno, ci sono stati dei cambiamenti, Carmine ha avviato un progetto solista, Isabella è tornata a casa… Guardando indietro da questo momento al Primo Maggio scorso, cosa è cambiato davvero per voi?
C: abbiamo sicuramente qualche chilo in più…
I: quello sicuro (ride)!
C: dal punto di vista musicale ci sono state delle novità, sia per i miei altri lavori che per “Bellissimi difetti”, che ha avuto una gestazione molto lunga, nasce dalla scelta di più di 25 brani che poi abbiamo deciso di dividere in due volumi…
C’è già un altro disco pronto quindi?
C: si, ci sarà un seguito di “Bellissimi difetti”.
E poi il fatto di vivere a contatto con Isa ci ha permesso di affinare alcune nostre chiavi di intimità, nella scrittura, o anche semplicemente stare in sala a provare che è una cosa che non avevamo mai fatto vivendo lei a Roma fino allo scorso anno. Devo dire che è stato un anno molto bello, certo nello stesso tempo succedono anche delle cose brutte che compensano il tutto, però fa parte del gioco.
Poter lavorare insieme è stata davvero una novità assoluta? E come ha cambiato il vostro modo di farlo?
C: sicuramente il tempo non basta mai perché lei già lavora, io sto fisso in studio… ma già il confronto immediato rispetto al confronto che avevamo prima ogni due o tre mesi è una cosa completamente differente. “Ma che ne dici se questo ritornello lo facciamo così”. “Che ne pensi di questo passaggio…”. Da vicino è più facile.
I: Prima il live era più immediato e non c’era tutta quella parte di studio alle spalle, più intensa, che appunto abbiamo potuto fare essendo insieme.
C: ora abbiamo cercato di creare, in sintonia, qualcosa che ci rappresentasse di più, e che rappresentasse anche molto di più Isa.
Al contrario invece, fino allo scorso anno, com’era? E come vivevate il momento del live, che era quindi l’unico vero punto d’incontro a livello artistico?
I: con molta spontaneità, ci trovavamo sul palco e ci capivamo con lo sguardo, quindi poi cambiava tutto in itinere. Era un’avventura tutte le volte il live, adesso sicuramente c’è una presa di consapevolezza maggiore. È diverso ma ci sta, era forse anche ora di arrivare a questo punto…
C: fortunatamente, avendo lo stesso sangue ci sono cose che ci riescono molto più semplicemente a livello di sincronicità, ed è qualcosa di particolarissimo che non mi succede nemmeno con musicisti con cui collaboro da decenni. Questo fattore “di sangue” poi va sempre a cementificare quella che è la nostra produzione artistica.
Andiamo al disco e ad una particolarità che salta subito all’orecchio: il legame tra la open track Finirà tutto quanto ed Il funerale di Ivan, che condividono un verso e soprattutto il finale.
C: è nato prima Il funerale di Ivan, che è un brano che parla del funerale vero di un mio amico che è morto impiccato, e proprio in questi giorni è diventato un caso di cronaca perché forse non si sarebbe suicidato, ma potrebbe essere un omicidio. Ma è poi in realtà tutt’altro, è un brano politico, perché quel giorno del funerale io ho rivisto una persona che non vedevo da molto tempo, totalmente cambiata dalla politica.
C’è stato poi qualcosa nel finale della canzone che mi ha colpito a pelle e sull’onda emotiva ho scritto l’altra, è come se ci fosse stato un flusso da un brano all’altro che mi ha portato a scrivere Finirà tutto quanto, che è uscita veramente quasi di getto. Sono quelle cose che magari non ti spieghi e non cerchi, ma abbiamo imparato ad apprezzare le cose che escono da un certo flusso. Saranno più sincere di altre, che invece sono più ritoccate.
Però Finirà tutto quanto è la prima traccia mentre Il funerale di Ivan arriva come quarta. In un ipotetico storytelling del disco il protagonista avrebbe potuto, a seguito di quell’incontro raccontato in Finirà tutto quanto, aver assunto quella consapevolezza riportata poi nel momento finale di Il funerale di Ivan. Chiaramente non è questa la consequenzialità che hai raccontato, ma appunto i brani pur essendo così legati, non sono vicini nella track-list. Com’è venuta la scelta di questo ordine?
C: ho voluto creare due momenti distinti che dopo, nella testa dell’ascoltatore sarebbero andati a ricombaciare in qualche modo. Ma non occorre essere troppo didascalici, tante volte troppe cose nemmeno le comunichiamo in merito ai significati dei brani se non in qualche intervista se ce lo chiedono, perché è bello che ognuno possa avere una propria idea di quello che succede in un disco.
