Il nuovo disco di Manuel Rinaldi si intitola “Faccio quello che mi pare”. Siamo ben dentro il midollo di quell’Emilia rock che ha fatto la storia di diverse generazioni di ex adolescenti, tra quel pop radiofonico tinto di rock sempre più rapito dall’America dei grandi miti. Forse, e diciamo forse, il percorso intellettuale di Manuel Rinaldi sembra rispettarne i contorni. Questo disco ci piace dalla prima all’ultima traccia, molto ben prodotto e soprattutto molto ben “reale”. Niente synth protagonisti come accade oggi in misura esagerata. Finalmente un disco suonato, con i calli alle dita e il cuore che pulsa energia di mille cavalli. Incisi accattivanti, strutture decisamente in linea con i target e dei testi reali, popolari e senza troppe sterzate letterarie da finti intellettuali. Un bel disco italiano che parla della vita di tutti noi, oggi. Punto. In rete il video del singolo “Lo stato dei soldi”.
Quanto c’è di americano nel disco di Manuel Rinaldi?
Direi parecchio, ho ri-ascoltato molti dischi degli anni 90 perché volevo delle sonorità che si rifacessero al periodo grunge che nacque nella zona di Seattle. Ho elaborato quel suono accompagnandolo alle mie melodie ed è uscito questo disco.
Secondo te in un mondo di Avatar funziona qualcosa che sia l’Avatar della musica? Come a dire: tra persone di facciata ci vuole una musica di facciata?
Io sono sempre dalla parte dell’ autenticità soprattutto quando si parla di musica. Quello che esprimi e ti viene da dentro ha sempre per me una valenza fondamentale. Non amo giocare con i progetti a tavolino e, proprio per mia volontà, ho lottato per arrivare ad esprimermi alla mia maniera, cercando sempre di più di essere trasparente e vero. Ci vuole una musica che esprima te stesso in quel preciso momento che stai vivendo. Almeno per me è così mi piace esternare quello che vivo, non ho bisogno di Avatar.
E in una vita così di facciata, una musica così reale come la tua, che ambizioni persegue?
Io sono già soddisfatto di aver prodotto 2 dischi in 2 anni e di aver fatto “quello che mi pare”. La direzione che ho voluto prendere è un azzardo lo so e ne sono sempre più consapevole giorno dopo giorno che la strada che sto percorrendo è piena di insidie. Però voglio godermi i miei dischi cercando di prendere quello che viene, l’ambizione più grande in questo momento è presentare la mia musica in un tour.
Un disco suonato. Quanto ha contribuito il digitale nella tua produzione?
Il disco è stato totalmente suonato ma registrato in digitale. Se non fosse stato per il digitale non avrebbe avuto questa “botta”. Il digitale ha portato tanto alla musica, ha “facilitato” le cose da una parte ma ha portato dall’ altra troppa omologazione . Ci vuole cognizione, se hai cognizione riesci a fare dischi registrati in digitale che non suonano tutti uguali.
Qualche buon escluso da questo disco? Ci sono brani che hai lasciato fuori?
Assolutamente si, almeno 6 brani sono stati esclusi. All’inizio i pezzi erano 17 poi con Fabio Ferraboschi (il mio produttore artistico) ci siamo messi lì ad ascoltarli e ri ascoltarli un infinità di volte e abbiamo tenuto quelli che comunicavano di più, quindi da 17 ne sono rimasti 11.
Ti voglio lasciare con uno spunto per un’analisi: comunque un artista vero di musica vera deve rispettare le leggi e le apparenze del mondo di facciata, non trovi?
Certo, io rispetto le scelte di ognuno, si chiama libertà. Il bello della musica è anche questo!
Angelo Rattenni