Blocco Note è un viaggio tra le righe della scrittura musicale, guidando a fari spenti tra i vissuti emotivi e creativi nella vita di un artista.
Un podcast ideato, scritto e condotto dal mental coach Gabriele Colombo, un viaggio tra gli aneddoti, le note ed i blocchi che sorgono dietro un processo creativo. Un’esperienza dove la creatività e l’anima si fondono in un’unica armonia, rivelando il connubio tra note e vita.
Cosa vive, cosa prova, cosa fa un’artista prima, durante e dopo aver creato una canzone? Blocco Note è un percorso suddiviso in tre blocchi con una sequenza temporale e spaziale in cui l’artista rivela il suo essere senza parlare del “chi sono”, ma partendo dal “dove sono quando scrivo e come creo”. Un viaggio al buio, tra le note dell’artista, partendo da storie di vita vissuta e narrate attraverso le parole di chi crea. Storie di uomini, di donne. Storie di chi ispira e crea magia, arrivando a chi non conosce, a chi non sa nulla della sua vita.
Che ritmo ha la mente creativa?
Partendo dal concetto musicale del tempo e dello spazio creativo, il podcast vuole approfondire il delicato equilibrio tra l’arte di scrivere musica e le esigenze del music business, l’incastro tra vita privata e vita artistica. Le sensazioni, le reazioni e le azioni di chi genera elaborati artistici sono importanti per chi si immedesima in quelle parole e le vive come reali ogni volta che usufruisce di quel prodotto.
Ma quali emozioni suscita questo viaggio in chi crea?
Cosa sente un artista quando riascolta le canzoni, quando le interpreta dal vivo, quando ripensa a quando le ha scritte o quando qualche fan dice che quello che ha scritto parla anche della sua vita quotidiana?
– di Gabriele Colombo –
L’amore per la musica accomuna molti atleti di gran successo e tutti noi.
Le immagini dei giocatori di qualsiasi sport che arrivano con grandi cuffie allo stadio è ormai diffusa e quasi banale. Spesso mi chiedo. Ma cosa staranno ascoltando?
Hanno bisogno di musica piena di energia o solo di musica tranquilla? Cercano le parole giuste o il ritmo giusto?
Ognuno di noi vive la musica in maniera diversa e in questa rubrica, che prende il nome dal mio podcast Blocco Note, voglio guardare alle liriche delle canzoni che mi hanno ispirato di più collegandole a riflessioni più ampie sul benessere mentale. Userò la mia pratica da sport coach per suggerire anche come usare le frasi più potenti del testo per stimolare una evoluzione del nostro pensiero, partendo dal mantra che QUANDO cambia come pensi, CAMBIA anche quello che puoi fare.
Un testo che nell’ultimo periodo mi ha molto fatto pensare è la canzone di Marracash Vittima. Marra, lo chiamo come se fosse un mio amico ma alla fine le sue parole sono presenti come un amico nella mia testa, è un autore a cui riesco a dedicare solo ascolti consapevoli. Le sue canzoni non sono mai da sottofondo, ma quando partono le devo ascoltare in ogni dettaglio.
Vittima non fa eccezione. Senza entrare nell’analisi tecnica del testo, cosa che non sono capace di fare e che potrebbe solo offendere la bravura dell’autore, propongo alcuni estratti delle sue rime e delle riflessioni molto pratiche su come guardare a questa canzone come ad una ispirazione per evolverti.
Come molti bravi rapper le prime barre (lo scrivo solo per far capire che ascolto questa musica dal 1994) sono quelle che ti portano subito in quello che la canzone potrà darti, e questi inizio può regalarti molto.
Se guardi indietro, lo sai che non sei di vetro
Hai retto di peggio, eppure temi di cedere sotto il peso
Che farai adesso? A chi darai la colpa?
Alla tua zona? Agli istituti? A una famiglia storta?
Tu vuoi raccontarti che sei stato vittima
Che rispetto agli altri la tua rabbia è più legittima
Quante volte hai pensato di farla pagare a tutti
Sei solo riuscito a farti pagare, non li hai distrutti
Nessuno credeva in te, allora ci hai creduto troppo tu
Fino a identificarti in ciò che ti hanno tolto, senza più
Anche se nel testo troverai il tema della resilienza io preferisco proporti un altro tema, molto più potente: l’antifragilità.
Quando infatti riconosci che NON SEI DI VETRO, le difficoltà passate non hanno solo il valore della resistenza, ma hanno rafforzato la persona. Paradossalmente, è proprio l’aver “retto di peggio” che ha costruito la capacità di affrontare nuove sfide.
Un sistema antifragile accoglie gli shock come opportunità di crescita anziché cercare apri espiatori, trasformando i fallimenti in informazioni preziose piuttosto che in scuse.
La narrazione vittimistica è incompatibile con l’antifragilità: mentre il vittimismo legittima l’immobilismo, l’antifragilità prospera nell’azione e nell’adattamento creativo alle avversità.
