È disponibile da venerdì 18 aprile 2025 (per Casadei Sonora e in distribuzione digitale Pirames) il nuovo progetto discografico in formato 45 giri dell’Orchestrina Di Molto Agevole, compagine composta da pregiatissimi elementi provenienti dal firmamento classico (Monteverdi Choir, Conservatorio di Milano, 19’40’’) e del rock underground (The Winstons, Torso Virile Colossale, Calibro35, Mariposa, Hobocombo, Afterhours, PJ Harvey).
“Sogno Casadei” non è un semplice valzer: è un brano che nasce dalla collaborazione con il medium Leo Farinelli che nel lontano 1998 sognò Secondo Casadei sulle scale di casa sua. In quel sogno il nostro amato maestro gli suonò una melodia al violino e Leo la registrò febbrilmente su audiocassetta.
Noi abbiamo intervistato a riguardo proprio Enrico Gabrielli, leader del progetto e storico personaggio dell’underground musicale e non, ci siamo fatti raccontare la genesi di questo “Sogno Casadei” e di come il liscio si possa rivalutare. Ecco cosa ci ha raccontato.
“Sogno Casadei” nasce da un evento davvero singolare: un medium che sogna Secondo Casadei. Com’è arrivato a voi questo racconto e cosa vi ha colpito al punto da trasformarlo in canzone?
L’Orchestrina nasce in modo curioso, e quindi le cose curiose ci arrivano come mosche su carta moschicida: nel caso specifico il signor Leo Farinelli aveva recuperato un’audiocassetta del 1998 salvata dall’alluvione di Forlì di qualche anno fa. In quell’anno lui sognò Secondo Casadei sulle scale di casa. Il Maestro gli suonò una melodia e lui la registrò prontamente sul registratore a cassette in uso all’epoca. Anche io (Enrico Gabrielli) ce l’avevo il registratore. E continuo ad avercelo. Non per feticismo, ma perché sono certo che la musica “liquida” (tipo Spotify) ha una durata emotiva inferiore rispetto a quella che proviene dagli oggetti come vinili o nastri. Di fatto Farinelli raccontò la sua storia l’anno scorso a Riccarda Casadei, la figlia di Secondo e subito noi dell’Orchestrina venimmo incaricati di finire il brano. Ecco nato così il primo brano “medianico” della storia del liscio. E forse non solo del liscio…
Avete preso un simbolo del liscio e lo avete fatto riemergere dal mondo onirico: che tipo di figura è diventata Casadei dentro il vostro immaginario musicale?
Lui è stato il più grande compositore di musica da ballo che l’Italia abbia mai avuto. Compositore-compositore e non dj, selector, producer, anchorman o altre sigle simili: lui era un uomo del popolo, un sarto, un violinista con l’alto senso del dovere di innalzare la “sua gente” alla qualità della musica. I suoi riferimenti non erano bassi, ma erano Rossini, Verdi, Strauss, Gershwin. I suoi mezzi di diffusione dell’epoca erano la radio e i dischi e tanta tantissima passione. Una missione popolare. E come non si fa a voler bene a un personaggio del genere?
Il sogno e la tradizione popolare sembrano due mondi lontani, ma in questo brano si fondono. È una collisione, un abbraccio, o un gioco?
Sempre un gioco: “suonare” in inglese, in tedesco e in francese è sinonimo di “gioco”. To play, spiele, jouer sono la stessa pratica. Ha a che fare con la parte infantile del gesto creativo. Ma non infantilista. Solo nel nostro lessico abbiamo deciso di svincolare il termine giocare con il suonare, forse per pudore, o per un antico retaggio superato che “essere seri” vuol dire “smettere di giocare”. Non è così: il gioco è sempre serio. Se non lo fosse sarebbe solo futile distrazione. E per la futile distrazione ci pensa già la musica attuale.
Dal punto di vista musicale, avete scelto di restare vicini alle sonorità del liscio o di stravolgerle? Com’è nato l’arrangiamento del brano?
Il nostro riferimento è sempre stato (e fino a prova contraria lo sarà sempre) la musica da ballo fatta con gli strumenti acustici e senza utilizzo di materiale elettronico. Idealmente il nostro suono si assesta al 1971, anno in cui appunto morì Secondo Casadei. Ma non lo facciamo perché siamo degli integralisti: crediamo semplicemente che qualcuno in Italia, ormai alle soglie della fine di tutto quel mondo popolare, debba mantenere viva la pratica di suonare “davvero”. Ci sono fin troppe sagre di paese ammorbate da queste sequenze su tastiere, i balli “latin” fatti male, i balli di gruppo, le calze a rete, cose che non ci appartengono. Noi siamo musica fatta di sudore, fatica e dita che si muovono sugli strumenti. Niente basi, nessun gioco al ribasso. Di conseguenza il suono di “Sogno Casadei” come anche di “Polka Felicità” è puramente acustico e vibrante.
L’elemento teatrale e ironico è una vostra cifra stilistica: come si è tradotto in un brano che parte da un sogno, ma parla anche di memoria e mito?
I testi delle canzoni della tradizione liscio sono sempre fatti di pochissime parole. Nel caso di “Sogno Casadei” abbiamo lavorato attorno al concetto di aldilà, ma lo abbiamo fatto paragonando il paradiso con una pista da ballo. L’immagine funzionava metricamente e l’abbiamo inserita. Sulle prime ricordo (Enrico) che Farinelli non voleva testi nella canzone. Ma poi si è convinto del contrario. E ne siamo stati felici.
Il nome Orchestrina di Molto Agevole sembra già una piccola dichiarazione d!intenti: quanto è importante per voi portare leggerezza e sorpresa nella scena musicale contemporanea?
La leggerezza è, come dire, il nocciuolo. La scorza, invece è ben più dura perché dietro a tutto questo c’è molto studio e tanta ricerca. Senza considerare che nessuno di noi è romagnolo e veniamo tutti da musiche estremamente differenti (rock, pop, classica, blues, alternative, noise, folk…). Abbiamo dovuto vestire, prima di dichiararci autentici, panni non nostri. Ora che sono passati oltre 12 anni dalla nascita del gruppo possediamo quel linguaggio e ci sguazziamo condisinvoltura. A nostro modo, certo, ma possiamo ben dire di fare parte anche noi di un piccolo pezzo di storia contemporanea del liscio. Certificato da Casadei Sonora.
“Sogno Casadei” è solo il primo capitolo? Possiamo aspettarci altri brani che dialogano con la storia della musica italiana… magari via sogni o medium?
Chi lo sa, l’Orchestrina di Molto Agevole è una pagina tutta aperta. Una pagina non scritta per una storia non letta. O forse, come direbbe Philip K. Dick “siamo il sogno di qualcun altro”.