– di Riccardo De Stefano –
L’evento più atteso da grandi e piccini è finalmente arrivato: Sanremo 2022 e la grande parata del nuovo pop italiano sono presenti per essere divorati dai giudizi di professionisti e dilettanti, nel grande rito sacrificale della musica italiana.
L’ordalia inizia con dodici artisti su venticinque, tra i fantasmi del natale passato (Gianni Morandi, Massimo Ranieri), le minestre riscaldate (da Achille Lauro a Giusy Ferreri, che aprono e chiudono la serata musicale) e i vincitori plausibili, più qualche enorme punto interrogativo.
Il sentimento vago che aleggia durante la serata è quello di una grande perplessità generale, dove c’è chi fallisce miseramente e chi inciampa qua e là. Poche sorprese, pochi brani memorabili. Tutta SIAE, ma quello sempre. Andiamo a vedere i giudizi.
Achille Lauro con l’Harlem Gospel Choir, “Domenica”
Quando passi dall’essere l’ospite speciale a (di nuovo) concorrente, qualcosa non va. Lauro poteva diventare la star che sperava di essere, ma il lockdown gliel’ha impedito: Sanremo lo fe’, disfecelo il COVID. “Domenica” è un clone di “Rolls Royce” (cosa che “Me ne frego” non era, per quanto se ne legga in giro), il che fa piombare Lauro nella parodia di se stesso: se l’unica cosa che aveva era il suo essere “diverso”, è finito per rimanere uguale. Peccato. NO.
Yuman, “Ora e qui”
Le doti del performer le ha e il pezzo è buono, per quanto ordinario. La verità è che stampa e pubblico celebrano solo quello che conoscono o amano l’avvenenza: per sua sfortuna, Yuman è un emergente e non è Damiano dei Måneskin, per questo prenderà molto meno di quello che merita. Di nuovo peccato, ma per motivi opposti. SÌ.
Noemi, “Ti amo non lo so dire”
Il pezzo è di Mahmood e si sente. Noemi non lo canta benissimo, o forse la melodia è troppo sfilacciata, per cui il risultato finale è a metà. Un buon brano che poteva dire e dare qualcosa in più, ma che si scioglie in una scarsa memorabilità, un po’ come tutta la carriera di Noemi. NÌ.
Gianni Morandi, “Apri tutte le porte”
Prendete Jovanotti, Rick Rubin, un sacco di hype, shakerate in mezzo il settantenne più social italiano e quello che avrete è un brutto pezzo pop da avanspettacolo anni Sessanta, con un testo ignobile, da denuncia, per cui mi vergognerei di mettere il mio nome sui credits (se non per i bei soldoni che ne verranno). Gianni Morandi è una brava persona e non si può volergli male, si commuove pure, quindi ha già vinto la medaglia al valore umano, ma la canzone preferisco lasciarla nel cassetto dei brutti ricordi. NO.
La Rappresentante di Lista, “Ciao ciao” – Leggi la nostra recensione!
Una volta facevano art rock, ad altissimi livelli, poi sono scivolati verso il pop con buoni risultati, ma “My Mamma” ha deluso enormemente le aspetattive. Questo nuovo brano segna la terza fase della loro carriera dove – pare – hanno deciso di lasciare da parte le peculiarità della loro proposta per abbracciare soltanto l’esuberanza della performance e l’estrosità del look. Un brano decente, vecchio, leggero e inutile: c’è a chi piace anche questo. Rimpiango però “Go Go Diva” e quella stagione fortunatissima e magica. NÌ.
Michele Bravi, “Inverno dei fiori”
Bravi è bravo, se mi si permette il gioco di parole, ma gli manca sempre qualcosa. Forse non ha abbastanza carisma, forse non ha abbastanza gusto nello scegliersi i brani, fa il suo e non sbaglia, ma non eccelle. Canta e se ne va, difficilmente facendoci provare qualcosa di più forte di un timido sbadiglio. NÌ.
Massimo Ranieri, “Lettera di là del mare”
Ranieri si ricorda di avere settant’anni – a differenza di Giannone Morandone Nazionale – e si butta anima e core in un pezzo autoriale, molto coraggioso, che inciampa in un lirismo vocale che, ahimè, incrina l’emozione del brano con qualche macroscopica stonatura. Rimane una bella canzone, con la giusta intensità, anni luce dalla pochezza di tanta altra roba pop in gara. SÌ.
