Un disco davvero interessante e ricco di ispirazioni quello che sdogana al pubblico il nome dei Synthagma Project, formazione nu-folk che nasce dalle “ceneri” degli InChanto. Ispirazione alta in qualche modo, che arriva direttamente dalle antiche scritture di testi su cui si adagiano composizioni dal suono che ignora spesso la propria natura e le proprie origini, amalgamandosi invece in un unicum dal forte retrogusto futuristico, che intende celebrare l’impatto emotivo prima di ogni cosa. Ed è così che una ghironda smette di essere tale e danza con una chitarra elettrica dagli spigoli lisergici e ad una voce che fluttua come un misterioso miracolo fiabesco. Composizioni inedite su testi antichi assieme a scritture totalmente inedite. Il tutto condito con inevitabili improvvisazioni catturate al momento. Si intitola “Onirica” questo primo lavoro dei Synthagma Project pubblicato da RadiciMusic. Immergersi senza filtri e pregiudizi è tutto quel che resta da fare.
La scena indie non è solo elettronica al servizio della canzone d’autore ma stiamo assistendo sempre di più alla comparsa di progetti che cercano tanto altro. Anche questa è musica, la nostra musica italiana… non è così?
Il fenomeno “indie”, inizialmente legato al punk e ad un certo rock, ha permesso di gestire il “prodotto” musica in un modo libero da schemi usuali e dai lacci delle grosse case discografiche, allargandosi in seguito anche ad altri generi musicali. Negli ultimi anni ci sembra, però, che la scena indie si sia “involuta” ed orientata piuttosto verso una sorta di “pop” leggero. Questo probabilmente fa parte del gioco delle “major” che cercano di cavalcare il fenomeno per ritagliarsi ulteriori fasce di mercato, presentando come nuove e trasgressive delle realtà che di nuovo e trasgressivo hanno poco o nulla (basta vedere l’ultima edizione di Sanremo).
Fortunatamente molti gruppi non si lasciano sedurre da queste sirene e cercano comunque di andare per la propria strada, allargando i loro orizzonti verso altri generi e culture, magari partendo proprio dalla tradizione, italiana e non, senza preclusioni di sorta: smontando, prendendo ciò che è più utile e assemblando il tutto in modo originale. Noi speriamo di essere tra questi.
Per restare sul tema, secondo voi perché si avverte un crescendo di progetti che cercano l’evasione e la contaminazione in composizioni che polverizzano totalmente la consueta forma canzone? Come mai secondo voi prolificano progetti di così alta sperimentazione come il vostro?
Forse per i consueti corsi e ricorsi storici di qualunque attività umana. Negli anni ’60 gruppi come i Beach Boys negli Stati Uniti, i Beatles in Inghilterra, ma anche il nostro Battisti avevano cercato di cambiare gli schemi classici della forma canzone: da lì era partita la splendida stagione del “progressive rock”, spazzata via alla fine degli anni ’70 dall’avvento del punk (un po’ come le invasioni barbariche al tempo dell’impero Romano). Siamo passati poi alla stagione del glam rock e della new wave da cui sono comunque scaturiti esempi notevoli. In seguito ci sono stati molti anni di “appiattimento” musicale, in cui le “Major” hanno investito non sull’originalità, che avrebbe bisogno di tempi più lunghi, ma su ciò che tira al momento in modo da ricavarne un profitto immediato: “tutto e subito”. Adesso, almeno ce lo auguriamo, siamo arrivati ad un livello di saturazione di tutto questo sistema perverso. Ciò sta determinando in molti musicisti il bisogno di riappropriarsi della creatività privilegiando la “sostanza” della musica e non solo l’immagine fine a sé stessa come fatto sino ad ora. La musica “deve” essere contaminazione e cercare di staccarsi da quanto fatto in precedenza: questo perché si evolva in modo da risultare veramente creativa, come e più di qualunque forma d’arte.
E la sperimentazione per i Synthagma Project da dove nasce? Qual è la radice che mette in moto le idee?
Probabilmente è dovuto al fatto di essere nati…nel secolo scorso attraversando molte “ere geologiche” musicali: da qui nasce la voglia e, diremmo, il bisogno di coniugare tutte queste esperienze. Se vogliamo continuare con questa sorta di metafora “Darwiniana”, preferiamo essere organismi unicellulari in grado di evolversi, piuttosto che dinosauri destinati all’estinzione (musicale). La radice che dà origine al tutto è quindi la voglia di mutazione: cambiare melodie antiche, la voce, i suoni dei nostri strumenti trasformandoli in qualcosa di altro, in modo da risvegliare tutte le volte il nostro interesse e di conseguenza anche quello di chi ascolta, senza adagiarci troppo sul già fatto.
Con il progetto Synthagma abbiamo voluto dare un taglio netto al modo di lavorare rispetto alle esperienze precedenti, esperienze che comunque ci hanno dato molte soddisfazioni.
Improvvisazione? Quante cose sono nate proprio al momento delle registrazioni?
I brani nati completamente in studio sono due: “Eclipse” e “Fragments”, rispettivamente il brano più lungo e quello più corto del disco. Però in tutte le composizioni c’è, più o meno estesa, sempre una componente improvvisativa. Molte parti strumentali, vedi “Rota temporis” o “Tempus est iocundum”, ma anche vocali come in “An outlandish lullaby” sono nate al momento: semplicemente accendendo le macchine e iniziando a suonare su poche cose prestabilite come può essere stata una sequenza armonica o un loop ritmico. In seguito magari le abbiamo reincise perché il suono non ci convinceva in pieno oppure c’era qualche imprecisione di troppo, ma l’idea iniziale nasceva comunque dall’improvvisazione. In alcuni casi, tuttavia, abbiamo addirittura preferito conservare la “prima” esecuzione che, seppure con una qualità sonora inferiore, risultava molto più espressiva ed originale rispetto alle successive.
Dal vivo un disco come “Onirica” è riprodotto fedelmente o lasciate che anche lì ci sia ampio spazio per un divenire libero e ispirato?
Per ciò che riguarda i concerti possiamo dire di seguire un po’ un doppio binario. Una parte dei brani vengono riprodotti con una stesura molto vicina a quella del Cd, magari togliendo alcune sovraincisioni per dare maggiore risalto alle parti suonate live, riservandoci comunque la libertà di variare molte parti solistiche e di inserire elementi nuovi di volta in volta. Altre composizioni vengono invece quasi totalmente eseguite con modalità e sonorità diverse: è questo il caso di “Adam Lay” (brano che non ha trovato spazio sul Cd) o di “Huron Carol”. C’è da dire che certe soluzioni venute fuori durante i concerti hanno spesso sostituito le cose scritte in un primo tempo. D’altra parte suonare dal vivo, pur con certe limitazioni, è sempre molto stimolante: solamente lì puoi toccare con mano se sei riuscito a coinvolgere il pubblico comunicandogli le tue emozioni. E allora… diventa magia!