– di Assunta Urbano –
Motta continua a mettere la musica prima e al centro di tutto. Soprattutto quella dal vivo.
L’abbiamo conosciuto proprio con quest’attitude nel 2016, con l’uscita del suo primo disco da solista La fine dei vent’anni, dopo l’esperienza nei Criminal Jokers. Quell’anno, proprio quel giovane nato a Pisa, che stava per compiere la cifra tonda dei trenta, si alternava sui palchi di tutta Italia raccontando la sua storia, tramite dieci canzoni. Tra l’altro, con la sua consueta “divisa” diventata in breve tempo quasi una cifra stilistica: outfit total black, quasi per contrastare le luci bianche neon del logo “MOTTA” sul fondo.
Il suo live era già allora da definire un’esperienza unica, collettiva e diversa in ogni tappa, ma particolarmente sentita a Roma, la città che ha adottato il suo cuore toscano.
Negli anni a seguire, il cantautore e compositore non ha smesso di portare in scena spaccati di vita messi in musica. In ordine temporale sono arrivati gli album in studio Vivere o morire (2018), Semplice (2021) e La musica è finita (2023), in cui non è mancata un’evoluzione e una crescita musicale, pur conservando una forte identità. Non dimentichiamo poi Motta dal vivo (2019) e la colonna sonora de La terra dei figli (2021), adattamento cinematografico della graphic novel del fumettista Gipi.
Lo ritroviamo oggi con tante novità, tra cui SUONA! Vol.1, il più recente lavoro discografico dell’artista, pubblicato lo scorso venerdì 11 ottobre. A tutti gli effetti un esperimento nel percorso di Motta, per cui la dimensione live è decisamente fondamentale. Il progetto sarà presentato in due eventi speciali a novembre, 7 e 8 all’Hacienda di Roma, e 27 e 28 a BASE a Milano. Ad accompagnarlo in questa avventura ci saranno alcuni volti noti del panorama musicale, ovvero Roberta Sammarelli, Cesare Petulicchio, Giorgio Maria Condemi, Kazu Makino, Teho Teardo e Maria Chiara Argirò.
Ci siamo messi in viaggio insieme a Motta per ripercorrere in questa intervista gli ultimi otto anni fino ad arrivare al presente.
SUONA! Vol. 1 è un progetto in cui l’esperienza dal vivo e quella dello studio di registrazione si fondono l’una con l’altra. Cosa rappresenta il disco in questo momento della tua carriera?
Mi sono veramente divertito, sia a riarrangiare i miei pezzi che lavorare su Suona. Così come collaborare con Cesare Petulicchio che con Giorgio Maria Condemi, con cui suono da dieci anni, ma non ci eravamo mai approcciati alla produzione di un album. Rimettere mano su brani già pubblicati forse ci ha fatto trovare il coraggio di sperimentare, cosa che sarebbe stata difficile su singoli inediti. È come se fosse stato un apripista per progetti futuri. Mi è piaciuto tanto il tipo di approccio, mi mancava.
Quanto è importante per te la dimensione live?
Ho iniziato prima a fare concerti che a scrivere canzoni. Penso che sia, per me, la cosa più importante, quella che non può avere trucchi. Probabilmente uno dei motivi per cui impiego più tempo a fare dischi è proprio perché so che le canzoni che scrivo le porterò con me e ne dovrò dipendere per molto. La dimensione live è il motivo per cui ho iniziato a fare questo mestiere.
Hanno preso parte a questa avventura diversi protagonisti della scena alternativa italiana e internazionale, tra cui Roberta Sammarelli e Teho Teardo. In un certo strano senso, i tuoi pezzi sono diventati ora anche parte del loro immaginario. Com’è stato dare una nuova forma ai brani che ti hanno accompagnato nel tuo percorso musicale?
Soprattutto Ed è quasi come essere felice rischiava di staccarsi tanto dall’originale. C’era questo timore un po’ perché sono molto affezionato alla sua prima versione, un po’ perché dal vivo è stata sempre simile. Abbiamo deciso di fare un passo indietro. Erano anni che volevo collaborare con Teho Teardo. È stato bello dare proprio a lui carta bianca e il risultato finale mi piace tantissimo. A parte il discorso del featuring, per me era importante mettere il brano nelle sue mani e riceverne una sua visione.
Con la nuova formazione, dopo la data zero alle Officine Grandi Riparazioni di Torino (OGR) dello scorso 28 ottobre e oltre all’appuntamento del 17 novembre al Teatro Ariosto di Reggio Emilia, sono previsti quattro live in questo mese, due a Roma e due a Milano. In che modo saranno strutturati questi concerti? Cosa li renderà “unici” e diversi dalle esibizioni precedenti?
Innanzitutto abbiamo rimesso mano sugli arrangiamenti di quasi tutti i brani, anche quelli non presenti nel volume uscito da poco. Milano e Roma saranno date importanti, perché abbiamo deciso di eliminare il palco e suonare al centro della sala. Un esperimento abbastanza folle, perché non abbiamo idea di quale sarà il tipo di sensazione che verrà fuori. Dopo tanti anni, avevo anche voglia di pormi in una situazione a cui non sono abituato, per vedere cosa succede, per cambiare. Il mio mestiere è fatto anche di questo tipo di rischi.
Diventerete un tutt’uno con il pubblico, praticamente.
Sì, direi di sì. Non so cosa proveremo. Ci sembra bellissimo, ma non abbiamo mai vissuto quest’esperienza, sarà sicuramente una novità.
