Metto subito da parte la mia rituale quanto puntuale lamentela sull’inglese cantato da noi italiani. E qui a dire il vero il mix di voce penalizza assai l’intelligibilità in luogo di un’estetica decisamente affascinante. Anche la voce diviene strumento, portata verso derive di suono poco affini con il suo scopo primario che è quello di comunicarci cose e parole. Si pensi al lavoro dei Lambchop di Kurt Wagner: qui la voce viene alterata, deformata, lasciata nella buccia della comprensione, ne resta poco ma quanto basta per riconoscerne il peso. E forse, una pronuncia non bellissima, ma questi sono problemi miei.
Gli Obici sono Francesco Armani e Maurizio Viviani che mi portano all’ascolto di questo “Solipsistic Horizon”, una immersione nel solitario di ognuno, nelle visioni di vita quotidiane, nelle dinamiche ordinarie di condizioni omologate. Dalle acidità pop alla R.E.M. di “Cushing the Stone” fino a richiami industriali di colori new wave alla Phil Collins dentro “You Failed”, dalle distorsioni fuzzy di “The Falling Pieces” alle trovate quasi esotiche, poliziesche, anni ’70 di “Exitinct Pride”. E poi svetta (e non a caso è l’unico brano in italiano) “Catafalco”: la vera perla post rock dalle aperture in maggiore decisamente “pop” condite con ostinati di chitarre che ci parlano di futuro. E l’equilibrio estetico di tutto ha una misura decisamente diversa. E questa voce che molto ricorda i Subsonica nel modo di starci dentro è il vero punto di forza di un disco che poteva essere tutto secondo questi dettami.
Bella prova d’arte e di ricerca questo “Solipsistic Horizon”, niente di nuovo sotto al sole della musica italiana e viste le carte in gioco avrebbe certamente potuto azzardare oltre. Di sicuro portiamo a casa qualcosa di prezioso contro il solito circo omologato della indie italiana.