In questo Bellissimi difetti ed anche nelle precedenti produzioni a dire il vero, ci sono dei riferimenti ricorrenti: il trascorrere del tempo, la sessualità… e la morte.
La affrontate un po’ su due livelli: a quello simil “La livella” di Totò, secondo cui la morte riappiana ogni differenza tra gli umani, si affianca un mood più “moderno” che utilizza le espressioni “muoio”, “sto morendo” e via dicendo, in maniera molto leggera, di fatto esorcizzandola.
Nel vostro immaginario, questo riferimento che significato assume?
C: è qualcosa che mi ha sempre affascinato sin da quando ero piccolo, e ho cercato di portare avanti dei miei studi su questo aspetto della vita. È da poco uscito un doppio disco che è un concept album (Nocturnae Larvae), che ho pubblicato da solista, molto più estremo e scuro, in cui mi addentro molto di più in questo aspetto, questa mia parte più oscura. Credo quindi che bisogna andare a fondo delle proprie paure, proprio per esorcizzarle, affrontare passo passo tutti quelli che sono i proprio problemi, le proprie paure e le proprie fisime, per cercare di migliorarsi.
C’è un brano strumentale, Noi due sulla Luna, molto evocativo per la sua stessa costruzione, che non può essere ridotto a semplice intro per il successivo Major Tom.
Racconta (e fa sentire) la storica e reale eccitazione dei due astronauti che per primi si avvicinarono al nostro satellite a cui parve di sentire una sorta di “musica spaziale”. Ma era solo un fruscio, un’interferenza di segnale, un malfunzionamento.
Ecco, Noi due sulla Luna è un brano ottimista o pessimista? Ci dice “che bello, possiamo esaltarci per qualsiasi cosa e chi se ne frega se poi si rivela una cazzata”, o al contrario “inutile esaltarsi, tanto anche le cose più eccezionali si rivelano stupidaggini o bugie”? O entrambe le cose?
Mentre Isabella ride e prega Carmine di rispondere in maniera positiva, lui ne esce egregiamente così:
In realtà quel brano è l’unico momento che ho voluto intendere in maniera molto romantica. Era un brano d’amore, e secondo me i brani d’amore più belli sono quelli senza parole, in cui non dici nulla perché non ne hai bisogno e non diventi didascalico. In questo senso, è un brano con un’accezione molto positiva.
I: un momento di positività che salva l’album – ride – e ci risolleva…
E poi arriva Major Tom. Non l’unica citazione del disco ma certamente la più immediata da cogliere (c’è anche un verso di Battisti in Punk Ipa). Il brano sembra quasi una preghiera a questo personaggio di David Bowie, che dopo la morte ha assunto un’aura di divinità. Perché lui?
C: In verità non ho ancora ben chiaro quel brano, l’ho scritto in un periodo un po’ particolare per me e quando esce il flusso io cerco di non censurarlo. Ovviamente la citazione è molto evidente, David Bowie è stato un maestro per tutti noi, specialmente per il suo trasformismo e la capacità di rimettersi sempre in gioco con generi differenti, musicisti differenti, una cosa che ho sempre molto apprezzato. Ma osservando il brano dall’esterno credo che in realtà sia qualcosa che abbia a che fare con mio padre. Ma lo dico analizzandolo a posteriori. Sul momento l’ho scritto, suonava, funzionava tutto ma non avevo ben chiaro nemmeno io cosa in realtà rappresentasse.
Facendo poi il percorso inverso mi sono reso conto che in realtà il maggiore era mio padre, che era nei vigili urbani ed è arrivato proprio al grado di maggiore. Da lì deriva anche il nostro nome La Municipal.
Carmine ha fatto riferimento al suo doppio album da solista, che ho particolarmente apprezzato. In realtà in Bellissimi difetti molto di quella produzione ce la sento, al di là chiaramente dei due brani di Nocturnae Larvae inseriti (uno come ghost track). Si sta realizzando una convergenza di queste tue differenti anime?
C: Si, in realtà sto cercando man mano di farle combaciare tutte, ma è un mio percorso interiore più che altro. La Municipal è la mia parte più romantica, Carmine Tundo quella più scura, poi c’è Nu-shu in cui suono la batteria e canto ed esprime quella più animale. Vorrei man mano riuscire ad avvicinare queste anime, in realtà, per capire meglio me stesso. Sono diversi lati dello stesso carattere ma sono convinto che li si possa avvicinare e l’avvenire di questa convergenza è in realtà quello che spero.
Senza dimenticare che poi sono talmente fuso su certe cose che per esempio, l’anno prossimo vorrei fare un disco reggae. Ogni tanto mi partono anche queste cose qui, mi devo anche divertire…