A Roma diluvia da almeno due tre giorni e sembra essersi trasformata in una città del nord Italia. Sabato 24 febbraio Bianco ha suonato al MONK presentando il suo ultimo album “Quattro”, uscito il 19 gennaio per INRI, e ho avuto la possibilità di farci quattro (amichevolissime) chiacchiere.
Il primo singolo con cui hai anticipato l’album è “Felice”, sembrerà banale, ma tu sei felice oggi?
Si, sono felice! Quando si parte in tour, nonostante ci sia una grande squadra di lavoro, sento molto la responsabilità di questo momento per cui non ho quasi mai il tempo di chiedermi se sono felice o no (ndr: ride). Vado avanti quasi per inerzia e ho così tanti pensieri in testa che magari ci penserò a fine tour!
Alcuni brani di “Quattro” hanno dei titoli enigmatici. Ci sono un dei numeri come ad esempio “30 40 502″, perché?
Con quella canzone ho raccontato l’evoluzione della mia vita legata alla mia famiglia. Siamo: io che ho trent’anni, mio fratello che ne ha quaranta e i miei genitori che ne hanno 60. Mi viene facile analizzare queste fasce di età e pensarci un po’ su…quella roba di non perdere la forza e di avere dei progetti da “grandicelli” è una cosa a cui mi piacerebbe fare attenzione per sempre. Questa canzone serve a non dimenticarlo. I miei per me sono un grandissimo esempio perché a sessant’anni hanno dei progetti meravigliosi insieme, cose che farebbero due sposini dopo il viaggio di nozze.
Tre anni fa “Guardavi per aria”. In questo album ci sono molte più storie che si intrecciano e spaccati di vita. Cosa è cambiato e come sei cambiato?
Innanzitutto non mi andava di parlare più troppo di me stesso, ho preferito ribaltare i miei pensieri su storie altrui, personaggi inventati, piuttosto che parlare e raccontare di altre persone, come dei miei amici, parlare ai miei amici. Vera ed unica esigenza dal punto di vista dei testi. Poi dal punto di vista musicale ho voluto far sentire il suono che avevamo maturato in questi quattro anni di concerti insieme con i ragazzi della band. È cambiato l’incipit.
Cosa significa “Quattro”, oltre ad essere il quarto lavoro in studio?
Quattro siamo noi membri della band come quattro sono stati gli anni di lavoro intenso. Tornava troppe volte questo numero per ignorarlo ed è stato come un modo per celebrare un fantastico compleanno, il quarto per l’appunto (ndr: ride).
E proprio il quarto brano dell’album si intitola “Fiat”, e a me piace tantissimo, ti va di raccontarmi cosa ti ha spinto a scriverlo?
La Fiat a Torino è un simbolo importante. Io l’ho utilizzata come simbolo del “diventare grandi” e di quando le persone hanno un’esigenza di trovare un posto fisso e di piazzarsi. A Torino la Fiat ha sempre rappresentato: il lavoro fisso, un’altra presenza che si prende cura di te. L’ho presa come simbolo anche per raccontare una situazione mia “super-personale”.
A proposito di Torino…tu, Willie Peyote, Cosmo ed altri, ho sempre percepito la scena torinese diversa dal resto della penisola…
Noto che la differenza per esempio con quella romana di questi ultimi due anni. A Torino non accetteremo mai di fare qualcosa di simile ad un altro progetto, quindi cerchiamo tutti di trovare e approfondire la nostra autenticità e di esprimere il nostro gusto. Magari sono meno i progetti di successo perché non vanno dietro ad un filone ben preciso, quindi ognuno deve proprio ritagliarsi e scoprire che cosa vuole essere. Se pensi a me, se pensi a Willie Peyote ci sono elementi in comune ma siamo molto diversi, Levante ormai è sul pop più estremo. Questa è la peculiarità dei musicisti torinesi: non voler a tutti i costi assomigliare a qualcun altro. Se penso anche a Roma, Calcutta e anche Coez hanno creato un po’ una strada da seguire…
In realtà tu hai avuto modo di interagire con un romano doc: Niccolò Fabi. Quanto, il rapporto musicale con lui, ha influenzato il tuo nuovo album?
Inconsciamente tantissimo perché lui è un personaggio “grosso”, gigantesco. Lavorare con lui per due anni mi ha lasciato tanto. Quando mi sono trovato a scrivere il disco, dal punto di vista del suono abbiamo cercato di allontanarci il più possibile anche se è stato molto difficile. Avendo suonato, anche con i ragazzi, con lui per due anni il rischio di riproporre lo stesso mood era alto. Dal punto di vista dei testi, forse ci possono essere delle contaminazioni sui contenuti ma non penso sulla forma, sono sempre io.
Benedetta Barone