«Perché tutto quello che mi fa più paura diventa realtà?»
– di Roberta Staffieri –
Non è il 1975, Dario Argento ha spopolato da un bel po’ con “Profondo Rosso”, ma a quanto pare il ’22 esprime un massiccio e inevitabile dark mood. Il disagio, i rapporti spenti, vuoti, stanchi e miseri, una generazione che fa fatica a trovare il proprio spazio, un post pandemia che distrugge e amplifica le sensazioni di sconforto. L’arte, la musica, il cinema ondeggiano indecisi tra prodotti pregni di contenuti e scatoloni di marketing plasticosi, tentativi aberranti di uscire dal tunnel che noi stessi abbiamo ricavato dal nostro tempo, che vogliono apportare novità cercando di aggrapparsi ai periodi neri del nostro passato da cui, bene o male, ci si è tirati fuori.
Tra questi tentativi ne emergono alcuni, gemme preziose di umanità che vogliono fare la differenza, riuscendoci. Moci è uno di loro.
Lo scorso 11 novembre è uscito “Rosso Profondo” di Moci che, più che un EP, è un primo tassello di una serie di uscite con cui il giovane cantautore romano vuole portarci a scoprire la sua parte più intima e fragile, attraversando gli aspetti più bui dell’animo umano.
Marco Colagrande è il nome anagrafico di Moci, cantautore romano classe ’97 che prova a superare il trauma dell’inizio post-adolescenza nel migliore dei modi possibili: non uscendone mai e scrivendo canzoni. Nel 2019 pubblica un paio di pezzi e inizia a suonare nei locali cult della capitale, interessando da subito addetti ai lavori e pubblico. Nel 2020 punta a conquistare il pubblico anche oltre i confini capitolini. A marzo di quell’anno, in pieno lock down, pubblica Pensieri Bellissimi, primo singolo estratto dall’album, seguito poi da Primo Piano e Telegiornale.
Il 27 ottobre 2020 esce “MORBIDO”, suo disco d’esordio; una sorta di diario personale di tutto quello accaduto tra la primavera del 2017 e l’inizio del 2019.
Abbiamo voluto intervistarlo per sapere di più del suo percorso artistico.
Da dove nasce l’idea di associare il tuo EP a uno dei film cult dell’horror italiano?
In realtà nasce dal colore rosso: volevo che questo EP fosse rosso. Rosso sangue, rosso fuoco, rosso come tantissime cose che ci servono ogni giorno ma che spesso e volentieri hanno a che fare anche col dolore fisico ed in questo caso con quello autoinflitto, esperienza da cui sono nate queste quattro tracce. Già a metà lavorazione e scrittura sapevo che questo sarebbe stato un EP tutto rosso, quando ci lavoravo con Alessio Leo ho regolato la lampada a LED a forma di Morte Nera di Star Wars che tengo in studio con questo colore solo per sentirmi ancora più dentro a quello che stavamo facendo. A fine disco mi sono reso conto che ognuna delle quattro canzoni parlavano di paura: paura della perdita, paura del silenzio, paura del dolore e paura di “ammettere di aver paura”. Quando Gianmarco Fetoni, il mio fratellone di Sbaglio Dischi con cui collaboro su un sacco di cose, mi ha proposto lo spunto del film di Dario Argento sono impazzito. Adoro quel film, all’ università ho seguito un corso solo sulla sua filmografia e chiaramente sulle musiche pazzesche che hanno dato respiro alle sue opere, è proprio in quell’occasione che ho scoperto che Argento scelse di raccontare immagini così crude e terrificanti per esorcizzare i suoi incubi, esattamente come ho provato a fare durante l’ultimo anno con la scrittura di questo disco.
La tua cameretta è un posto sicuro. Hai dei poster e cose attaccate dentro?
Mi sono trasferito da poco, per ora ho solo una stampa di Enrico Pantani con scritto “Non condivido le tue idee ma mi batterò due colpi nel capo per morire e non ascoltare le tue cazzate”. La mia cameretta però era piena zeppa di poster, foto, volantini, perfino la scatola di cartone di uno dei miei giocattoli preferiti schiacciata ed appiccicata al muro, un vero e proprio delirio. Un delirio di polvere, nastro-carta e buchi nel muro dove per anni mi sono sentito al sicuro, ma ultimamente anche un po’ in trappola.