Mahmood e Blanco, “Brividi” – Leggi la nostra recensione!
Il duo più chiacchierato di Sanremo (e delle classifiche, a questo punto) arriva come vincitore annunciato sul palco dell’Ariston e vince a mani basse: la canzone prende il meglio dei due e riesce a bilanciarlo bene, senza essere un capolavoro (per probabili limiti artistici del duo) ma palesandosi dalle prime note come il brano più forte della serata. Canzone che unisce melodia, atmosfera, sound e attitudine riuscendo a essere moderno eppure adatto al contesto, sorprendentemente. A meno di ribaltoni a sorpresa, sarà il vincitore (ma stiamo attenti a Elisa, chissà). SÌ.
Ana Mena, “Duecentomila ore”
La quota internazionale quest’anno va alla Spagna, con un’interprete come Ana Mena che è come l’Italia de La meglio gioventù: bella e inutile. Il brano è quasi oltraggioso nel saccheggiare i migliori CCCP di “Amandoti”, bagnando però il tutto nel peggio della produzione latineggiante degli ultimi anni. Un brano fuori stagione di cui non sentivamo il bisogno. NO.
Rkomi, “Insuperabile”
Se prendi del rock solo il cliché, otterrai i Måneskin. Se ai Måneskin togli il talento e l’X Factor, otterrai Achille Lauro. Se ad Achille Lauro togli l’estetica e il carisma (e le velleità artistiche) otterrai Rkomi, ennesimo ex rapper convertito al pop e compresso nel (proto) rock, fatto di luoghi comuni, chitarroni e vestiti in pelle. Brano brutto, per un artista senza alcuna credibilità né talento. Ricordatevi: per fare bene il pop (/rock) serve saper scrivere, non basta essere “facili”. NO.
Dargen D’Amico, “Dove si balla” – Leggi la nostra recensione!
Considerato – e annunciato come – il “cantautore rap”, Dargen D’Amico, a oltre quarant’anni, si presenta sul palco senza nulla che lontanamente ricordi né il cantautorato né il rap. Il brano è una leggera marcetta disimpegnata, sguaiata e svociata che del suo essere insulsa non si vergogna, anzi, ne fa vessillo, pronta a difendersi dalle giustissime accuse di vacuità nascondendosi dietro il dito del: «È un pezzo leggero, fatto per divertirsi, basta con questa seriosità!». Molti lo hanno (anche giustamente) paragonato a “Una vita in vacanza” de Lo Stato Sociale, che, però, non scordiamolo mai, è tra le cose più becere proposte negli ultimi anni a Sanremo. Come d’altronde questa canzone del “poeta del rap”. NO.
Giusy Ferreri, “Miele”
Giusy Ferreri non credo abbia mai avuto molto da dire, prendendo quello che le è stato offerto senza grossi problemi e passando dai brani finto-Amy Winehouse ai reggaeton estivi di enorme successo. Sicuramente riconoscibile come performance, va presa per quello che è: una cantante senza identità artistica che rende tutto quello che le arriva normalizzato al suo stile e alla sua performance. Il brano come singolo non è neanche ignobile, ma vorrei davvero conoscere e capire meglio chi sarebbe disposto a sorbirsi un concerto intero della Ferreri. NO.
In sostanza, una prima giornata mediocre, con pochissime idee e tanto talento sprecato, in nome – forse – di una spendibilità commerciale che è anche comprensibile, per quanto avvilente (sì, Rappresentanti, sto parlando di voi). Se Mahmood e Blanco si confermano super fresh, in odore di santità e di vittoria, per ora questo Sanremo si conferma un enorme passo falso rispetto gli anni scorsi, seguendo comunque un trend iniziato con la stanchezza dell’edizione 2021.
I Måneskin, che pure hanno rappresentato una novità a Sanremo, non hanno trovato per ora epigoni e con facilità si mangiano tutto quello che è rimasto sul palco, confermandosi in ogni caso performer superiori a tutti gli altri lì intorno e anche capaci di emozionare con “Coraline”, da sempre uno dei brani più forti del loro repertorio e relegato all’angolo in favore di brani sicuramente più furbetti, ma decisamente più beceri, come la fortunatissima “I Wanna Be Your Slave”.
Non ci resta che attendere il secondo giorno, che potrebbe confermare o ribaltare il risultato di un Sanremo mediocre, dove solo chi ha un po’ di talento è riuscito ad emergere, ma si sapeva già.