Trascendenze musicali nel vero senso della parola. Il duo formato da Mirko Difrancescantonio e Fabio Pulcini che assieme li conosciamo come gli iBerlino pubblicano un nuovo disco dal titolo “Hai mai mangiato un uomo?” per La Bionda Records… acidi emotivi, saturazioni e mood digitali davvero berliniani. Il superuomo viene sublimato da un suono che si aggrappa al pop di maniera ma che dalle classiche strutture cerca la totale evasione. Figli di un certo mondo alla Depeche Mode (e di certo la voce come l’apparire di Difrancescantonio non lascia spazio ad altre impressioni), gli iBerlino congelano significati a volte troppo esoterici e visionari dentro un design sonoro assai interessante, in bilico tra filosofia istintiva e sperimentazione digitale. Un lavoro da assorbire a piccole dose.
Quanto futuro avete cercato e inseguito?
Nessun futuro. Abbiamo fotografato il presente: volevamo che fosse tutto impulsivo. “A cosa stai pensando adesso? Registra.” Sappiamo che non è un lavoro commerciale, ma perché non tirarlo fuori comunque? Alcuni hanno descritto questo disco come futuristico e apocalittico, come suggestioni ci può stare, ma in realtà a livello di pensiero è molto “presente”: non ci siamo seduti a tavolino pensando “facciamo qualcosa di sperimentale e cupo” ma ci siamo detti “registriamo chi siamo veramente, cosa stiamo provando ora, senza impacchettare nulla”. Io e Fab suoniamo così. Noi siamo così. I nostri spettacoli sono così. Volevamo un disco che ci rispecchiasse e rispecchiasse alcuni momenti che accadono durante la fase di composizione. E volevamo offrire un’alternativa, se vogliamo, il lato più periferico di una città italiana.
Domanda sociale: un duo perché l’arte l’ha voluto o perché è una formula che si vuol mantenere per una gestione snella ed efficace vista la crisi di oggi?
Perchè la vita l’ha voluto. Io e Fab da anni siamo coinquilini. La nostra casa è una sorta di sala prove. In cucina c’è il mixer, i cavi, degli amplificatori. Nelle nostre camere delle chitarre, delle tastiere. In bagno un’armonica. La band nel corso degli anni ha dilatato il numero dei suoi componenti; nel precedente “Follie d’autunno EP” la formazione aveva anche un bassista, un sassofonista, un pianista, un didgeridoo, persino un soprano. In “Hai mai mangiato un uomo” un terzo componente in realtà c’è ed è Susanna Regazzi che è intervenuta con la sua voce in ben 4 brani: “Neve”, “Come andar di notte”, “Intro” e “Non si può vietare in un deserto”: una voce femminile nella notte. Ma il nucleo siamo io e Fab, un po’ come Robert Del Naja fa con i Massive Attack. In questo disco abbiamo sentito il bisogno di risentirci, di tornare a essere in due, come siano nati. Stiamo già lavorando al prossimo, e ci sono un bassista e un batterista/musicista elettronico. Il fatto che ci piace molto interagire con altri musicisti ci ha permesso di sviluppare un senso di “remix” dei vecchi e nuovi brani: li ri-arrangiamo a seconda di chi sarà presente in quel periodo e di quanti saranno presenti. Remixiamo tutto dal vivo, perfino la formazione stessa della nostra band. Alcuni componenti tra di loro non si conoscono perché presenti in live diversi, ricordo il gestore di un locale che a fine concerto vide due dei nostri presentarsi: “ma come, suonate insieme e non vi conoscete?” .Io e Fab dirigiamo le file. Questo ci permette di fare spettacoli da 5 come da due come a volte anche da una singola persona. Ci teniamo liberi in questo. Suoniamo e remixiamo iBerlino stessi. L’idea viene prima del numero. Quindi siamo sia da palco grande che da localino e idem i nostri brani: puoi farli elettronici, rock o in acustico.
Dal vivo la musica di iBerlino è accompagnata anche da una qualche scenografia di luce o di proiezioni… o altro?