Scrivere canzoni è sicuramente una forma di catarsi, ma quanto invece può diventare un percorso faticoso di uscire da sé?
Scrivere non fa bene per forza. Guardarsi dentro è importante, è fondamentale ed indispensabile, ma è sbagliato pensare di avere sempre gli strumenti a disposizione per gettarsi nell’abisso di merda che abbiamo dentro ed avere i giusti mezzi per riemergerne più puliti di prima, anche per questo ogni tanto scrivere canzoni ci fa bene al cuore, ma ogni tanto ci porta davanti a ferite e dolori che non abbiamo gli strumenti di affrontare da sol*. Uscire da sé è importante, ma se non abbiamo qualcuno o qualcosa che ci tiene ancorati a terra mentre ci immergiamo rischiamo di rimanere giù. Scrivere “mi faccio paura” non mi ha fatto stare meglio, cantarla dal vivo ogni tanto sì ed ogni tanto no.
Come le scrivi le canzoni tu?
Ogni tanto in tre mesi, ogni tanto in tre minuti. Non ho grandi regole, parto da un giro di accordi, da una frase o da una melodia, ogni volta è diverso, non saprei proprio dirti… sicuramente aspetto arrivi quella roba che mi faccia dire “ehi, partiamo da qui”, se quella cosa non arriva mollo tutto e rimando ad un altro momento.
Se dovessi scegliere cinque album che rappresentano il tuo percorso artistico, quali sarebbero?
Il “White Album” dei Beatles perché è il mio disco preferito, “Requiem” dei Verdena perché è il mio disco rock italiano del cuore, “De Gregori” di Francesco De Gregori perché è un disco meraviglioso da cui imparo ogni giorno qualcosa, “Il sorprendente album d’esordio de I Cani” perché mi ha cambiato il modo di leggere e riscrivere la realtà e “Man Alive!” di King Krule perché gli ho rubato tutti i suoni.
Cosa pensi del panorama musicale italiano teen e dove sta andando il cantautorato classico? C’è un barlume di luce per questo ritorno al punk rock o rientrerà tutto assorbito nella grande voragine del pop all’italiana?
Il mercato si è gonfiato tantissimo negli ultimi anni e come una bolla ci è esplosa in faccia a tutti. Siamo nel momento di calma dopo la tempesta, dopo che “l’alternativo” ha subito un corso di normalizzazione fino a diventare l’ordinario, si sta creando di nuovo uno spazio per le realtà che propongono qualcosa di diverso, a volte fresco a volte meno, quel che importa è che ci sia spazio per tutti. Poi ci sono dinamiche di merda: i boomer frustrati che ti vogliono spiegare dall’alto dei loro fallimenti che a 25 anni se non hai sfondato ormai hai finito, l’ansia del giovedì sera a refreshare Spotify for artist per guardare come vanno le playlist, ma anche l’estrema chiusezza verso la musica estera che lascia filtrare quei 3-4 nomi per poi spalmarli su tutto il panorama italiano, della serie che il primo o la prima che riesce a filtrare l’estetica e la musica di qualcun* che sta facendo il botto negli USA è bollat* come la versione italica del cantante o della cantante “X”, a quel punto chiunque nel panorama provi ad avvicinarsi a quel mondo musicale viene subito visto come una versione meno fresca del primo arrivato, una vera e propria provincialissima guerra tra poveri. Per il resto il punk o il cantautorato, come la bossa nova, la musica sacra e i canti tibetani, sono cose immortali, finché chi si cimenterà in un genere musicale lo farà comunicando autenticità e sincerità nulla si appassirà o morirà; finché ci sarà interesse, curiosità e terreno fertile per le realtà alternative ci saranno anche strumenti a disposizione per le persone che gli facciano capire quando un pezzo punk spacca davvero i culi o è un’imitazione di un’imitazione di un’imitazione con zero realtà dietro, tipo io da piccolo che al Romix mi sono travestito da John Travolta in Pulp Fiction e un pischello mi ha fermato dicendomi “No vabbè fra troppo fico il cosplay da blues brother’s, famose ne foto”, probabilmente il mio cosplay non era abbastanza sincero.