Nuovo disco per i calabresi più mediterranei d’Italia. Antiche leggende tra pirati e navi fantasma, certo, dai suoni come dalle immagini evocate. Ma tutto questo non è la scusa per giocare a carte con la fantasia, piuttosto è la voglia di restituire verità alla “denuncia” sociale attraverso una colorita metafora. Il sottotesto di questo disco la dice lunga sulla vita che facciamo ogni giorno. I Nuju tornano in scena con un lavoro dal titolo “Storie vere di una nave fantasma” che contiene 12 inediti dalla chiara matrice piratesca, abbracciando i balcani e la terra araba sfociando nella bellissima chiusura che è “La città degli innamorati” dove ogni cosa ci riporta tra le strade di una romantica Parigi al tramonto. Un disco ricco di sensazioni e di riferimenti sociali che vedrà la luca ufficialmente il prossimo 9 di marzo e che qui ad ExitWell vi presentiamo in anteprima con questa intervista.
Con fantasia e verità. Cosa usate per raccontare cosa? Insomma, questo nuovo lavoro parla di realtà o di quello che vorreste fosse la realtà?
Grazie davvero per la domanda… Sai, il nostro nome significa Nessuno, quindi per noi la realtà è un concetto estremamente relativo, perché la nostra identità nasce un po’ da Ulisse e un po’ da Pirandello, che diceva che la dimensione della realtà dipendente dalle condizioni sia individuali che sociali, ci sono tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita dell’individuo. Noi raccontiamo ciò che vediamo passare intorno alle nostre vite, per questo la realtà si basa su momenti precisi dell’esistenza dei Nuju.
“Storie vere di una nave fantasma” rappresenta per noi oggi sia la fantasia che la verità della nostra esistenza e delle esistenze di chi ci circonda. Alcune volte vorremmo che la realtà fosse la fantasia in cui ci rifugiamo, ludica e infantile, fatta di gioia e divertimento, ma subito dopo si scontra con ciò che ci circonda e quindi torniamo a raccontare la verità adulta, fatta della consapevolezza dei tempi in cui viviamo. Da sempre cerchiamo di unire nella nostra musica la capacità di raccontare la drammaturgia del vivere quotidiano ad uno sguardo ironico, nella più classica tradizione comico-drammatica del cinema italiano.
Che poi i “pirati” per davvero chi sono secondo voi?
Per noi i pirati sono tutte le persone che cercano di rimanere liberi, come quei pirati che salpavano per i mari credendo che questa distesa d’acqua fosse di tutti e non solo di una qualsiasi corona d’Europa. Non ne facciamo un discorso prettamente politico, ma un discorso sociale. Per noi la libertà è anche scegliere di fare un mestiere che ti piace non accettando quello che gli altri vogliono per te, oppure fare un figlio senza aver un lavoro sicuro, o ancora decidere di seguire ciò che ti sembra giusto senza adeguarti alle mode del momento.
Se pensiamo poi all’etimologia della parola veniamo rimandati al concetto di tentare un assalto. Per questo ci siamo definiti pirati e pagliacci, perché con la nostra musica facciamo assalti musicali portando il sorriso.
Una produzione che attinge a quello scenario, ma di quando in quando se ne distacca con un piglio più moderno… più indie come si dice. Sbaglio?
Come dicevamo prima parlando di pirati, noi non cerchiamo di seguire le mode del momento, ma pensiamo che per essere credibili bisogna provare a essere i più veri possibili, nel senso che non bisogna nascondere la propria musica dietro trovate pubblicitarie o orpelli accattivanti.
La produzione del nostro disco è stata curata da Andrea Rovacchi, che crediamo sia uno dei migliori produttori italiani, se non il migliore, perché non pensa al proprio gusto, ma a tirare fuori ciò che c’è di meglio nei musicisti. Così ha fatto con noi. Se nella nostra musica c’è un piglio più moderno o attuale ne siamo felici e il merito è proprio di Andrea Rovacchi. Molto probabilmente però è difficile trovarci dell’indie, almeno rispetto a come questo termine è oggi considerato in Italia, perché secondo noi i gruppi della cosiddetta ondata indie sono poco alternativi, anzi, sono conformi a ciò che la gente vuole sentire. Infatti per noi indie deve essere legato al termine alternativo, mentre oggi non c’è differenza tra indie e maninstream e si fa faticha a trovare musica alternativa. Noi siamo stati adolescenti negli anni ’90 e avevamo dei riferimenti musicali che andavano dagli Afterhours ai 99 Posse, dai Marlene Kuntz ai Modena City Ramblers, che ci hanno influenzato e hanno reso la nostra attuale proposta musicale lontana dalle mode del momento.
