– di Michela Moramarco –
Simone Cecchetti non è solo un fotografo musicale affermato nel panorama italiano e internazionale. Se mai vi foste chiesti “Chi è Simone Cecchetti?”, una delle tante risposte potrebbe riguardare il suo modo di vedere le cose: mai banale. Un’altra possibile risposta potrebbe essere la visione del documentario che porta appunto questo titolo: “Chi è Simone Cecchetti?” è disponibile on demand su Sky Arte e racconta le peculiarità artistiche del fotografo riconosciuto da numerosi protagonisti della musica italiana. In ultimo, questa volta “Chi è Simone Cecchetti?” l’abbiamo chiesto al diretto interessato in questa intervista.
Parliamo del tuo percorso, un percorso legato alla fotografia. Qual è stato il momento di svolta in cui ti sei accorto che sarebbe stata la tua strada? C’è stato un momento in particolare o è stato un processo di scelta naturale?
Direi che è venuto tutto in maniera naturale, non c’è stato un concerto o un evento. Forse ti direi T in the Park, quindi in un contesto straniero con tutte quelle band in cui pensai che forse poteva diventare un lavoro.
Un fotografo è un artista e in quanto tale ricerca un proprio stile personale. Come è andata la ricerca della riconoscibilità?
Questa è comunque una cosa che sta dentro di me: non riesco mai a fare una cosa banale, ma in generale nella vita. Quindi andare a fare le foto ad un concerto, stare lì e pensare di farle come tutti gli altri semplicemente non ha senso, è una cosa che non mi è mai appartenuta. Sin dall’inizio sono sempre riuscito a dare un taglio particolare e comunque uno stile riconoscibile. altrimenti sarei stato come tutti gli altri e non avrebbe avuto senso, ecco. A che serve?
Fotografare musicisti è un po’ un’attività da sogno, insomma. Ma quali sono le difficoltà più importanti legate a questo percorso?
Beh, è un percorso per pochi. Come puoi immaginare sotto un palco importante arrivano poche persone, al massimo una decina. Quindi arrivare in quei contesti è questione di voglia di fare. Del resto, come per tutte le cose, è questione di impegno.
Qual è una delle cose più bizzarre che ti è successa avendo a che fare con i musicisti?
Bizzarre non saprei. Sul palco sono tutti artisti, ma in fondo sono persone normali, almeno la maggior parte. Quindi situazioni veramente bizzarre o assurde non saprei dirtele. Magari le situazioni più carine si verificano tra il pubblico. Il retropalco, del resto, è un ambiente in cui devi avere comunque un minimo di confidenza con gli artisti, sempre nel rispetto degli stessi. Magari nei festival dove ci sono anche più artisti si possono creare altre situazioni. Ma di cose estremamente particolari non ti so dire, non me la ricordo.
La narrazione visiva è cambiata in questi anni, sicuramente: come è evoluto il tuo approccio a questa attività, anche in senso tecnologico ecc.?
io ho iniziato direttamente con il digitale, anzi, la pellicola la sto considerando più adesso, allo stesso modo in cui qualcuno ad oggi si appassiona ai vinili. Non sono mai stato contrario al supporto digitale o al cellulare. Se uno deve fare una bella foto la fa sia con un cellulare che con una macchinetta di ultima generazione Anzi, chiaramente il digitale è comodo per l’immediatezza, che può essere un vantaggio che prima non c’era.
Concludendo: cosa diresti a un giovane fotografo che vuole intraprendere la via della fotografia musicale?
Innanzitutto, speriamo che ritornino i concerti, quindi se si dovesse ripartire davvero, direi di provare a fare un po’ di esperienza nei piccoli club per poi provare il colpo grosso con i concerti più importanti.