– Di Giacomo Daneluzzo –
Lelio Morra è un cantautore napoletano, milanese d’adozione; dopo l’esperienza in alcuni gruppi e quella da ghostwriter, Lelio ha iniziato una carriera solista, dapprima con Universal, per poi passare, dopo un periodo di pausa, alla neonata etichetta indipendente milanese Solid Records. L’abbiamo intervistato la sera dell’uscita del suo primo album solista, Esagerato, in casa di una sua amica a Milano, in cui si stava per tenere una grande festa organizzata da Lelio e il suo staff per aspettare la mezzanotte e ascoltare il disco tutti insieme. Mentre prepara una genovese (ricetta di un sugo di carne tipico di Napoli, ndr) beviamo una birra e chiacchieriamo un po’ del nuovo album e della sua storia.
La prima domanda che vorrei farti riguarda proprio Esagerato: non è il tuo primo album, ma è il primo a nome Lelio Morra (i precedenti sono stati pubblicati con i progetti Eutimia e JFK e la sua bella bionda, ndr). Lo senti più “tuo”?
Quando ho pubblicato il primo album avevo vent’anni, il secondo otto anni dopo. Le band sono famiglie che a volte finiscono: ognuno prende la propria strada. Con tutti i membri delle vecchie band sono comunque in ottimi rapporti e mi piacerebbe, un giorno, riprendere qualche canzone di quei periodi. Quando ho scritto l’album dei JFK tornavo da un viaggio in Francia, che per certi versi ha rappresentato l’inizio di qualcosa. Poi mi sono trasferito a Milano, ho iniziato a lavorare per Universal, con cui ho pubblicato tre singoli, finché quest’esperienza professionale non si è conclusa. Ho avuto modo di prendermi del tempo, ho incontrato persone nuove con cui ho registrato l’album e con cui ho formato una nuova squadra. E adesso siamo qua con Solid Records, la mia nuova etichetta, che sta lavorando alla grande! Per tornare alla domanda sì, il disco è una fotografia concreta di me stesso oggi, sicuramente.
Hai viaggiato parecchio, da Napoli fino in Francia, per arrivare a Milano. L’attitudine al viaggio è l’effetto di un animo irrequieto da artista tormentato o sono state esigenze esterne a richiedere questi spostamenti?
Entrambe le cose. Essere un musicista contempla inevitabilmente anche il viaggio, perché viaggiando si ha la possibilità di incontrare persone, raccogliere storie che diventano stimoli, vengono metabolizzate. Non sono una persona irrequieta… Ciclicamente, forse: ci sono alti e bassi, è fisiologico. Ho avuto l’esigenza di spostarmi da Napoli, benché la ami follemente, da un lato per questa concezione di ciò che amo fare come un viaggio, ma anche per la consapevolezza che Milano rappresenta la possibilità di inciampare in nuove occasioni. Città strana, Milano. Movimentata.
Avevi la mia età, diciannove anni, quando hai vinto il premio De André come miglior interprete. Che cosa vorresti dire o consigliare, da trentatreenne, all’adolescente che ha vinto quel premio?
Vorrei dirgli che fa bene a credere in ciò che fa e nell’energia che gira intorno alla musica. Non saprei come rivolgermi a quel me di 19 anni. Per certi aspetti non è cambiato nulla, per altri tutto, completamente.
Che cosa non è cambiato?
La fortuna di concepire l’emozione che ti dà la musica. Molto spesso delle decisioni prese nella mia vita sono state suggerite da canzoni. È rimasto questo, credere. Credere a canzoni che scrivi o che hai la fortuna di ascoltare e che ti rappresentano. Questo è un elemento che ha una forza importante per me, che per fortuna è rimasto.
Ho visto che nelle tue “bio” su vari profili in giro per internet si legge sempre che scrivi “di quel che merita di finire in una canzone”. Che cosa merita di finire in una tua canzone?
L’esatta combustione tra uno stato d’animo e ciò che si percepisce. Una sensazione, se la cogli, diventa una canzone e quando succede mi rendo conto che forse è il caso di scrivere. Ma ci si può anche sedere su una sedia e mettersi a scrivere in modo più contemplativo, anche se preferisco la prima opzione.
Quindi tu scrivi più di getto, nell’ispirazione, piuttosto che metterti metodicamente alla scrivania a scrivere canzoni?
Sì, sono più di questa prima categoria. Però considero valido anche un approccio più metodico.
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