– di Angelo Andrea Vegliante –
Da qualche tempo sul sito ufficiale di Produzioni Dal Basso è attiva una campagna di crowdfunding per sostenere il progetto cinematografico indipendente “Una psichedelia nera”. Dietro a questa idea c’è il collettivo Fujakkà, nato in Spagna e da pochi anni arrivato in Italia, che ha come uno dei punti di riferimento il regista Stefano Virgilio Cipressi. Ed è proprio quest’ultimo che, assieme a Samuele Cima e Lavinia Patera, ha diffuso su Spotify un album di 9 brani, “Canzoni per una psichedelia nera”, che comporrà la colonna sonora del lungometraggio. Un modo per contribuire ancora di più al finanziamento del lungometraggio. Abbiamo contattato Stefano Virgilio Cipressi per saperne di più.
Qual è il tipo di concept che sta dietro a “Canzoni per una psichedelia nera”?
C’era un personaggio che tornava spesso quando scrivevo le canzoni o immaginavo il film di cui sarà colonna sonora: qualcuno che si era ritirato (e mi chiedevo da cosa), e che poi era costretto a rimettersi in gioco (da chi? Per che cosa?). Il concept tipico del road movie insomma, ma con una domanda, un’urgenza, politica. Domanda che investiva quell’oggetto misterioso che, ad un certo punto, era diventato il mio Paese, per me. Quindi direi che l’album è nato sulle ceneri di questo personaggio, una specie di Bill Murray sul divano in broken flowers ma meno sornione, meno compiaciuto, che nelle canzoni, lungo il disco, trova motivi per ripartire. Ecco, dunque, il concept dell’album: dove bisogna andare, quando i cocci che vedi erano casa tua? È quello che mi chiedo in “Where to go” e a cui mi rispondo procedendo per “pendenze, smottamenti, rimonte, perché la retta è per chi ha fretta”. Come dicono i Csi in Bolormaa.
Quale tipologie di sonorità avete scelto per l’album?
Andavo in studio e Samuele Cima (il produttore e ingegnere del suono del disco) mi chiedeva in quale spazio, in che tipo di stanza, avvenisse la canzone. Dove ci troviamo? Scorrevo mentalmente il film per trovare il punto dove avrei voluto inserire il brano, da lì raccontavo a Samuele l’ambiente della scena, o uno “spazio ideale” del pezzo. Questa è stata la base per le sonorità del disco. È anche per questo che si passa dal folk al rock per incrociare il noise o melodie più pop, perché lavorare con Samuele (che è anche un ottimo polistrumentista) ti permette di attraversare i generi e scegliere gli strumenti e gli arrangiamenti che ti riportino a quegli spazi immaginari di cui parlavo. È stato un lavoro affascinante e l’Acm Studio di Ciampino per diversi mesi è stata anche un po’ casa.
C’è un tema comune che accompagna ogni brano oppure ognuno vive per conto suo?
Direi che, se si ha la pazienza di ascoltare tutti i testi, ci si accorge che si è di fronte ad un unico viaggio. Qualcuno all’inizio ringrazia il dio delle chitarre elettriche che lo protegge dal rumore dei vicini e dai loro cuori spezzati, poi trova una piazza di lsd (loneliness in the social din) dove vede la statua dell’uomo che ha inventato i sogni nel cassetto, marmo scolpito in mezzo al chiasso del mondo. Poi fantasmi, stanze d’albergo dove qualcuno fa stretching dopo il sesso, o posti lontanissimi dove nessuno ti riconosce. Infine a poco a poco qualcosa rifiorisce, torna l’estate, bianca di loto, e si arriva a Nutopia, la terra felice immaginata da Lennon.
I brani sono stati pensati e realizzati per essere divulgati direttamente su Spotify oppure sono comunque legati esclusivamente alla produzione filmica?
I brani sono registrati su supporto fisico, un cd con tanto di bootleg come ai vecchi tempi e sono anche su Spotify, Youtube e Bandcamp. Acquistare copia fisica o digitale dell’album ci aiuta a finanziare il film. Il disco ha vita propria, sarà soundtrack di “Una psichedelia nera” ma resterà comunque un’opera a parte.
Quali sono state le considerazioni che vi hanno portato a pensare che il pubblico di Spotify potesse essere allettato da un’idea come la vostra?
