I Not a Sad Story vengono da Palermo, sono un duo e fanno una sorta di mix fra trip-hop e indie. Orecchiabili, coinvolgenti e accessibili, ma allo stesso tempo lontani dai trend o dalle logiche di mercato, probabilmente anche per questo motivo con i loro brani riescono a far emozionare.
“Rimane l’odore”, il loro nuovo singolo, tratta un tema delicato perché è stata scritta dopo un lutto che ha coinvolto Daniele Stagno, uno dei due membri insieme a Filippo Cimino e racconta l’elaborazione della malattia e della scomparsa del padre.
Colpiscono certi passaggi nel testo caratterizzati da un iperrealismo quasi brutale, come la morfina sul comodino o la vasca da bagno dove galleggiano i peli pubici, ma “Rimane l’odore” non è un brano che vuole mettere tristezza o scioccare; semmai fa breccia nel cuore e nell’immaginazione di chi la ascolta e smuove qualcosa che giace dormiente in profondo.
I ragazzi ci hanno raccontato meglio il loro progetto.
Not a Sad Story: come avete scelto il nome del vostro duo e quanto è rappresentativo per voi?
F: Credo che l’idea o l’ispirazione sia venuta a Dani, non ricordo bene da dove, fatto sta che Not a Sad Story piacque e quindi fu aggiudicato. Ha avuto sin da subito un tono quasi confortante.
D: Ricordo che stavamo attraversando una fase di cambiamento dovuta alla sostituzione del batterista del progetto precedente (Airport). Ma sentivamo l’esigenza ripartire dal punto in cui tutto era cominciato, solo io e Filippo. Così abbiamo iniziato a pensare a un possibile nome. Un giorno, seduto sul divano, mi sono detto – visti anche una serie di eventi sfavorevoli che stavo vivendo – “sai che, nonostante tutto, non è una storia triste?” Così me lo sono ripetuto più volte in mente, sentendolo cucito addosso alla nostra storia. Ne parlai con Filippo e fu d’accordo. È stato subito rappresentativo e significativo per noi, perché nel nome era insito il primo segno di resilienza, e racchiudeva quella forte connessione con il pubblico che abbiamo cercato di instaurare da sempre, come a voler diventare una cosa sola, tanto da utilizzare il nome stesso del gruppo come frase di chiusura dei concerti (“stasera insieme, per un’ora o poco più, non è stata una storia triste”. Condividere le proprie emozioni e fare sì che siano di riflesso per chi ascolta non è una storia triste, anzi.
“Rimane l’odore” è un pezzo che è stato scritto a seguito di un’importante perdita. Quanto è stato importante per affrontare il lutto? In che modo è stato d’aiuto?
D: “Rimane l’odore” non è stata scritta subito dopo la scomparsa di mio padre, anzi ho impiegato molto tempo prima di scriverla a causa di un forte blocco con la scrittura. In tanti momenti ho pensato di non essere più capace, di non stare percorrendo la strada giusta, arrivando a pormi tanti interrogativi. Una notte ho cominciato a suonarla e di getto è nata. Non è mai stato scritto il testo di “Rimane l’odore” e ad oggi non esiste foglio o appunto che la contenga. È stata sputata fuori. Così l’ho registrata, nel modo migliore che avevo a disposizione. È stata di fondamentale importanza, affinché mi sentissi di nuovo vivo, affinché facessi i conti con l’uomo che stavo diventando, e ha segnato inevitabilmente un cambiamento, oltre che la volontà di scrivere in italiano.
Seguite la scena musicale siciliana? Come vi inserite all’interno di essa?
F: Sì, già da molti anni. Cesare Basile, Uzeda, Stokka&MadBuddy, Roy Paci&Aretuska, gli Omosumo. Dentro
questa scena siamo prima di tutto fan, poi il resto.
D: Quest’anno ad esempio abbiamo potuto osservare una forte presenza a Sanremo (Davide Shorty, La Rappresentante di Lista, ColapesceDimartino). Allo stesso tempo siamo felici di vedere la crescita di validi artisti come Simona Norato — che ha contribuito alla realizzazione di un bellissimo disco come IRA di Iosonouncane. La freschezza degli Heron Temple o di Fortunato, e la leggerezza dei giovanissimi Gelardi al Limone (che leggeri non sono). Penso che i Not a Sad Story siano uno dei pochi duo (se non l’unico) che riesce a mettere al centro del loro progetto la canzone italiana accompagnata da una ricerca sonora pregna di influenze elettroniche e trip-hop.
Parliamo un po’ del vostro modus operandi: come nasce un pezzo firmato Not A Sad Story?
D: Di solito si comincia quasi sempre dalla composizione della base. Una pratica che ci ha sempre molto affascinato, attratti dal concetto del distruggere per ricostruire, è quella del sampling – campionamenti da vinile, frammenti di altre composizioni, voci stratchate, etc. Una volta individuata la linea generale mi confronto con Filippo che revisiona la base arricchendola e completandola. Nel frattempo io provo a capire quali emozioni mi suscita e cosa voglio comunicare di conseguenza nel testo.
F: Con il tempo abbiamo sviluppato un modo individuale di comporre e abbozzare idee. Ci sono periodi in cui ci si scambia più volte lo stesso progetto, si stratifica sempre più con suoni e intuizioni, e poi magari ne usiamo solo il ritornello (ci sarebbe un modo meno caotico, lo so!).
In che modo, invece, il contributo di Roberto Cammarata ha dato una svolta alla vostra musica? Quali sono stati i principali cambiamenti e in che modo ne siete stati arricchiti?
F: Ha portato tutto, noi stessi compresi, a un livello superiore, tecnico e umano. Una persona semplice, chiara ma soprattutto competente e di buon cuore. Sa come cavare il meglio dalle persone.
D: Roberto Cammarata è stato fondamentale. Non sappiamo cosa abbia pensato lui nel momento in cui siamo entrati in studio, con bozze da circa un minuto e mezzo di otto brani, però sappiamo cosa ci ha lasciato. Io ero convinto di saper scrivere una canzone, ma con lui mi sono reso conto che una canzone ha bisogno di tante cose. È vero, se il pezzo è forte funziona anche solo con voce e chitarra, ma se hai l’esperienza e la capacità lo puoi arricchire con intuizioni ed elementi che svoltano il brano. Roberto ha avuto questo potere.
Nel corso della vostra carriera artistica avete pubblicato dei pezzi sia in italiano che in inglese. In base a cosa scegliete la lingua per esprimervi al meglio?
F: In base a quanto vogliamo complicarci le cose, forse.
D: Personalmente io ricollego la scrittura in inglese a un periodo fortemente adolescenziale della mia vita, dove in qualche modo si tende a emulare e a essere contaminati da ciò che si ascolta – Crystal Castles, Placebo, Frusciante – oltre a facilitare la performance canora. Ad oggi sentiamo la necessità di comunicare con la nostra lingua, ma non escludiamo altre possibilità in futuro.
Avete qualche messaggio per chi sta affrontando un lutto proprio in questo momento?
F: Ricordo questa citazione di un francese, credo: “abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza, che
dall’assenza nasce la potenza”.
D: Credo sia giusto prendersi del tempo, ma senza isolarsi. L’aiuto che puoi ricevere è tanto importante quanto sottovalutato. Personalmente ho esorcizzato il lutto attraverso la musica, ma è possibile farlo con qualunque cosa ti offra l’opportunità di esprimerti. Inoltre credo che nella vita non ti avvenga nulla che tu non sia in grado di sopportare, e probabilmente giunge nel momento in cui si ha bisogno di cambiare.