«L’arte di lasciar andare è meglio di scopare»
– di Gabriele Colombo –
L’ARTE DI LASCIAR ANDARE
La mia compagna ascoltandola sorpresa mi ha detto: «E dove cazzo l’hai lasciata questa canzone per tutti questi anni?». E io sorpreso: «Boh, l’hanno scritta poco tempo fa».
L’ascolto è consigliato in coppia, ma soprattutto da solo, così mi ha prescritto il medico quando gli ho detto che ero afflitto da una specie di sindrome di perfezionismo cronico. Il testo può andar bene per molte circostanze, io ne prendo spunto per quello che risuona dentro di me mentre la ascolto.
IL PARADOSSO DELLA COSTANZA
Quante volte abbiamo inseguito momenti di brillantezza, picchi di performance, istanti di genialità? Eppure, nonostante questa ricerca costante, oppure a volte proprio a causa di questa ricerca costante, c’è sempre un qualcosa che ci blocca, una cosa naturale come il respiro.
I Baustelle con arte di leggerezza dipingono un momento che tutti noi abbiamo provato, quello del tenere tutto dentro, soprattutto nell’incontro con l’altro, anche se poi il vero scontro è dentro di noi, ed è anche quello vissuto con più ferocia.
Quindi, «amore mio, cosa ci tiene in ostaggio il respiro?» Questa è una domanda che mi piace molto, per capire che a volte i picchi sono solo un momento di apnea e non di respiro piacevole. Quando respiri male, spesso pensi male. Ed è come andare in una costante guerra, in un costante rincorrere qualcosa che non ci darà mai nulla di soddisfacente, incastrati in quel bisogno ossessivo dove non c’è (e forse non ci deve essere) la possibilità di godere della tua massima prestazione.
Solo chi respira bene prima di un’ottima performance o prima di un confronto importante, riesce a dare il meglio e a contenere quel «demone che non serve a niente».
Lasciare andare è staccarsi da quello a cui siamo così profondamente attaccati che quasi non ne vediamo più i contorni, i confini, ed è un concetto che potremmo avvicinare alle religioni orientali, in maniera però molto superficiale.
La ricerca costante del meglio, mantra invece delle culture occidentali, è una trappola che ci porta sempre a «cercare di voler capire questa vita che senso ha». Anche in questo caso però si rischia un’analisi superficiale.
Tante volte con gli atleti mi permetto di ricordare che è solo nell’imperfezione del loro gesto tecnico, quello che contiene gli errori naturali che ognuno di noi porta con sé, che ogni persona passa dall’ossessione per il miglioramento al godersi il momento presente, come spazio di crescita che non ha nessuna finalità logica.
ACCETTARE E ARRENDERSI
Solo quando non ripeti «il peccato originale, il non sapersi arrendere» trovi nell’eterno ora e nell’assenza di ricerca ossessiva di qualcosa che non c’è, la vera felicità, nel tuo intimo e nelle relazioni con gli altri.
Arrendersi alla realtà, il vero trucco per provare quella sensazione perfetta in cui ognuno di noi sa che l’eccellenza sostenibile non è fatta di fuochi d’artificio, ma di un costante filo di luce, chiara come nelle mattine di primavera, che passa attraverso le tapparelle e, nonostante le difficoltà, illumina con gioia quel tempo stupendo del dolce risveglio.
NAUFRAGARE VOLONTARIAMENTE
Forse il vero amore è questo volontario naufragare nella realtà. Se sapessimo soltanto dare per abbandonare, senza più cercare di voler capire questa vita che senso ha. L’amore può essere qualcosa di superiore a piaceri momentanei, portandoci a considerare che forse la vera maestria non sta nel controllare ossessivamente ogni aspetto della nostra giornata, ma nell’arrenderci consapevolmente al flusso naturale dell’esistenza. Come le rondini che accettano i cicli di migrazione, anche noi possiamo riconoscere i ritmi naturali della nostra creatività e produttività.
L’ACCETTAZIONE COME STRATEGIA
Quando accettiamo che alcuni giorni saremo semplicemente adeguati, né eccezionali né terribili ma good enough, come dicono gli americani, liberiamo un’energia nuova. Molti di noi cadono nella sindrome da supereroe, che suona come la convinzione di poter sempre andare contro la tempesta, di avere infinite energie e forza mentale. Questa mentalità, apparentemente positiva, nasconde una trappola: quando inevitabilmente incontriamo i limiti che la realtà ci pone (sconfitte e delusioni esistono e non ci puoi fare nulla), il contraccolpo può essere devastante. Paradossalmente, è proprio questa accettazione che ci permette di essere più consistenti e, nel lungo periodo, di raggiungere risultati più significativi. Nel lavoro, nello sport e soprattutto nelle relazioni interpersonali, che penso sia l’ambito in cui ognuno di noi voglia la pace e voglia essere capace di lasciare andare, in maniera molto semplice, naturale quasi, prendendo spunto dall’outro della canzone:
«Se sapessero come volare senza decollare
E come passeggere rondini
Accettare di dover migrare o di morire qua»
La costanza non è glamour come l’eccellenza occasionale. Non fa notizia, non crea dipendenza. Eppure, come l’acqua che modella la roccia, ha il potere di trasformare profondamente nel tempo. Le rondini che migrano ogni cambio di stagione sono monotone, ma portano avanti l’evoluzione della loro specie con costanza. In maniera quasi provocatoria accettare diventa la risposta a questa costante voglia di innovazione e del concetto di «Everything is possible».
Come insegna infatti Jay Shetty, tu non puoi essere tutto quello che vuoi, ma puoi essere tutto quello che sei.
DOMANDA
Cosa noti quando smetti di inseguire i picchi di eccellenza e inizi ad accogliere la costanza nella tua arte o nel tuo lavoro? Quale nuova energia senti emergere?
«La nostra cultura celebra l’intensità, ma la natura rispetta la costanza.
I fiumi non corrono sempre impetuosi, eppure continuano a scavare canyon attraverso le montagne»