I The Koffees sono una band emergente che ricalca il panorama indie/alternative rock prendendo inspirazione dalle radici sonore e idee della prima metà del 2000. (The Killers, The Kooks, Le Vibrazioni, Verdena).
Nato nelle rustiche terre marchigiane il gruppo ha visto cambiare più volte formazione, ma è con quest’ultima che si è consolidato il loro primo omonimo album.
Davanti troviamo, chitarra e voce, Paul Giorgi autore di musica e testi dei brani, poi arrangiati dagli altri musicisti della band: Vittori al basso e contrabbasso e Spaccasassi alla batteria. Da notare, e lo si farà, il talentuoso Amati alla chitarra solista, anche lui autore di brani e prossimo ad un’entrata da esordiente nel panorama musicale italiano (entrambi hanno studiato al CET di Mogol).
I The Koffees si allontanano dalla corrente indie che si ha nell’immaginario odierno. No, non si affidano a sequenze, autotune, ed impressioni smooth addolcenti, ma troviamo chitarre strum, ritmiche importanti ed acustiche, fill, effetti e synth analogici, voci naturali ed originali, di impatto.
C’è forza in loro, e si sente. D’altronde, sono ragazzi appena ventenni che sembrano determinati e consapevoli di dove volere andare a parare. Il loro disco è completamente homemade (batterie, voci, synth), poi mixato e masterizzato presso due diversi studi abruzzesi.
L’album si compone di 12 brani inediti in italiano (tranne uno) e si muove dall’alternative rock fino a raggiungere swing ed elettronica nelle ultime 2 tracce.
È “17 anni” la prima traccia del disco e racconta il rischioso avvio alla musica, da primo brano inciso. Si passa poi a “Dove vai stasera?“, un pezzo potente che risalta le qualità artistiche dei musicisti, in cui un riff vocale rimane incollato in testa sin dal primo ascolto.
“Taglia S” è forse il brano più sperimentale del disco, ispirato ad un fatto di cronaca del 2015 dove una modella è stata scoperta rubare vestiti dalle sfilate per poi ricavarne denaro rivendendoli. Qui troviamo una texture ricca di percussioni, di cori, piccolezze e sfumature molto gradite, così dal punto di vista armonico la sorpresa del ritornello per nulla banale e di un bridge altrettanto positivo in cui si ricostruisce l’ambiente del retro-palco di una sfilata di moda.
C’è poi il pop de “Le regole“, mentre “Dolcissime bugie“, si rifà ai The Killers nei cori del ritornello e nei synth che creano un tessuto armonico degno di nota; il testo, invece, ricorda “Mi ritorni in mente” firmato Battisti/Mogol.
La decima canzone del disco è l’unica in inglese e tra riffettoni di chitarra e batterie esplosive si può annoverare, come le altre tracce, al mood britannico dei The Kooks.
Chiude il disco “Nazionale“, il brano più elettronico, con un testo che come per gli altri brani sta in piedi da solo, non segue le direzioni di questo periodo, non è minimale, non richiama immagini guizzanti o astratte, è invece una storia ben precisa che si racconta anche senza musica.
Quetzal Balducci