– di Riccardo De Stefano –
Motta
Live @ Hacienda
8/11/2024
Ci sono due approcci alla musica live, secondo me. Questi due approcci li chiameremo “i live di Paul McCartney” e “i live di Bob Dylan”.
I live di Paul McCartney sono i migliori concerti che vedrete in vita vostra. Sono quegli show dove – anche se avete vissuto in una cupola di vetro – conoscete e riconoscete istantaneamente tutte le canzoni, le sapete a memoria e le cantate in coro per tutto il tempo. Un enorme karaoke dove ogni canzone è, per quanto possibile, uguale e identica a come l’avete sentita su disco. I concerti di Paul McCartney sono riti collettivi dove l’esperienza è quella della condivisione di una memoria collettiva, dove la canzone è eterna, uguale e immutabile, scolpita su pietra – anzi, incisa sui solchi di un disco – e rimarrà lì per sempre.
Poi ci sono i live di Bob Dylan. Sono quei concerti per pochi, per adepti, per iniziati. Dove l’ascoltatore casuale che spera di sentire “Blowin’ in the wind” rimane spiazzato e spaesato. Ma come? Dov’è finita la chitarra acustica? Che cosa sono questi arrangiamenti strani? Perché dovrei riconoscere la canzone dal testo e soprattutto, come faccio a cantare? Questo genere di live serve a ricordarci che la musica live è musica dal vivo, è musica viva. E la musica viva cambia, cresce e si evolve come noi, muta forma senza alterare la sostanza, mantiene la propria anima e identità, se ben fatta.
Ho sempre apprezzato Motta come cantautore, ma l’ho amato soprattutto come artista dal vivo. In questi anni l’ho visto quante più volte possibile dal vivo, perché è sempre capace di fare qualcosa che oggi è ormai davvero raro: stupire.
La due giorni a Roma, all’Hacienda, fa parte di una nuova fase della carriera per Motta. Diventato discografico di sé stesso, con la neonata “Sona Music Records” e il nuovo ibrido disco “Suona! vol. 1”, Motta riparte dal suo repertorio tradizionale per ribaltarlo ancora una volta.
Motta fa quello di cui abbiamo bisogno tutti quanti: rimettere la musica al centro. E lo fa letteralmente: niente palco, ma un set predisposto al centro della sala, al livello del pubblico, per fondersi e confodersi con lo sguardo orizzontale di chi sta nelle prime file, e annullare la dimensione verticale del live, con gli artisti da una parte e tutto il pubblico dall’altra.
Il risultato è spiazzante, ma efficace. Certo, c’è chi si lamenta che si vede poco, ma l’idea è proprio quella: lasciare che la musica arrivi a tutti (e un grande applauso va fatto al fonico: audio spaziale) prima ancora di vedere Motta. Il merito non è solo del cantautore toscano, ma anche della sua formazione, che vede oltre gli ormai affezionati Giorgio Maria Condemi alle chitarre e Cesare Petulicchio alla batteria anche Roberta Sammarelli al basso. Con tre musicisti eccezionali è difficile sbagliare il live, e infatti con questa formazione, la più compatta e forse efficace che abbia mai avuto, Motta ha lo spazio e il tempo di concentrarsi sulla voce, sugli interventi di pianoforte, synth e chitarra.
La scaletta è un greatest hits della sua carriera, che parte dai Criminal Jokers (con “Cambio la faccia” e in seguito “Bestie”) e tocca tutti gli album prodotti, cambiandone però i suoni, gli orizzonti strumentali, dilatandone la struttura, senza rinunciare alla melodia ma appoggiando i testi alle nuove strutture, con virate psichedeliche grazie specialmente all’incredibile lavoro di Condemi, che si conferma come uno dei chitarristi più interessanti in Italia.
Il risultato è spettacolare. Riappropriandosi dello spazio condiviso col pubblico, Motta si mette a disposizione della canzone, senza coprirla mai. I brani conosciuti e amati dal suo pubblico diventano esplorazioni sul tema, acquistano una nuova identità senza mai rinunciare alla loro anima. Il singalong rimane in brani come “Sei bella davvero”, mentre “Se cominciamo a correre” e la conclusiva “Prenditi quello che vuoi” si avventurano negli spazi della jam, con l’intervento di fortunati e improvvisati spettatori chiamati a contribuire alle tracce dal vivo suonando o cantando nei microfoni.
Gli ultimi anni ci hanno ingozzato di show pieni di sequenze, basi, iperproduzioni, brani karaoke che suonano sempre uguali e sempre posticci, canzoni nate già in studio, mai realmente suonate e che dal vivo sono già morte.
Non fraintendetemi: i concerti di Paul McCartney sono splendidi. Ma i concerti di Bob Dylan ci permettono ancora di sperare che un artista possa proporre qualcosa di nuovo, anche suonando canzoni che già conosciamo a memoria. E così fa Motta, che è ancora innamorato della musica al punto da mettere lei al centro, nascondendocisi dentro e permettendoci anche a noi di vivere ogni volta una nuova, splendida esperienza.