Se mi dovessero chiedere qual è per me un genere che davvero non morirà mai, risponderei senza ombra di dubbio: la musica elettronica. Al di là dei gusti e di qualsiasi opinione personale, dico questo dal momento in cui l’elettronica è, sempre e comunque, la “grande novità”, l’ultima frontiera musicale, perennemente da scoprire. I generi ormai classici, tra tutti il rock, si sono esauriti da tempo; per sopravvivere sono scesi a patti col mondo, assorbendo in sé proprio le innovazioni apportate dall’eterna ricerca sonora dell’elettronica, che guardando perennemente al futuro non invecchia mai realmente.
Viviamo in tempi in cui il confine tra i generi è labile e spesso forzato, un’etichetta sbiadita che non rappresenta più niente di reale. E questo ha portato a molti esperimenti falliti, band che per ammodernizzarsi appiccicano qua e là una drum machine o un sequencer, probabilmente sulla scia dei Radiohead del nuovo millennio; anche perché, causa preconcetti duri a morire, la musica elettronica è sempre associata all’idea di “musica facile da realizzare”.
Poi, ogni tanto, spunta fuori la sorpresa, la band che non ti aspettavi. E ti spunta fuori non nelle frenetiche, caotiche metropoli americane o nella post moderna Berlino, ma vicino casa, in Italia, a Roma.
I Libra sono una giovane band che incarna nello spirito e nel corpo questa grande evoluzione musicale, nelle sue note più positive. Musica sì elettronica, ma fresca, originale, d’atmosfera e ricca. Proprio nei primi giorni di novembre è uscita la loro prima fatica in studio, Sottopelle, per l’etichetta Volcan Records: fa quasi impressione constatare il valore della band, anche solo dal suo primo lavoro. I quattro ragazzi conoscono bene i loro strumenti e ne fanno un uso sapiente e ponderato: dominano la scena i sintetizzatori e i tanti strumenti elettronici, supportati e attorniati dagli strumenti elettro-acustici propri del pop e del rock, quali chitarra, basso, pianoforte e batteria. Il risultato è una musica minimale, di grande spessore europeo, con un cantato tutto in italiano che guarda con interesse alla canzone d’autore della nostra bella penisola. Una musica intima che si rende presente senza urlare, invitandoci con dolcezza dentro il mondo dei Libra, elegante e decadente, di cristallino sapore internazionale. I Libra pesano le loro influenze e i loro riferimenti musicali bilanciandoli con una propria estetica, raffinata e sempre lontana dal volgare, che si avvicina alle atmosfere eteree e fumose dei britannici The xx e alla varietà e ricchezza sonora del tedesco Apparat, mantenendo una propria spontaneità e un gusto che in Italia è difficile da trovare altrove. Iacopo Sinigaglia canta con una dolcezza e una grazia tale che la voce sembra quasi sussurare i testi, delicata come un guanto di seta che sfiora il volto.
Tutto intorno, assieme agli altri ragazzi della band, Gian Marco Ciampa (chitarre e synth), Federico Russo (basso, synth) e Alberto Paone (beat e pelli), si concretizza l’enorme lavoro di edificazione ragionata del suono, in questa impalcatura musicale dove ogni singolo tassello sta esattamente dove deve stare. L’opera di ricerca si esprime attraverso un ottimo gusto nell’equilibrio sonoro, per degli arrangiamenti minimali che proprio nella gestione dello spazio d’ascolto, nella sottolineatura delle melodie vocali e delle qualità timbriche dei singoli strumenti rivelano la loro forza, dando tanto più peso ai silenzi e all’architettura sonora d’insieme.
Sottopelle è un disco di contrasti, di forze opposte che premono assieme allo stesso tempo e ti trascinano con sé. Dal punto di vista tematico, il disco verte sui rapporti tra i sessi e nel rapporto col sesso, nella dimensione di insoddisfazione di una gioventù schiacciata da un mondo che non ha nessun interesse a capire e nelle tante vie di fuga che forse non portano a niente. La title track non a caso apre il disco all’insegna dell’ambiguità, con il disagio espresso nei versi, dove un amore finito diviene come una dolce malattia, un residuo di qualcosa che non riusciamo a toglierci da dentro di noi, in contrasto netto con la malinconia lasciva della musica. Ambiguità risolta nell’incontro e fusione di strumenti elettronici e elettro-acustici, in una cornucopia di sintetizzatori che si miscidano eufonicamente con le chitarre e gli accenni di pianoforte.