Io la vedo cosi: cerco di far arrivare a più persone possibili una cosa che ho suonato, scritto, girato. La maggior parte delle persone penserà “Ma chi è questo idiota?” (dagli torto…), ma se qualcuno si ferma ad ascoltare e ne ricava qualcosa, per me va bene cosi. Io non ascolto l’indie di oggi o la trap, ho ancora i vinili, non mi piace molto quello che gira oggi in radio e il tipo di fruizione distratta che se ne fa. Quindi, da signor nessuno un po’ fuori dal mondo, ho messo le tracce su Spotify e, se a qualcuno andranno a genio, ne sarò felice.
La diffusione del suddetto album si aggiunge a una campagna di crowdfunding che punta al finanziamento del lungometraggio “Una psichedelia nera”. Mi puoi spiegare la scelta di questo percorso?
Molto semplicemente parte del budget del film la stiamo cercando di raccogliere tramite raccolta fondi popolare. Il disco ci sembrava un bel modo di restituire a chi donerà qualcosa di fisico, di importante, perché duraturo e fatto con tantissimo lavoro. Il disco in questo senso è l’anticamera del film, tipo quando vai al cinema e quelli che hanno visto il film prima di te escono dalla sala e tu guardi le facce e ascolti i commenti. Sai già quello che ti aspetta.
Di preciso, i soldi raccolti cosa andranno a finanziare?
Pagare i lavoratori e le lavoratrici che lavoreranno al film. E le spese di produzione.
In cosa sono simili e diversi l’album e il film?
A proposito de “I sette samurai”, Kurosawa Deleuze ha scritto che, mentre i samurai si chiedono “come possiamo difendere il villaggio?”, in realtà la domanda che li agita è un’altra: “che ne sarà della figura del samurai?”. Sono sul finire del loro mondo. Il disco e il film, nel loro piccolo, si chiedono dove devono andare, ma in realtà quello che li inquieta è la seguente domanda: “Qual è il mondo in cui vale la pena spostarsi, agire, lottare?”. Il film vorrebbe confrontarsi con la politica dell’immagine, combattere sul suo terreno, quello delle strutture di senso e dell’identificazione al cinema, per procedere su un piano più libero in cui mischiare finzione e documentario per raccontare un pezzo di Paese. Dunque la domanda del film diventa: “Che film vale la pena fare? A quale costo?”. Il disco mette davanti allo stesso dubbio i personaggi che appaiono e scompaiono tra una traccia e l’altra: mentre si domandano dove andare, finiscono per chiedersi come difendere quel poco di villaggio che gli è rimasto”.
Quanta cultura “psichedelia” c’è nella musica e nella futura produzione cinematografica?
Poca in entrambi i casi. Non sarà (purtroppo) un film di Dennis Hopper e non è (purtroppo) un disco dei 13th floor elevators. La psichedelia é un termine di paragone, un paradosso, quando accostato al termine “nera”.
Appunto, trovo che inserire sullo stesso piano psichedelia e nera sia ambivalente. C’è un’idea dietro questa scelta?
Ecco il punto: Kerouac ha scritto una frase in dottor Sax che diceva: “Era uno stupore di mia fabbricazione”. Lo fa dire al protagonista del romanzo nel pieno del vorticoso, inafferrabile flusso di memoria del libro. Questo è, per me che non l’ho vissuto, il kfenomeno della controcultura e dei movimenti di contestazione degli anni 60 e 70: la capacità, al netto della portata politica degli eventi, di costruire per sé stessi qualcosa per cui stupirsi. La psichedelia, quel mondo dilatato immaginifico straniante che assomiglia al ritmo della prosa in dottor Sax, era la somma dei colori, dei modi di esistenza possibile che quei movimenti portarono alla luce. Oggi una follia irrisolta, straniante ma di segno negativo, una sorta di disturbo psichico collettivo che attanaglia il mondo. Una psichedelia, ma nera. Fatta di guerre, nuovi campi di concentramento, dittatura del profitto anche a scapito della stessa sopravvivenza del genere umano. Si fabbrica ancora molto stupore, ma solo perché stupisce che stia accadendo quel che accade. Uno stupore nero.
Cosa ti aspetti dalla diffusione dell’album su Spotify e quali obiettivi vorresti raggiungere?
Fare il film, per dire quel che mi sembra di voler dire. Far ascoltare l’album e far avvicinare le persone all’intero progetto. Tutto qua.
Ritieni Spotify un’ottima vetrina per poter dare risalto a progetti di crowdfunding come il tuo?
Non ne ho idea, sono sincero.