Luci, qualche proiezione e…risorse umane. Come ti dicevo in ogni spettacolo tutto viene remixato, compreso noi stessi. Ricordo che una volta, a Napoli, a metà spettacolo salì un tipo che si mise su una batteria e suonò con noi fino alla fine. Un altro ragazzo in un altro spettacolo prese una chitarra e si lasciò andare come fosse ipnotizzato per circa 20 minuti.
Per ogni spettacolo pensiamo a qualche colpo di scena, qualcosa che emozioni e sorprendi ma sopratutto che unisca, che dica qualcosa. Hai un microfono, hai una responsabilità, senza far troppo la morale…o forse sì quando serve e non ne puoi più di certe cose. In un live facemmo salire sul palco un uomo che stava per essere separato dalla sua famiglia perché sfrattati da un palazzo occupato. Ricordo che era il 25 aprile e lui mi sembrò un partigiano moderno: fu un bel messaggio da lanciare. Negli spettacoli attuali stiamo “nascondendo” ad esempio Susanna tra il pubblico; nessuno sa com’è fatta ma durante “Fotografia” prendo una ragazza dal pubblico, ci inizio a ballare e lei ad un certo punto spara un acuto fantastico: quella ragazza è Susanna.
Indie come indipendenti… ma gli iBerlino sono indie come avanguardisti?
Credo che siamo così indipendenti che siamo involontariamente più indie dell’indie. Scherzo su questo, è che penso a quante cose abbiamo fatto indipendentemente da ogni appoggio, da ogni tendenza e talvolta da molte persone. A volte ci sentiamo un po’ isolati, lo ammetto. Per il resto, ammetto di essere turbato quando penso che non c’entriamo nulla con l’attuale panorama musicale italiano indie; a volte mi sento fuoriposto, ma poi penso che suonare non è stata una scelta: è accaduto e per ora mi ha salvato. Credo che non siamo “indie” intesi come appartenenti una tendenza. Credo che siamo indipendenti: la scelta stilistica di questo disco lo dimostra. Tuttavia ammetto che inserire un brano cantautoriale come “Un seme” in questa tracklist è una dichiarazione di predisposizione ad altri generi, in fondo è il ponte con i nostri vecchi lavori. Ad alcuni piace tutto il disco tranne quel brano, ad altri quel brano e non il resto del disco.
Ho trovato una grande somiglianza tra l’estetica dei testi e quella della musica. In entrambi i casi ho visto un completo abbandono all’espressione. Sbaglio?
È proprio così. Abbiamo iniziato a suonare trame di sintetizzatori e chitarra in presa diretta e a ripetizione finché non nasceva qualcosa e in alcuni brani chiudevo gli occhi e cercavo di pescare ricordi. Alcuni brani come “Senti il cielo come me” e “L’età dell’innocenza” hanno pochi versi ripetuti: perché la canzone aveva da dire queste parole e ha trovato un senso compiuto in esse seppur poche. Personalmente ho pensato anche ad alcune hit anni 90 dei Duft punk e dei Chemical Brothers: pochi versi funzionavano, facciamolo in italiano. Proviamo a scrivere delle canzoni con un approccio da “hit da discoteca”. La regola era: dì tutto quello che pensi, anche se quello che pensi è pericoloso. Da qui è nato il verso di “Come andar di notte” che da il titolo all’album: Hai mai mangiato un uomo? “Fotografia”, che sarebbe stato un ottimo titolo per l’approccio impressionista di questo album, non esisteva prima: quella che ascoltate è frutto della sua stessa nascita, è la prima take. Non è però un disco fatto di fretta, è un disco che vuole fotografare l’interpretazione di due persone sul momento, i loro sentimenti, rabbia, gioia, disperazione, e preservare questi stati d’animo senza impacchettarli, senza pensare al “facciamo in modo che piacciano a tutti”. L’idea era “entriamo in studio e registriamo ciò che proviamo dentro di noi”. Pensa, è un disco nato in 8 ore, 8 ore di sincerità.