È poi c’è la parte finale in questo inizio spettacolare, uno di quelli che ti fa tornare indietro all’inizio, cosa che da ragazzino facevo schiacciando il testo RWD nel mangia cassette, adesso invece è più veloce, ma sempre potente. Come da ragazzino anche io pensavo che NESSUNO CREDEVA IN ME e anche io ho creduto troppo in me, come molti atleti con cui lavoro che nelle difficoltà cercano solo l’autostima forzata (Quella che ti fa dire che sei forte anche se non ne sei pienamente convinto) e si “identificano in quello che ti hanno tolto”.
Un esempio? Il portiere che non gioca per scelte (ingiuste dal suo punto di vista) dell’allenatore e diventano bravi solo quando vengono scelti dal mister come titolari. Il paradosso in questo caso diventa, come per Marra, che quello che gli altri vedono in te è più importante di quanto realmente tu ti apprezzi. L’opposto dell’identità antifragile, dove ognuno di noi si evolve e si rafforza attraverso le perdite e le ingiustizie, anziché fare come il giocatore che sta in panchina che vede il giocare come tentativo compensatorio che limita ulteriore crescita. La questione infatti non è giocare, ma essere autenticamente il miglior atleta possibile una volta chiamato in causa.
La bravura dell’autore si nota nella chiusura della prima strofa in cui mi ha costretto più volte a fermare la canzone per pensare al tema della profezia che si autoavvera.
“Temi una cosa così tanto che la fai succedere”
In poche parole, la profezia che si autoavvera è quel meccanismo psicologico per cui le nostre convinzioni, aspettative e timori influenzano paradossalmente i nostri comportamenti fino a creare proprio le condizioni che temiamo. Prevedere il peggio è simbolo di debolezza e il tema Marra lo anticipa parlando delle condizioni che creano proprio queste profezie che si auto avverano, parlando direttamente a me che come molti, cerco “una scusa che è più semplice, per ricascarci per esser debole”. È un circolo, questo narrato in poche rime, in cui la paura diventa creatrice della realtà temuta.
Un esempio? L’atleta di livello mondiale in sport di fatica, come per esempio il canottaggio, che si infortuna e al rientro non si sente più bravo come prima ed è spaventato dalla recidiva dell’infortunio. Nel suo comportamento si manifesta il timore di fallire, di infortunarsi nuovamente o di non essere all’altezza producendo tensione, decisioni difensive e comportamenti che paradossalmente aumentano la probabilità che l’evento temuto si verifichi e dove la preoccupazione di “farsi male di nuovo” potrebbe creare proprio quella rigidità che aumenta il rischio di recidiva.
E in quel momento “A chi darai la colpa? Alla tua zona? Agli istituti?”
Qui si introduce il bellissimo tema della presa di responsabilità che Marra richiama in tutto il testo, partendo proprio dal suo passato che ricorda, vorrebbe recidere come radici ma che alla fine si libera solo quando ne prende davvero in mano il proprio destino attraverso un percorso semplice di quando “perdoni loro” altrimenti “non perdonerai te stessa”.
Un esempio pratico? Il fighter che ha perso un incontro per decisione (ingiusta per lui) dei giudici. Solo quando questo ragazzo è passato dal lamentarsi che “i giudici mi hanno rubato l’incontro” alla consapevolezza che lui, come tutti noi, “NON PUO’ DECIDERE al posto dei giudici”, ha spostato il focus su ciò che può effettivamente controllare: la percezione del proprio valore indipendentemente dal risultato.
Su questo punto si appoggia il punto fondamentale del cambiamento che propone, a mio parere, Marracash, quando dice che “Questi vestiti cuciti da Vittima / Se lo decidi, ti pigli quello che verrà / Nessuno si prende responsabilità”
Il vittimismo di batte quando si evita la maschera della vittima e lo si sostituisce con la presa di responsabilità di quello che posso effettivamente controllare e su quello che posso determinare di bello nel mio presente.
Esempio? Il ciclista che si spaventa di fronte ad una gara difficile e ad avversari più in forma di lui e decide di fare una gara di attesa o di andare fuori giri per stare con i migliori.
L’atleta sicuro, non lascia che siano gli altri a decidere, ma controlla le situazioni che può prendere in mano. Quel CONTROLLO che ti permette di ricordarti che tutto dipende da te, senza cadere nell’altra deriva che cita l’autore quando dice che siamo tutti bloccati in quel bisogno “di tenere strette le cose fino all’asfissia come se tutto stesse per scivolarti via”.
Ma è in questi casi piangere non serve, ma è solo quando ti concentri sul proprio benessere mentale si inizia a liberarti del negativo attraverso il principio del LASCIA ANDARE, che in questo testo si riassume nella dicotomia tra chi “LASCIA IL PASSATO e chi non ce la fa”.