Bellissime le tavole di Lorenzo Menini. Come nasce questa idea editoriale?
L’idea nasce dal fatto che nell’ultimo anno abbiamo lavorato per i nostri videoclip proprio con Lorenzo Menini. Frequentandolo abbiamo scoperto che prima di tutto è un bravissimo fumettista e illustratore, per questo gli abbiamo dato le nostre canzoni e gli abbiamo chiesto di illustrare il nostro album come una sorta di graphic-novel, dando vita ai personaggi e ai fantasmi delle nostre storie. È molto affascinante lavorare con un’artista che riesce a mettere la propria sensibilità al servizio della tua musica, si scoprono aspetti nuovi e Lorenzo è stato in grado di creare un mondo fantastico intorno alle parole e le note delle nostre canzoni. Invitiamo tutti ad ascoltare i brani guardando le tavole, cercando di immergersi nelle tavole cullati da parole, suoni e colori.
Certo è che leggendo tutti i titoli di questo nuovo disco oltre a poterli collegare tra di loro per farne un racconto, ci si accorge subito che sono tutti riferimenti a cose che ormai quasi non esistono più. E la loro mancanza, credo, sia un segno tangibile di una crisi sociale che stiamo vivendo… non trovate anche voi?
Ogni nostro disco è stato un concept, così anche questo. Quando ci siamo messi a ragionare sui nuovi brani abbiamo stabilito che dovevano essere delle storie con dei personaggi che avessero in comune qualcosa. Alla fine questo elemento in comune era proprio il fatto che molti di loro non erano tra noi, perché non fanno parte di qualcosa di tangibile o concreto, ma di qualcosa di ideale e fantastico, appunto come i fantasmi. Come dici tu la loro mancanza dipende che molti di loro sono figli della crisi sociale. Se pensiamo a un brano come “Arrivano dal mare”, in cui si parla di chi attraversa il mare per cercare una vita nuova, oppure a “Il pagliaccio”, che è ispirata a Anas Al Basha, il pagliaccio di Aleppo morto durante un bombardamento, si tratta proprio di storie reali, ma che ci appaiono lontane perché non ce ne interessiamo se non per pubblicare un post. Fin dall’antichità e dati tempi di Aristotele l’uomo è stato considerato un animale sociale, perché non può stare solo, oggi è ancora così, ma più che animali sociali siamo “animali social”!
Tutti noi come primo mestiere lavoriamo in campo educativo, chi insegna italiano o musica, chi è psicologo educatore o insegnante di sostegno. Quindi siamo sempre a contatto con i ragazzi e con il loro ruolo nella società, sempre più ci rendiamo conto che i loro modelli di riferimento hanno poco da insegnare e propongono qualcosa di oggettivamente sbagliato, come la ricerca di una posizione attraverso l’ostentazione del denaro e del proprio status economico. Questo è l’aspetto peggiore della crisi sociale di cui parli e, come diceva De André, anche se ci crediamo assolti siamo tutti coinvolti.
Oggi che la musica d’autore in tutte le sue facce è divenuta una vera nave fantasma… voi cosa vi aspettate da questo lavoro? Ha ancora un senso il disco?
Sappiamo benissimo che oggi la nostra musica non rispecchia l’attualità delle mode musicali. Ne parlavamo prima quando si diceva della musica alternativa odierna. Noi siamo cresciuti con la musica d’autore e con i messaggi che ci ha lasciato, siamo però consapevoli che quello che noi suoniamo è vecchio, perché non scriviamo per slogan, perché usiamo anche le chitarre e non solo i sintetizzatori, perché con i nostri testi vogliamo far pensare e non anestetizzare, però lo facciamo comunque, con umiltà e leggerezza. Il disco per noi ha ancora senso perché abbiamo qualcosa da dire e, soprattutto, abbiamo voglia di andare in giro a suonare e stare in mezzo alle persone. Ecco cosa ci aspettiamo da questo disco, tanti concerti in Italia e in Europa, per coltivare ciò che ci sta più a cuore e nessuno potrà mai toglierci, il contato umano.