Ed è fortissima la presenza e la caratterizzazione dell’elemento femminile, emblematizzata nei due personaggi di Zoe e Cloe che si avvicinano e sfiorano nei loro personaggi, nel suono del loro nome, nella loro fredda bellezza algida e glaciale, diventando icone di una femminilità disagiata e in lotta, comunque distaccata dal mondo. “Zoe” è l’incompresa, sola nella sua unicità che la rende bellissima e desolata. “La paura di Cloe” incarna il valore attivo: se il mondo ci disprezza e ci vuole abbattere, l’unica possibilità è andare via, il più lontano possibile. E non si capisce se a loro attende il trionfo o il fallimento. C’è qualcosa di ipnotico che non si riesce a svelare in questi brani, un segreto misterico che s’agita tra i beat elettronici e la malinconia delle melodie che non si risolve, mentre, come direbbe un poeta famoso, “piove in petto una dolcezza inquieta”, un “male di vivere” che ci lacera e consola al tempo stesso e che non conosce cura.
Le soluzioni del disco sono tante, come tante le sorprese: “Vortice”, uno dei brani più ballabili e coinvolgenti dell’album, cattura da subito con un obliquo riff in tempi dispari, ancora in bilico tra la serenità della musica e gli accenni subliminalmente chimici del cantato, che vede la partecipazione di Fabrizio Martorelli, voce dei Loren.
Au contraire, “Non è mai per sempre” è il malinconico saluto di un amore vissuto ed esaurito, la presa di coscienza che niente perdura se non nella dimensione del ricordo, quasi straziante nell’apertura melodica del ritornello.
La richiesta di pace e serenità spetta a “La calma”, primo singolo estratto dall’album, che ci culla in una leggera tensione costante, uno stato sospeso tra il riposo e il nervoso, con la voce, caldissima, a rasserenarci e basso e batteria sotto a spingere, con la chitarra ad accentuare il movimento. Una duplice natura di instabilità e di calma apparente, un disagio al rallentatore, stavolta senza il sapore della vera sconfitta.
“Leccami” scava invece nella scoperta dei corpi, verso una sensualità più esplicita e carnale, apparentemente smascherata della sua eleganza nelle parole, e pur sempre così dolce nei modi da spingerti ad abbandonare ogni remora per lasciarti scivolare nell’umida estasi dell’amplesso.
E, permettetemi questo giudizio, c’è del genio in “Morbida”, una agrodolce ballata che trafigge il cuore come un coltello, con un bellissimo lavoro di voci e la malinconia malsana degli accordi diminuiti dell’introduzione che si sfogano nelle meditative atmosfere del ritornello.
La dimensione dell’insoddisfazione chiude il cerchio con le ultime due tracce, “Buio immobile” e “La noia”, con la prima che suona quasi come una richiesta d’aiuto, nel momento più scuro dell’esistenza umana, quando tutto sembra inutile e senza speranza e la fine non sembra come una maledizione. La traccia conclusiva sembra la colonna sonora ideale del romanzo di Moravia e chiude in minore il disco nella consapevolezza che ci sono cose da cui non si può scappare, e tutto sembra immobile e immutabile come una natura morta.
I Libra sono capaci di creare una musica trasparente come cristallo, vellutata, sensuale, sommessa, sommersa e al tempo stesso distaccata dal malessere dei versi, densi della fisicità in cui si immergono, e che si lascia trasportare e trasporta come sul velo dell’acqua, lasciando lo sguardo libero di guardare verso il cielo.
Con un lavoro così maturo, la band ha tutte le carte in regola per affacciarsi tanto nel panorama italiano quanto, in potenza, in quello internazionale, grazie a una professionalità sorprendente per una band di ragazzi così giovani, ma già capaci di sintetizzare, in tutti i sensi, un’esperienza musicale quasi tattile che ti colpisce e tramortisce con la forza di una carezza. Come un fiore di loto che emerge sempre dallo sporco del quotidiano, ancora candido.
Riccardo De Stefano