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Nei tuoi brani c’è un uso eloquente di tutto quello che è la lingua italiana. Pensi che sia importante l’uso delle parole nella tua musica?
Sono un compositore felice perché la musica mi attrae e commuove, mi intriga e affascina. Con le parole faccio più fatica perché non tutte si adeguano al suono, spesso perdono importanza e l’italiano non è una lingua così facilmente cantabile. Ci metto mesi prima di decidermi a scrivere la prima parola e sto attento che tutte quante abbiano grande forza ed esattezza.
Un disco che racconta tante storie d’amore in diversi momenti; in Quello che sarà di noi e Pioggia blu sembra che tu creda che l’amore vero arrivi finalmente quando non ti aspetti nulla in cambio. È qualcosa di autobiografico?
Tra gli anni Ottanta e Novanta ho scritto cinque o sei album dove non c’era una grande frequenza di canzoni d’amore, inteso come rapporto diretto con un essere umano. Questo perché a volte parlare di questo tema sembra più un mestiere, piuttosto che un racconto vero. Non è che un artista debba sempre essere vero e autobiografico per fare cose straordinarie.
Canti l’amore carnale con parole esatte e sembra essere una liberazione. È così?
La percezione dell’amore carnale torna fuori, con la mia età, non so se è la bandiera della senilità. L’erotismo ha un suo valore estetico formidabile e avevo già scritto delle canzoni con particolari che tentavano di dare un’idea di odore e trasparenza.
Il filo conduttore può essere anche una sorta di nostalgia per rifugiarsi nel passato? Ma soprattutto, visto che tutti gli interludi si ritrovano nell’ultimo pezzo, questo può essere considerato come una piccola autobiografia in musica?
Sì, ma è un’autobiografia in cui mancano le date, i nomi e i fatti. Più che nostalgia c’è la voglia di lasciare un segno, che queste cose abbiano la possibilità di essere ricordate di nuovo. Era da sette anni che non facevo un album e forse è proprio perché avevo meno da dire, o perché ciò che avevo da dire volevo esprimerlo meglio. Per chi fa musica da tanti anni come me deve combattere con una storia dietro, che vincerà sempre. Ad un certo punto ho quasi pensato che non avrei terminato il disco, perché era troppo complicato. Poi c’è stata l’esigenza di finirlo. Quindi, più che nostalgia, è necessità di fermare il tempo, mettere una specie di punto per andare a capo e fare qualcos’altro dopo.
Come vivi la solitudine?
Non la sento; sono un figlio unico abituato a crescere da solo con una mamma un po’ chioccia. Questo mi ha permesso di andare a cogliere e fotografare alcuni dettagli che non nota chi è invece abituato a vivere in maniera più attiva e dinamica.
Tu parli di “parabola dell’amore”, perché?
In questo disco non ho parlato dell’amore che domina il mondo, ma di quello che deve andare a nascondersi perché il primo lo minaccia. C’è qualcuno che paragona questi giorni e questo momento a quello del dopoguerra, anche se per me la situazione è ben diversa. In quegli anni l’amore esplodeva, la gente si voleva bene, si aiutava ed era certa che il domani sarebbe stato meglio dell’oggi. Oggi invece questa cosa non c’è: domina il cinismo e il singolarismo. Bisogna ripartire non dall’amore utopico ma da quello piccolo, che germoglia piano piano, basato sul fatto che qualsiasi cosa deve passare da un altro e deve vivere per qualcun altro.
Come hai vissuto, personalmente, questo periodo di lockdown e quanto ha influito sul tuo progetto?
La mia vita personale non è cambiata di molto, quindi questa chiusura non mi ha toccato più di tanto. Incredibilmente, però, mi ha fermato il lavoro; è come se questa vicenda mi avesse paralizzato. Mi è sembrata talmente tanto irreale e priva di linee precise che mi ha creato una gran confusione a tal punto da bloccarmi per tre, quattro mesi.
Ci anticipi qualcosa del tour “Dodici note”?
Sono dodici concerti per sessantamila persone e partirà dalle Terme di Caracalla di Roma (è la prima volta che un artista non lirico o un non danzatore faccia così tante rappresentazioni in questo meraviglioso posto), dal 4 al 18 giugno 2021. A questi dodici concerti seguiranno quattro appuntamenti live in due teatri unici al mondo: il 16 e 17 luglio al Teatro Greco di Siracusa e l’11 e 12 settembre all’Arena di Verona. Sono emozionato di ricominciare. Ci sarà un organico con un centinaio di musicisti tra sezioni sinfoniche tradizionali: sessantaquattro musicisti, un coro lirico di trenta elementi, sette voci moderne e poi ovviamente la mia band. L’idea è quella di creare un gran concerto con l’ambizione di vedere e ascoltare tanti musicisti messi insieme. Ho inserito alcuni passaggi ontologici della mia carriera.
Questa storia che è la mia, ultima cosa che vuoi aggiungere sul tuo disco?
È un disco démodé. Non spaventatevi per i settantotto minuti, perché ogni pezzo ha una vita propria. Secondo me, almeno una volta, dovete ascoltarlo in toto, perché ha una drammaturgia alla quale ho badato con attenzione. Dopodiché ognuno ascolti le canzoni che preferisce.