– di Paolo Pescopio –
Col finire dell’estate, finirà anche il tempo buono da dedicare all’ascolto della musica e per buono intendo quello rilassato, libero dalla pressione delle nuove uscite, quello che sa di sabbia, mare e grandi recuperi. È il caso di questo album dei Little Pony, che ho avuto il piacere di consumare in un viaggio in macchina, scavando tra tutte quelle uscite che tra una sgomitata e l’altra, non erano sopravvissute alle scelte che, per forza di cosa quando si tratta di scrivere di musica, devo fare. Un filtraggio estremo e forzato di cui spesso mi pento, soprattutto se i caduti in battaglia sono album come “Voodoo We do”, di una necessità incredibile. Sono grato per averlo ritrovato tra le migliaia di mail che avevo lasciato ad ammuffire, sono grato di aver conosciuto questa band americo-campana che, oltre ad offrire questo mix unico e assurdo degno di un film di Woody Allen (a proposito, Woody ha mai fatto un film ambientato a Napoli?), mi ha anche regalato il miglior disco che ho ascoltato quest’anno sinora, ma credo anche quest’anno in generale.
Prendete jazz, alternative rock, ipnotici giri di basso che iniziano già con la prima traccia, “CPC”. Voci confuse, massime di vite e uno sbiascicare continuo che suona come una conversazione tra ubriachi al bar (quelle che sembrano bellissime sul momento, ma che poi nessuno si ricorda più). Come direbbe mio padre: “Questa è musica da centri sociali”, sì ma, lasciatevelo dire, che musica da centri sociali! “Voodoo We do” è una festa infinita, una nottata incredibile che passi con sconosciuti dai costumi vistosi, cappelli, piume, borchie, gilet di pelle e qualche moto rombante all’ingresso. Uno scenario ai confini del mondo che diviene musica.
Canzoni scritte in viaggio, riflessioni sulle ossessioni della modernità e le stregonerie da social… Un rito magico, potente come solo i bambini possono immaginare, per scacciare via il superfluo, il compulsivo, l’ostinata arroganza dell’omologazione coatta delle interazioni nelle piccole e grandi cose del quotidiano. I Little Pony non fanno jazz, non fanno rock, non fanno hip hop né punk o spoken words su basi funk disco rap; i Little Pony sono fuori moda e fuori dal tempo. Il disagio ha un suono ironico, cupo e rabbioso mentre balla: i Little Pony fanno Voodoo.
Non potrei esserne più contento, è il disco che chiuderà la mia estate.