Un disco che abbiamo apprezzato molto in quel connubio interessante che vuol far incontrare il modo francese a quello americano di pensare al suono e allo storytelling d’autore folk. Russo Amorale, all’anagrafe Ugo Russo, pubblica ben 2 video e torna così a dar voce a “Europe”, disco davvero molto interessante per la nuova scena d’autore italiana. In francese, in italiano, disco di controcultura ma anche disco di pop ricercato, di quel modo di fare che sembra poggiarsi sulle parole più che cercare con ostentato bisogno un gusto popolare. E l’amore diviene cifra stilistica come anche la libertà, l’esistenza che prescinde dall’apparire. Poi ci colpisce la sicurezza di un timbro vocale che imprime decisa personalità al tutto.
Torni a dar voce ad un bellissimo disco come “Europe” che oggi ritrova ben due videoclip. Partiamo da qui: come mai questa scelta?
Questo album meritava videoclip che valorizzassero i brani e volevamo rendergli giustizia, dopo un periodo di bocce ferme per tutto il settore musicale; come puoi immaginare, nell’ultimo periodo non è stato affatto semplice promuovere prodotti discografici. Idem per quanto riguarda la pianificazione di giorni di riprese. Qualche mese fa, abbiamo approfittato di un momento di tregua pandemica e di una mia permanenza in Francia per organizzarci con i miei amici videomakers di Red Road. I due video di “Ma l’amor mio non muore” e “Alberto Neri” sono il risultato della nostra piccola avventura nel verde delle montagne dei Vosgi, rispecchiano bene un momento in cui siamo tornati a respirare.
“Ma l’amor mio non muore” per molti è una bandiera di resistenza non solo culturale ma anche politica. Resistenza che potrebbe anche significare amore in senso alto del termine. Come la vedi?
Effettivamente, “Ma l’amor mio non muore” è un titolo che si inserisce in una rete molto fitta di rimandi intertestuali: è il nome di un film muto del 1913, del manuale delle controculture degli anni ’70, un verso della canzone “Emilia paranoica” dei CCCP… Mi piaceva molto l’idea di inserirmi in questa catena di rimandi simbolici. Sappiamo che la politica, come l’amore, è una questione di affetti e passioni. E le più grandi protest songs sono canzoni d’amore. Guarda caso, “Amorale” contiene sia “amor” che “morale”, eh!
Secondo te in questo tempo assurdo che stiamo vivendo, la musica in genere sarebbe capace di “accorciare le distanze di una cartina geografica”?
Credo che ti stia riferendo proprio alla copertina del mio album che rappresenta una piantina dell’Europa accartocciata che unisce magicamente la mia terra adottiva e la mia terra natia, ovvero l’Emilia e la Lorena… Pensare che la musica sia in grado di spostare le montagne o fermare le guerre è forse wishful thinking. Io sono comunque convinto che le canzoni, oltre ad essere delle “cose molto interessanti da fare con l’aria” (per parafrasare Tom Waits), siano piccole parentesi che possono modificare il tuo rapporto con lo spazio e il tempo. Ed è già tanta roba.
Bellissimi questi video che troviamo in rete ma su tutto devo chiederti: come hai messo uno sgabello sul lago?
Non avevo gli stivali da pesca quindi abbiamo dovuto svuotare il lago per poi riempirlo di nuovo, puoi immaginare che casino… Altroché video low-budget!
E a parte questo… perché restituire alla tua musica uno scenario così selvatico?
Qualcuno mi ha fatto notare che il mio album è pieno di riferimenti naturalistici a piante, animali, alberi… Io non mi ero mai accorto di questa presenza massiccia del paesaggio nelle mie canzoni. Credo quindi che l’ambientazione molto alla “Walden” (ovvero vita nei boschi) dei video sia l’espressione di una componente nascosta ma molto pregnante del mio lavoro. Ho trascorso l’infanzia in campagna, sarà forse un nostalgico ritorno alle origini…? Insomma, d’ora in poi forse mi definirò un post-cantautore cripto-ecologico (ride). Grazie per l’intervista!