È uscito il 15 giugno il vostro nuovo album “Graffiti”. Come mai questo titolo metropolitano?
Dirò la verità: io racconto sempre che lo abbiamo scelto perché rappresenta un po’ il mood del disco. Non è vero! (Ride) Il fatto è che abbiamo partecipato al bando della SIAE e per l’iscrizione richiedevano il titolo dell’album dicendo che poi sarebbe stato possibile cambiarlo, e noi avevamo questo titolo “Graffiti” che usavamo anche per le tracce incompiute, abbiamo buttato il titolo così ma poi non è stato più possibile cambiarlo. Una volta era anche la proposta per il nome del gruppo, pensa te…
Però la presenza della realtà urbana milanese c’è ed è importante nelle canzoni.
Si beh penso che chi parla di sé stesso, delle cose che vede e che fa, o che inventa dei racconti ad hoc, soprattutto nella musica, sia super influenzato dalla città in cui vive, forse una volta le cose che dicevo erano più “chiuse”, ora invece penso che la vita che faccio a Milano rappresenti bene anche la vita che fanno molte persone della mia età. Alla fine esiste un po’ ovunque la vita di quartiere.
Pensi che ci sia molta differenza con i quartieri di Roma, per quello che vedi?
Assolutamente. Con alcuni amici dicevamo che la differenza fra Milano e Roma è che a Milano non esiste una vera e propria scena, mentre da Roma ne vediamo uscire moltissimi.
E che spiegazione vi siete dati?
Mah credo che a Roma emergano molti più cantautori favoriti dal fatto che tanti locali gli danno possibilità d’espressione e visibilità. Un evento come “Spaghetti Unplugged”, che porta band sconosciute con materiale inedito, a Milano penso che non se lo inculerebbe nessuno. Da noi (purtroppo) funziona di più l’evento: se ad esempio Nike facesse un evento con band sconosciute, venderebbe. Il prodotto deve essere vendibile fondamentalmente. Il lato positivo è che secondo me da Milano escono gruppi più originali e che in live sanno tenere il palco, anche se questa cosa la soffro un po’.
Però voi non siete di primissimo pelo, avete partecipato alla scorsa edizione di X Factor. Ci si sente ancora “emergenti” dopo un’esperienza simile?
Dipende con che testa vai a fare un programma in tv. A parte che nel nostro caso è stata una lotta decidere se andare o meno. Una volta presa la decisione, ci siamo avvicinati ad X Factor con la consapevolezza che quello non sarebbe stato poi il nostro mondo, che era solo un mezzo televisivo, che saremmo pure potuti essere sputtanati o al contrario esaltati per ogni stupidaggine, e che il pubblico che avremmo guadagnato probabilmente se ne sarebbe andato. Disincantati e con la testa sulle spalle, infatti il compromesso per andare era che avremmo proposto solo ciò che avevamo già eseguito dal vivo.
Non c’è quindi la voglia di scrollarsi di dosso lo “stigma” dei fuoriusciti dai talent.
Per come lo abbiamo affrontato noi, no. Se ci avessero chiesto di preparare le coreografie ti avrei detto di sì (ride). Anche perché poi come termine di confronto ci sono i numeri di Spotify: logico che “Pianosequenza” abbia avuto un certo seguito, ma il resto dell’album riesce a tenere il passo.
Hai parlato di “Pianosequenza”, il vostro disco è pieno di cinema.
Sì capirai, il nostro batterista fa il videomaker…ma poi soprattutto noi quando non suoniamo ci ammazziamo di serie tv e anime giapponesi! Anche nell’ultimo album degli Arctic Monkeys ci sono molti riferimenti, e a me siccome piace creare delle immagini e chi le crea meglio dei musicisti? Il cinema!
E adesso che farete?
Siamo stanchi perché comunque quest’anno abbiamo fatto tantissimo. Adesso faremo una pausa, poi qualche data fino a settembre, poi vorremmo scrivere cose nuove da riportare nei prossimi live da gennaio. Poi magari tutto questo piano cambierà domani!