– di Martina Rossato
foto di Andrea Forgione –
Ramiro Levy nasce in Brasile e all’età di diciannove anni decide di partire per un anno sabbatico. Il viaggio però non è mai finito e Ramiro non è mai tornato stabilmente in Brasile. Dopo un breve periodo in Algarve e poi a Barcellona, approda a Milano dove studia jazz alla Civica.
Lo abbiamo conosciuto con i Selton, ma da qualche anno è nato Khaled Levy, il progetto solista con cui porta il jazz di Chet Baker in giro per l’Italia e non solo.
Ho avuto il piacere di incontrarlo a Varese, tra i tavoli del TuMiTurbi, locale che ormai è punto di ritrovo fisso per i varesini. Poco prima del concerto abbiamo fatto due chiacchiere, tra un bicchiere di vino e l’altro.
Come è nato il tuo progetto solista e cosa ti ha spinto qui?
Il progetto è nato da un’idea che avevo da tantissimo tempo. Per tanto tempo è stata una fissazione esistita solo nella mia testa, da quando ho sentito Chet Baker cantare per la prima volta. È stato molto viscerale, ho iniziato a tirare giù tutto il suo repertorio e lo suonavo in continuazione, fino al giorno in cui ho voluto provare a far uscire qualcosa.
Da quando ho iniziato a portare in giro questo progetto, prende sempre più vita e continua a trasformarsi. Sto imparando tantissimo: è la prima volta che mi trovo a cantare da solo, chitarra e voce. Reggere un concerto da solo è diverso dal suonare coi ragazzi.
Quando c’è stato questo momento di totale innamoramento?
Ho cominciato a suonare la chitarra da quando ragazzino e il mio insegnante mi faceva suonare il repertorio jazz. Però ho sempre avuto un rapporto un po’ strano con il jazz, di amore e odio. Un po’ mi piaceva, un po’ mi annoiava, ma in qualche modo ho sempre insistito, perché sentivo che c’era qualcosa di più profondo. Quando sono arrivato a Milano mi sono messo a studiare, ho fatto la Civica jazz ed è stato lì che ho avuto questa piccola illuminazione che mi ha portato qua.
È una scelta abbastanza controcorrente, la tua. O forse il jazz sta “tornando di moda”?
Allora, non lo so. Secondo me la musica è una cosa eterna, esiste da quando eravamo nelle caverne. Sì, è vero, ultimamente c’è la tendenza a fare musica davanti al computer che deriva dalle dinamiche dell’hip hop. Quando è arrivato nel mainstream ha contaminato tutto il mondo pop, ma secondo me inizia a esserci un ritorno alla musica suonata. Bella tutta questa parte di produzione davanti al computer, però poi la musica suonata è un’altra cosa.
È una cosa anche molto più intima.
Sì, sicuramente. Questo concerto è la cosa più intima che ho mai fatto a livello musicale.
E com’è come sensazione?
È molto molto bella come esperienza, ed è anche un altro livello di ascolto: portando questo repertorio sul palco, sei nudo. Quello che hai è il suono della chitarra e della tua voce, è come se non ci fossero filtri. All’inizio mi metteva un po’ a disagio [ride, ndr], invece sto imparando tantissimo.
Una cosa che mi incuriosisce molto è il pubblico. Senti una differenza tra il pubblico dei Selton e le persone che vengono a sentirti in questo progetto?
In verità, non lo sento così diverso. Spesso gente che sa che suono nei Selton viene a sentirmi per curiosità e poi rimane colpita; poi c’è gente che invece viene a sentirmi perché più affezionata al jazz. È bello perché il pubblico si allarga un po’ in questo senso, ma almeno per ora non sento una grande differenza.
Molti artisti intraprendono carriera solista dopo lo scioglimento del gruppo, tu invece porti avanti due mondi completamente diversi in contemporanea.
Come ti dicevo, per me questa è un’esperienza incredibile! È come se avessi trovato un modo di esplorare una zona, un tipo di musica, un approccio, che nei Selton ha meno spazio. È bello perché, oltre ad essere un’opportunità incredibile di crescita per me, i due progetti si contaminano a vicenda e certe cose sto cominciando a portarle anche di là.
Un po’ è difficile gestire entrambe le cose: quando con i Selton siamo in promo o andiamo a fare concerti devo momentaneamente accantonare questo progetto, anche per non creare confusione. Per me è bello anche questo, però. Quando sono in periodo Selton maturo alcuni aspetti che poi posso portare nel mio progetto e viceversa: una cosa alimenta l’altra.
Invece con i Selton su cosa state lavorando?
Stiamo scrivendo moltissimo, siamo quasi sempre in studio a fare pre produzione e selezione dei pezzi. Ne abbiamo scritti tantissimi, stiamo cercando di capire con chi li produrremo e che forma dare.
Coi Selton ormai suoni da parecchio!
Sì, saranno quindici anni di band! Poi quest’anno, dopo il tour, abbiamo pensato di fermarci un attimo per prenderci il tempo che ci serve per fare le cose per bene. Negli ultimi anni tutto il mondo della musica è entrato nella dinamica del dover sempre far uscire qualcosa, essere sempre veloci. Ci siamo un attimo stancati di quella roba lì, e secondo me non solo noi. Anche prenderci tempo per fare qualcosa di significativo secondo me ha un peso e un senso.
Sta diventando davvero un problema questo della velocità: tutto ha un picco e caduta subito dopo.
Sì, e alla fine se produci tanto e sempre, che cos’hai da dire? Invece, se ti fermi un attimo, hai tempo per maturare e capire cosa vuoi dire. Noi siamo in quel momento: abbiamo scritto tantissimo e ora stiamo dando una forma.
Anche il tuo progetto solista c’è da qualche anno ormai.
Sì, ovviamente con di mezzo la pandemia. Il volume 1 è uscito poco prima del lockdown. Avevo fatto dei concerti alla fine dell’anno e mi ricordo di aver suonato per l’ultima volta prima del lockdown in Brasile, era nel gennaio del 2020.
E invece noti differenze tra il pubblico italiano e quello pubblico internazionale?
Non vedo differenze neanche in quello! Si crea un concerto talmente di atmosfera che quasi non importa in che parte del mondo sono. La prima data che ho fatto con Volume 2 è stata in Brasile, in un teatro molto bello. Si era creata una sinergia incredibile col pubblico, c’era tanta gente commossa, che piangeva. Pensavo fosse una cosa successa lì e che non si sarebbe ripetuta, invece è successo anche a Milano e nelle altre date. Si creano un momento e un’atmosfera davvero unici.