Eccolo l’esordio di Alessandro Ferretti. Si intitola “Basta Walter!” e come detto siamo dentro quel bel rock inglese che prima di ogni cosa richiama alla mente la pulizia di pilastri come Beatles, Paul Weller e tanta allegra compagnia a seguire. Un disco che all’urgenza di aversi risponde con una soluzione di arrangiamento molto meditata e misurata, un rolling vellutato che in fondo non sfoggia chissà quale eccentrica trasgressione… composto a fare il verso alle grandi produzioni inglesi, manco a dirlo. Forse pecca dell’ingenuità di non avere forme e melodie vincenti al primo ascolto…
“Basta Walter!” è un titolo che suona come uno slogan e come un urlo
ironico, ma custodisce anche un omaggio nascosto a Brian Wilson. Mai
come ora sono curioso di sapere perché questo titolo.…
È un “inside joke” tra amici e mi fa sempre ridere. In più volevo omaggiare Brian Wilson in qualche modo dato che, specialmente qua in Italia, non viene mai preso troppo in considerazione secondo me.
La tua scrittura sembra costruirsi per immagini e piccole
sceneggiature sonore – da “un vecchio ingordo sulla poltrona” a “un
operaio sul divano svedese”. Quanto cinema e quanta realtà quotidiana
c’è dietro tutto questo?
Poco cinema, la sufficiente quantità di realtà quotidiana e tanta immaginazione per compensare le altre lacune.
Ed il suono secondo te corre parallelo in questo alla lirica?
Visionario e cinematico anch’esso secondo te?
Per me nella musica il suono viene sempre prima e il testo in un certo senso “si adegua”, quindi il suono segue la sua via e le parole cercano di seguirlo. Credo sia come il linguaggio: le parole sono importanti ma il linguaggio del corpo in realtà dice molte più cose e molto più profonde.
Hai detto che la molla iniziale non è stata un’urgenza espressiva, ma
un desiderio di fare musica per puro piacere. Credi che questa
leggerezza, questa gioia disillusa, possa essere oggi una forma di
resistenza?
Jim Morrison disse “un giorno anche la guerra si s’inchinerà al suono della chitarra”. Se non ci è riuscito lui e nessun altro mostro sacro del rock non vedo come le mie canzoncine di merda possano essere una forma di resistenza.
Un disco che nasce da un’urgenza intima… dunque la dimensione umana,
quella personale… conta più del risultato finale?
La mia urgenza era strettamente legata a fare qualcosa che mi piacesse, quindi il risultato finale è quello che conta più di tutto alla fine.