Porterete in scena SUONA! Vol. 1, che è costituito da otto canzoni del tuo percorso musicale. Si tratta di otto racconti apparentemente distaccati e riferiti a periodi differenti, ma credo che esista un legame tra di loro. Forse il punto di congiunzione fra canzoni come Bestie, Se continuiamo a correre e Anime perse è il percorso di vita dell’essere umano. Quell’uomo che non si accontenta della sua quotidianità, cerca continuamente di uscire dagli schemi, di superare i limiti, sfida la sorte ma, accecato dalle emozioni incontrollabili, finisce per perdersi, in un’infinita ricerca di se stesso.
Bella questa visione. Ammetto che quando sento qualcosa che mi piace mi ci ritrovo sempre [ride, nda]. Il tipo di ricordo che ho di chi sono adesso nel riportarmi a quei frammenti di vita – che in fin dei conti sono dieci, non sono trenta anni – è speciale. Alcuni brani, inevitabilmente, cambiano con il trascorrere del tempo, riarrangiarli significa rendere giustizia alla loro memoria ma anche a chi sono oggi. Gli stessi significanti possono cambiare di significato se nella base cambi gli accordi. Secondo me, abbiamo giocato tanto su questa cosa e alcuni pezzi sono diventati quasi altre canzoni.
Se dovessi scegliere una sola canzone del tuo percorso che ti rappresenti, quale sarebbe e perché?
Del tempo che passa la felicità. Non so perché. È come se lì avessi trovato il mio modo di dire le cose, come se fosse stata la mia prima volta. A prescindere da ciò che è venuto dopo e dalla canzone stessa, in quel momento ho avuto la sensazione che quella fosse una cosa mia. È stato come avere scoperto il proprio posto nel mondo per la prima volta nella vita.
SUONA! Vol. 1 segna l’inizio di una nuova avventura, quella di Sona Music Records, la nuova etichetta discografica di Motta. Che tipo di progetti musicali stai cercando? Cosa dovrebbe avere un artista o una band oggi per distinguersi?
Sto cercando fondamentalmente cose che mi piacciono. Sono convinto di poter dedicare energie giuste a qualcosa solo se ci credo davvero. Per adesso sto ascoltando un po’ di progetti che mi hanno mandato. Non ci sono regole o motivi particolari che mi fanno affezionare a un artista. Dirò una banalità forse, ma credo che ciò che deve essere alla base è la sincerità. È l’inevitabile punto di partenza. Non bisognerebbe voler fare questo mestiere per voler diventare famosi. Non ci si dovrebbe concentrare sul punto di arrivo. Tutte le mie canzoni preferite sono partite da una sensazione e dal fatto che chi le ha scritte non aveva come obiettivo quello di arrivare necessariamente a tutti. A volte è stato un caso, a volte questa sincerità era così violenta che la canzone ha trovato un modo per appiccicarsi a tutti.
Proprio ricollegandomi a questo, diversi tuoi brani sono diventati inni, parte di un immaginario collettivo. Cosa si prova quando un proprio spaccato di vita diviene parte anche della quotidianità di un’altra persona o, per l’appunto, di un pubblico?
Si prova una grande responsabilità quando devi fare canzoni nuove. Ogni volta devi ripartire da zero, fare tabula rasa del passato. È importante, per evitare il rischio di ripetersi. È bellissimo, ma allo stesso tempo anche faticoso.
Ti senti un cantautore generazionale?
Generazionale, no. Mi sento un cantautore, sì. C’è un momento in cui accadono nella vita le cose giuste, ma onestamente non ho mai pensato al tempo, a cosa volevo diventare, se non una persona appassionata di musica, al fatto di volermi sempre impegnare tantissimo su quello che faccio.
Suona, il singolo che apre il disco, è l’unico inedito di questo lavoro, ma allo stesso tempo è come se unisse tutti i pezzi di un puzzle. Un insieme di echi dal passato al presente, tra «una voce che ritorna» e «un riverbero che inganna». Cosa vorresti dire al Francesco del 2016 che aveva appena intrapreso la carriera da solista e cosa vorresti lui dicesse a te?
Questa è una domanda marzulliana! A quel Francesco vorrei dire di stare tranquillo. Quello che dovrebbe dirmi lui è che i problemi che ci sono nel 2016 non sono niente rispetto a quello che succede dopo. Ripensandoci, provo un sentimento di tenerezza – nel senso bello del termine – nel vedere quel ragazzo. La fine dei vent’anni è nato da un momento di solitudine, in cui mi sentivo perso. L’unica cosa che mi era rimasta era raccontare. A volte me ne dimentico, ma io sogno di fare questo da quando avevo diciotto anni. E mi scordo della fortuna che ho, perché in tutto questo tempo, ho realizzato il desiderio di quel ragazzo. Ogni tanto, c’è il bisogno un attimo di fermarsi e di essere contenti di quello che si fa.
Ci sono parole e concetti in particolare, anche non esplicitamente citati nel disco, che spiccano in SUONA! Vol. 1. Forse il primo vocabolo tra tutti è libertà. Ti senti libero di fare musica oggi? Si può ancora fare musica in modo libero?
Sì, perché no! Mi sono sentito sempre libero di fare la musica che volevo fare. Non mi sono mai sentito obbligato da nessuno a fare qualcosa che non volevo. Mi sono preso le responsabilità per le mie scelte, giuste o sbagliate. Non solo si può ancora fare musica in modo libero, ma si deve assolutamente farlo.
Ci sarà anche un secondo volume di questo ultimo lavoro di Motta?
Prima o poi, sì. Non è ancora in cantiere, ma l’idea è quella.