– di Riccardo De Stefano –
Tra le cose più difficili da fare, per chi scrive di musica, c’è quella di dare l’ultimo saluto a un artista che se ne va, specialmente se quell’artista ha accompagnato, in qualche modo, umanamente e professionalmente chi ne scrive.
È una delle cose belle della musica: le canzoni ci accompagnano, così come chi le canta. È come se fossero lì, accanto a noi, a riscaldarci nel gelo dell’inverno o a sottolineare le risate in un caldo Ferragosto. E così si sovrappongono alla vita vera, ai ricordi, e spesso cadiamo nell’errore di pensare che loro, canzoni e cantanti, saranno lì per sempre accanto a noi.
Ieri, 31 dicembre 2024, ci ha lasciati Paolo Benvegnù. Ci ha lasciati per andare a vedere cosa c’è oltre il velo delle cose, cosa si nasconde tra le note o i versi di una canzone. Ci ha lasciati proprio l’ultimo giorno, quasi a dirci che il 2024 è stato il suo anno, e forse tutta questa attenzione è stata anche troppo rumorosa per lui.
Una Targa Tenco diventata quasi un meme, dovuta e arrivata, ahimè, in extremis, prima che fosse troppo tardi, e un ultimo disco celebrativo di quel capolavoro uscito vent’anni fa, “Piccoli fragilissimi film”, che oggi più che mai possiamo mettere tra i grandi album della discografia italiana. Una discografia dove non si trova un passo falso, una riga fuori posto, una canzone fatta solo per farla. Ogni parola, ogni nota era un pezzo di anima impresso su disco e regalato a noi ascoltatori. Una piccola parte dell’enorme cuore di Paolo Benvegnù.
Tra gli autori migliori di quella splendida generazione degli anni ’90, con gli Scisma, e poi cantautore profondo e intenso per 20 anni di grandissima carriera solista, Paolo Benvegnù era innamorato della canzone e dell’album (perché per raccontare qualcosa di vero e sincero a volte non bastano 3 minuti da pubblicare su Spotify), svicolando sempre le vie della musica facile, quelle “Canzoni brutte” di cui cantava in “È inutile parlare d’amore”, perché non ce n’era bisogno. E non c’è bisogno di fare innamorare tutti e tutte, ma solo chi è capace di sedersi ed ascoltare.
Paolo Benvegnù è stato un grande uomo, un gigante, sotto tutti i punti di vista. Sempre avvolto da un candore e una grazia nobile, delicata, nel suo modo di porsi e di camminare, con una giacca nera che provava ad avvolgere il suo grande corpo, come un mantello per nascondere agli occhi indiscreti la vera identità di chi ci si avvolgeva. Ma era impossibile non vedere, non riconoscere e non amare da subito l’Uomo che c’era dentro, sempre e per sempre innamorato della vita, delle persone.
Paolo Benvegnù aveva un candore e una gentilezza che non si potevano fingere, che ti conquistavano e ti avvolgevano come seta. Sono sicuro che chiunque abbia avuto la fortuna di incontrarlo e di parlarci non potrà che tenere per sé un ricordo splendido di una persona splendida, che cercava e trovava la bellezza in tutti e tutto, follemente innamorato della Vita nelle sue infinite sfaccettature.
Purtroppo in questo triste mondo, oggi ancora più triste, non è facile trovare qualcuno così capace di brillare di luce propria, così forte da lasciare una scia e una traccia sugli occhi quando andata via.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di incrociare Paolo Benvegnù tante volte nella mia vita, umana e professionale. E ho avuto la fortuna di potergli dire ogni volta “grazie”, di persona, per tutto quello fatto da lui. Da quel primo disco comprato da adolescente – “Armstrong” e quella folle “Tungsteno” che mi colpì in testa come un UFO da un altro pianeta – fino a tutti i suoi album, tra tutti “H3+” che, se posso permettermi, inserisco tra i miei album preferiti di sempre per così tanti motivi che non potrei neanche spiegare.
Paolo Benvegnù era la persona migliore che potevate incontrare. E, sono sicuro come tutti quelli che ci hanno parlato, conserverò sempre per me tutte le splendide parole, piene di amore per la Vita e la Bellezza, che ci siamo detti.
Adesso, purtroppo, siamo costretti a rimanere nella dimensione del ricordo e della nostalgia, cercando di tornare col pensiero a quel cuore grande, immenso che Paolo Benvegnù ha saputo donare a tutti noi, questo piccolo fragilissimo Grande Gigante Gentile, che già adesso ci manca e mancherà per sempre.
“E gli invisibili percorsi della mente possono ingannare
Non siamo mai stati da soli e da soli non sappiamo dove andare
E l’universo è in fuga giorno dopo giorno in ogni istante
Rinasceremo ancora come luce nel riflesso di un diamante
Non ci sarà più niente da inventare e nessun dolore”