La nuova frontiera del suono indie passa spesso e volentieri dentro tracciati segnati a fuoco dai grandi classici del jazz e territori affini. Di etichette e rimandi potremmo sfoggiarne molto ma forse il primo passo per il futuro e non affidarsi a orientamenti passati. Ok: niente è originale, ogni cosa ha le sue radici… ma diciamo anche di poterla smettere nel guardare solo queste. “Drink Me” è nato oggi. Pensiamo ad oggi. Disco d’esordio per i giovanissimi Jam Republic, ovvero Marco Marchini (sax tenore), Giosuè Orselli (tromba), Michele Folli (chitarra), Vito Bassi (basso), Mattia Zoli (batteria), Marco Pierfederici (pianoforte, tastiere) e Riccardo Tramontani ( sax contralto), disco uscito per la label Brutture Moderne che di certo non ha bisogno di presentazioni. E se i più fedeli alla linea si sarebbero attesi contaminazioni di carattere “world” con tutte le opportune virgolette, allora è vero che dal jazz si fa un po’ il giro del mondo: dentro questo disco di composizioni che portano per titolo i cocktail a cui si ispirano, c’è l’America e la Germania, l’indie italiano e il pop inglese… e poi? Beh mettetevi in viaggio… e non pensate al passato.
Partiamo da questa copertina che mi sa tanto di Los Angeles, di party esclusivi ma anche di fanciullezza… o sbaglio?
Beh, vedere questo album come una festa è decisamente appropriato, considerando tutti i colori che contiene e alcune “pazzie”, esperimenti sicuramente divertenti che abbiamo provato e con cui abbiamo rischiato.
Perché la dimensione del gioco è un punto centrale, che ne dite?
Decisamente, prima di tutto quest’album nasce come una sperimentazione giocosa, nonostante poi nelle composizioni tocchiamo anche dei toni più seri e sentimentali. Ma la voglia e l’energia di suonare questo tipo di musica divertendosi è insuperabile.
Il jazz… ma anche il rock direi. Un brano come “Negroni Stomp” è decisamente un fuori pista interessante…
La fusion è nata da un incontro tra jazz e rock, e mentre altri brani sono caratterizzate da influenze che toccano anche il rock, Negroni è un po’ il contrario, una sorta di pezzo rock ma con variazioni e soluzioni decisamente atipiche. Abbiamo deciso di includerlo nell’album perché questo tipo di sperimentazione di stili è la base di questo progetto.
La distorsione nel jazz è un vero affronto per i puristi… ma questo non è un disco per i puristi, vero?
Decisamente no, una cosa certa è che Drink Me non è un disco jazz. Confinarsi all’interno di un genere in modo canonico e statuario è esattamente quello che non volevamo fare. Abbiamo optato per la scelta di non limitarci a un unico sound, senza perdere però un sound unico.
Quanto c’è di improvvisato nel disco? E penso molto ad un brano come “Coffee Break”…
Coffee Break e Tea Short, i due “stacchetti”, come li chiamiamo noi, sono quasi totalmente improvvisati.
Nel resto dell’album le parti solistiche sono improvvisate, o partono da una base di improvvisazione e vengono poi raffinate.
I temi, gli obbligati e il resto invece sono ovviamente pensati prima, ma comunque lasciando un po’ di spazio per differenziare l’accompagnamento.
Fa anche parte della nostra identità avere sezioni con arrangiamenti precisi in modo da riuscire a convogliare meglio certe cose.