Dischi di questa scena indie che arrivano da personaggi dalla carriera importante, densa, ricchissima di collaborazioni ma soprattutto di deviazioni di genere. Andrea Ricci parte da “alcune lacune” della sua vita per pescare un moniker, Alcunelacune appunto, che possa dare la faccia e il suono a questo disco che parla di rinascita, di resistenza, di coscienza con cui far di conto. Ed il pop italiano, di matrice indie, prende forme sghembe che vi consigliamo di ascoltare dentro questo disco dal titolo “Coolage N°1”. La personalità di annida dentro le mille volute che di rado siamo abituati ad accettare sempre senza poco stupore. Un disco interessante che va meditato a lungo. In rete il video ufficiale a cura di Grègori Dassi.
Benvenuto a questo disco di Andrea Ricci. Posso dirti subito che la copertina somiglia davvero poco al disco e al suono che contiene?
Capisco perfettamente la tua osservazione e per certi versi la condivido. In realtà, ben dopo aver scelto quell’idea grafica (disegnata da me ben prima del disco), mi sono reso conto che mi rappresenta bene. So benissimo che nel mio disco ci sono pezzi molto diversi tra loro per genere, per suono, per scrittura.
È un collage di elementi che però cerco di tenere insieme nel tentativo e nella speranza di scoprire un disegno più ampio che abbia senso guardato da lontano (nello spazio e nel tempo).
I cubi per me rappresentano tutte le persone, le situazioni, i momenti che mi rendono ciò che sono. Per questo il disco si chiama Coolage e non collage. In un collage i ritagli sono cose date, che arrivano da un altro spazio, da un altro tempo. Per me invece ogni elemento è sempre vivo, in movimento, in continua trasformazione. Ci sono sempre pezzi che possono aggiungersi o staccarsi. Volare via. E poi io vengo dalla musica in levare, dal two-tone degli scacchi bianchi e neri dell’iconografia ska che nella mia copertina hanno preso il volo avventurandosi in un’altra dimensione.
“Coolage N.1”. Subito la domanda da ufficio: l’inizio di una serie di coolage?
Per “definizione” Coolage non può essere finito. E anche se questo fosse l’unico disco con questo titolo o l’unico che faccio in assoluto non potrebbe chiamarsi COOLAGE e basta.
Ovviamente io spero di poterne fare altri. Ho già materiale a cui sto lavorando. Canzoni e musica che scalpitano… Ma non so dirti se un eventuale secondo disco si chiamerà Coolage n.2. Magari si chiamerà Carlo, Patrizia o magari direttamente Coolage n.3.
E siamo anche portati a fare dei riferimenti ai Vallanzaska, una delle tante militanze della tua biografia artistica. L’ironia in questo disco dove l’hai messa (se ne hai messa)?
Bella domanda. Ci hai preso. “Ironia” è stata la parola chiave che mi ha fatto voltare pagina. Devo confessarti che proprio il fatto di stendere su qualunque cosa il velo dell’ironia è stato il motivo per cui ho voluto chiudere la mia fantastica esperienza con i Vallanzaska. Sentivo che era un modo per dire una cosa ma allo stesso tempo prenderne le distanze. Sentivo il bisogno di avere il coraggio di scrivere una canzone d’amore senza paura. Di scrivere una canzone triste per davvero.
O uno decide di puntare veramente su quello (vedi Elio e le storie tese), oppure, a meno che tu non sia veramente un poeta, l’ironia rischia di depotenziare tutti i sentimenti: l’amore, l’odio, la rabbia, la tristezza. All’epoca sognavo una band come i Mano Negra. Un gruppo militante capace di prendere posizione con chiarezza sulle cose. Così sono nati i Solidamòr, ma lì sono successe altre cose… Poi penso che in età adulta per usare l’ironia si debbano avere prima le idee chiare. Bisogna aver capito bene quello di cui si parla. Io proprio non sono così sicuro di aver capito nulla. E sto cercando di diventare grande. E poi diciamolo, quando avevo vent’anni non mi facevo tutti questi problemi ovviamente e a cuor leggero scrivevo versi tipo “cazzo c’è Orazio pirata dello spazio” o “Vorrei vedere le piramidi di Cheope ma sono miope”. Altri tempi.
Un disco che nasce dalle lacune… e di questi tempi, le lacune sono tante. Questo per te cosa ha significato?
Le lacune, le mancanze, i dubbi sono parte di me. Pure troppo. Gli amici spesso perdono la pazienza perché io rimetto sempre tutto in discussione, non sono mai sicuro.
Ma, parafrasando Bennato, è proprio questo il mio vantaggio e non ci rinuncio. Specie in un periodo incerto come questo infondo mi trovo abbastanza a mio agio. Non sono abituato alle certezze.
E sono comunque una persona molto fortunata sotto tanti aspetti rispetto a molti altri. Penso a tanti amici musicisti che davvero se la stanno passando malissimo… speriamo nella primavera!
E sono fortunato anche per le persone che ho intorno e che colmano le mie lacune. Manfredi Perrone, ha partecipato alla scrittura dei testi e mi spinge sempre a guardare meglio le cose. Gianluca Mancini, con cui suonavo ai tempi dei Vallanzaska, che mi ha accolto al Mai Tai Studio e cerca di farmi sentire le cose in modo diverso. Donato Brienza, che oltre a suonare la chitarra, mi prende per mano e mi tira fuori dalle paludi in cui spesso mi infilo.
Dal vuoto, dall’assenza si rinasce e si coltivano grandi cose? Sarà per questo che il mondo di oggi, riempiendosi di troppe cose, sta perdendo morali e valori?
Sul fatto che ci siano troppe cose intese come oggetti concordo. Sul resto faccio fatica a rispondere. Dal vuoto e dall’assenza possono anche nascere mostri terribili, valori sbagliati, morali coercitive. Per il resto io sento che il prima, il dopo, la nascita, la morte, il vuoto e il pieno, il valore e la sua assenza siano cose che convivono, che devono convivere. Quindi faccio fatica ad essere nostalgico, anche se spesso mi sento inadeguato a questo presente così veloce.
Se dovessimo chiederti del suono di Alcunelacune? Che etichetta daresti?
Diciamo che io non ho cercato un suono in particolare. Quando ho iniziato a registrare non avevo ancora idea che quei pezzi sarebbero finiti in un disco. Con Gianluca, ci siamo fatti portare di volta in volta dal brano, dalla situazione, dall’umore e abbiamo cercato di valorizzare al massimo quello che accadeva. In generale le persone con cui lavoro, l’umore, il luogo mi condizionano e non posso fare a meno degli altri. Riguardo all’etichetta ovviamente COOLAGE.