Mi piace assai il titolo di questo nuovo disco di Patrizio Piastra: “Nuvole animali inesistenti”, che mi chiama alla mente l’evocativa forza della contemplazione, di quando si osserva il cielo e si inventa di tutto. Ed il suono di questo disco non è da meno: cerca spazi, rilascia suoni e concede aria. Sono canzoni nuove da ascoltare dentro lunghi tragitti di evasione. È un disco di evasione… mi piace assai anche questa copertina, oltre al modo che ha di scegliere le melodie. Niente di scontato sotto al sole…
Chi è oggi Piastra? Di sicuro hai alimentato e affilato una penna che sfoggia una grande maturità…
Innanzitutto, ti ringrazio perché è un gran complimento per me! Se si riesce a far trasparire maturità in quello che si propone, secondo me vuol dire che si è soprattutto onesti e allineati a sé stessi e, ahimè, al tempo che passa. O forse sarebbe meglio dire, allineati a come noi lo abbiamo attraversato il tempo fino a quel momento. L’età che avanza ti fa accumulare esperienze che inevitabilmente modellano il modo di porsi di fronte agli eventi e questo fa sì che si sviluppi una diversa capacità di elaborazione dei propri stati d’animo. Inoltre, credo che uno degli aspetti fondamentali che non deve mancare in chi sceglie di esprimersi in qualsiasi forma artistica sia comunque la curiosità e la necessità di studiare il più possibile per ampliare le proprie conoscenze e quindi, di riflesso, la possibilità di creare, a sua volta, qualcosa che vada oltre il “compitino”. Per rispondere invece alla tua domanda, chi è oggi Piastra non saprei dirlo con certezza… mi verrebbe da dirti che forse è una parte di me che fino a qualche tempo viveva nella mia parte più al buio e adesso ha preso il coraggio di aprire qualche finestra e far entrare un po’ di luce.
E pensando al futuro? Al suono del futuro? Come ti relazioni a questo?
A dir la verità non ci ho mai pensato, ma perché non sono solito fare troppe distinzioni tra “epoche” di suoni. La musica per me, ma sicuramente non solo per me, è qualcosa che è oltre il tempo in cui si trova ed è un mondo a sé stante. Sì, il progresso e la tecnologia hanno sicuramente consentito negli anni di trovare nuove soluzioni e nuovi scenari intorno ai quali anche io ho orbitato, per tornare alla curiosità che non deve mai mancare come ti dicevo prima. Ma il fine è sempre quello di creare musica e suono e queste due cose sono così universali che sono in noi e con noi da sempre, tanto da non essere in nessun tempo preciso.
Direi che tu come tutti noi siamo in una terra di mezzo: il passato del mondo analogico e il futuro della liquidità istantanea. Cosa sceglie e dove porti la tua musica?
Personalmente più che in una terra di mezzo mi sento più in un’età di mezzo. Vengo da quello che potremmo definire l’ultimo mondo analogico conosciuto in cui ho passato l’infanzia e l’adolescenza occupando, fortunatamente, un tempo dove la vita delle persone era ancora fatta di cose e oggetti “fisici”, di attese e sorprese. Sono diventato adulto proprio nel momento in cui il progresso e la tecnologia cominciavano a correre veloce fino a sfociare in quella che tu identifichi come liquidità istantanea, che in realtà è già fin troppo presente più che futura. Direi che la mia musica forse risente proprio di questo galleggiare tra due ere. Non ci vedo un sentiero o un percorso definitivo, ma un equilibrio tra quel ricordo lento e materico proprio dell’analogico e quegli spiccioli di cose buone che anche la contemporaneità sa comunque offrire.
Te lo chiedo perché in questo disco sembri voler sposare entrambe le direzioni.
In un certo senso hai centrato il punto. Il disco è un omaggio al me stesso del passato, ovvero al mio approccio primordiale alla musica più classico e cantautorale influenzato dagli ascolti con i quali mi “nutrivo” sin da ragazzino, ma è anche un po’ figlio dalla mia esperienza elettronica con YOUAREHERE e quindi di un’espressività più “futura” e liquida. Non ho voluto scegliere tra passato e futuro, perché li sento entrambi dentro me. Musicalmente le sonorità più calde, le strutture scarne, gli arpeggi… sono un modo per restare ancorato a qualcosa di umano e imperfetto che resiste al tempo. Ma allo stesso tempo, i testi cercano di muoversi in un mondo in transito, dove le certezze si sgretolano e tutto cambia forma in continuazione. In un certo senso, mi piace pensare che questo disco sia un tentativo di tenere insieme le due cose: ciò che si può toccare e ciò che sfugge.
E dentro “ Oltre gli elementi” pare che faccia capolino anche un gusto world… in fondo è della terra che parliamo o sbaglio?
Il brano in realtà racconta quella condizione di inevitabile declino che vive un corpo umano che si ritrova vittima di una malattia dal decorso inesorabile. Ho immaginato questo corpo come un territorio esposto e vulnerabile, attraversato da fenomeni naturali che lasciano il segno. Un susseguirsi di eventi che colpiscono in modo inarrestabile. Questa associazione metaforica mi ha da subito ispirato un approccio all’arrangiamento che ricordasse le dinamiche dei canti o delle danze tribali solitamente, appunto, legate ai fenomeni come il fuoco o l’acqua, per dirne alcuni. Quindi, come hai giustamente notato c’è un aspetto “world” soprattutto per questo motivo. Alla fine, ne è venuto fuori un brano che sia dal punto di vista lirico, sia dal punto di vista sonoro, sembra quasi essere un ultimo canto che accompagna il corpo verso quella che è sì una fine fisica, ma anche un epilogo liberatorio per l’anima, o per “quello che sarà” parafrasando uno dei versi del testo.