– di Anna Rescigno –
Il 22 settembre 2024 c’è stato il derby e ha vinto il Milan, ma c’è stato anche il primo concerto di Papa V a Milano, dunque l’aria era doppiamente calda. Per chi ancora non lo sapesse, Lorenzo Vinciguerra, in arte Papa V, è un rapper della provincia sud di Milano, che da qualche anno si sta facendo notare nella scena trap e hip hop italiana. Insieme ad altri colleghi (Nerissima Serpe, Kid Yugi, Tony Boy, Low Red, Artie 5ive, Digital Astro) fa parte dei freshmen scelti dal produttore Night Skinny come talenti emergenti da tener d’occhio e inclusi da quest’ultimo in Players Club ’23, un brano collettivo, aspirante manifesto di questa nuova generazione musicale, un po’ come lo è stato nel 2016 Bimbi di Charlie Charles (ma più cattivo).
Proprio sui bassi del set di Night Skinny entriamo ai Magazzini Generali, già stracolmi. Gli spettatori sono tutti giovanissimi ma sembrano molto consapevoli della situazione e del perché sono lì. Le ragazze sono bellissime, con i capelli in slick back e le magliette di Face Idol. Il set di Night Skinny riprende tutte le migliori collaborazioni tra lui e la posse di rapper già citati e la prima cosa che noto è che, qualsiasi canzone parta, cantano tutti. Le parole sono scandite in una maniera non tipica e con una convinzione affascinante. Si sente un’energia particolare e si capisce subito che, di nuovo, nessuno è lì per caso, che non c’è spazio per i fan saltuari ma solo per i ragazzi che vanno e tornano da scuola con questa musica nelle cuffiette, la ascoltano in macchina mentre vanno in serata e come sfogo nei momenti difficili. L’ambientazione sudata, libera e schietta, mi ricorda i primi concerti di Tedua e d’improvviso mi sento molto fortunata ad essere al primo concerto di un artista che, se tutto va bene, con l’avanzare della carriera farà i palazzetti, e pian piano si perderà, tra il pubblico, quella franchezza che ora in questo stretto locale respiro a pieni polmoni.
Papa V affronta il palco con inedita responsabilità: viene da un’estate di doppie date e veloci apparizioni in varie discoteche sparse per la penisola, dove è necessario gasare in fretta la folla con le hit più conosciute. Qui invece per la prima volta il palco è tutto suo e ci deve stare per almeno due ore. Rappa bene, fila tutto liscio. Gli manca un po’ di presenza scenica: spesso guarda e indica per terra come se non volesse essere guardato, però è divertente (e forse necessaria) questa totale polarizzazione tra la sua presenza timida e i suoi testi volgari ed espliciti (forse tra i più espliciti della storia del rap italiano). Lo show è diviso, tramite degli intermezzi in cui suonano le sue canzoni escluse dalla lineup, in tre parti principali: la prima racchiude le hit più recenti, gran parte delle quali presenti nel suo ultimo, freschissimo disco, Trap fatta bene; la seconda interamente condivisa con il collega più affiatato, Nerissima Serpe, durante la quale vengono spoilerati tre pezzi inediti, che faranno parte di Mafia Slime 2, disco-collaborazione in uscita il prossimo febbraio; la terza, forse la prova più difficile, è composta dai pezzi più deep, meno saltati (Franco Campanino, Non siamo simili, Dare un senso a questa vita). Forse è proprio qui che tocchiamo con mano la vera potenza di un artista come Papa V, che va ben oltre i club anthems con slogan a sfondo sessuale come Apparecchiato o Terrorista: è la schiettezza e la semplicità della forma e del contenuto a renderlo degno di nota; Papa V racconta non sapendo tante parole, ma miracolosamente trovando quelle adatte.
Mi esprimo male, ma il concetto è puramente giusto
È dura da accettare, Papa V ha capito il trucco
I concetti sono semplici: l’italianità, la strada, la provincia, la droga, e lui li racconta come se stesse dicendo “questa è la verità del mio quartiere, che vi piaccia o no, senza troppi giri di parole”. E anche affiancando sacro e profano in questa storia (il suo primo disco, Gesù Bambino, è ricco di riferimenti alla Chiesa):
Papa V è in strada, strada come Gesù Bambino
Cresciuto con il vizio in mezzo alle teste di cazzo
Il quartiere è peso, noi siamo più peso
«Sembra un film di Francis Ford Coppola», dice in Frank Lucas, con la differenza che qui non c’è né glorificazione né completa denuncia morale nei confronti di ciò che viene narrato: solo la cruda realtà dei fatti, cantata davanti a un pubblico che, ormai, non ha più bisogno di protezione dai testi rap ma, al contrario, ne può usufruire come valvola di sfogo e catarsi.