– di Giulia De Giacinto –
Sabato 21 giugno, in occasione della Festa della Musica, andrà in scena un concerto-testimonianza nella suggestiva cornice del parco di Villa Casati Stampa a Cinisello Balsamo: protagonisti i The Sun, gruppo rock di ispirazione cristiana che ha saputo trasformare il proprio percorso artistico e umano in una potente testimonianza di speranza. In occasione del concerto ho avuto il piacere di intervistare Francesco Lorenzi, leader della band.
Nel 2008, a seguito di un cambiamento profondo interiore partito da te, avete intrapreso una svolta radicale, non solo nel nome della band — da Sun Eats Hours a The Sun — ma anche nello stile di vita e nel modo di fare musica. In che modo questo cambiamento ha trasformato la vostra visione della musica, il successo e il senso della vostra missione come band?
L’esperienza dell’incontro con la Parola di Dio, con Gesù, è prima di tutto personale, ma poi si apre alla dimensione comunitaria. Non è qualcosa che riguarda solo me o ciascuno di noi singolarmente: è un’esperienza che ha toccato la vita di tutti i membri del nostro gruppo. E non solo: la riconosco anche nel racconto delle comunità cristiane nel corso dei secoli. Attraverso questo incontro con Gesù, si accede a un nuovo livello di consapevolezza: cambia lo sguardo su sé stessi, sulla vita, sulla realtà, e soprattutto sulla relazione con l’Altro, con la “A” maiuscola. Quello che ha portato a un cambiamento profondo negli anni successivi ha a che fare anzitutto con l’autenticità: l’incontro vero con noi stessi. Credo che possiamo davvero sapere chi siamo solo quando ci mettiamo di fronte a Colui che ci conosce meglio di quanto noi stessi potremmo mai fare. La trasformazione passa da lì: dalla scoperta di una vocazione, dall’accoglienza di una missione, ma prima ancora da un ascolto. Perché certe chiamate non si sentono con l’udito, ma con il cuore. Attraverso questo cammino di fede, di testimonianza, di amicizia, nasce il desiderio di vivere fino in fondo. Vivere provando ad amare davvero. La grande domanda nasce proprio dall’ascolto di certe parole, come quella pronunciata da Gesù nell’ultima cena: «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». È una frase che ti entra dentro e ti costringe a riflettere: abbiamo mai amato veramente? Da questa domanda nascono trasformazioni che cambiano il nostro modo di vedere tutto. E quindi anche la musica. Per questo non poteva restare esclusa da questo cambiamento. All’inizio integrare questa novità nella musica ha comportato difficoltà, soprattutto sul piano discografico. Ma quelle difficoltà, col tempo, si sono rivelate opportunità di una nuova libertà. Ed è proprio quella libertà che oggi ci permette di vivere una vita piena, luminosa, profondamente bella.
Il vostro passato è stato segnato da tanti eccessi, ma anche da una forte energia creativa, che vi ha permesso di farvi conoscere al pubblico. Ora che siete in un’altra fase del vostro cammino personale e musicale, che rapporto avete con quel periodo? C’è qualcosa che salvate o che vi portate dietro con gratitudine?
La gratitudine è un elemento fondamentale nella nostra vita, anche nel modo in cui guardiamo al nostro passato. Ripensiamo a quegli anni con riconoscenza, ma anche con tenerezza. Sicuramente ci sono ancora oggi delle responsabilità e dei sensi di colpa che ci portiamo dentro, ma, al di là di tutto questo, prevale una profonda gratitudine. È bello riconoscere che, anche in mezzo alle contraddizioni e agli errori, c’era un disegno. Tutto ciò che abbiamo vissuto, oggi possiamo metterlo al servizio di qualcosa che allora nemmeno immaginavamo. A volte mi stupisce pensare che a diciotto anni ci trovavamo già a suonare con i nostri idoli, come gli Offspring, i Muse e i Deep Purple, e a vivere esperienze che oggi forse sono un po’ più frequenti anche per i più giovani, ma che per dei ragazzi di provincia, all’epoca, erano davvero rarissime. Guardo a quel periodo con affetto: eravamo molto giovani e senza qualcuno che potesse consigliarci davvero. Non avevamo una grande casa discografica alle spalle, ma sapevamo suonare davvero bene, e questo ha fatto la differenza. Eravamo molto più vicini, come sound e impostazione, agli americani che al resto della scena italiana del tempo. E probabilmente, proprio in quella qualità tecnica, nella scrittura, nella produzione si trovava già il seme di qualcosa di speciale. E oggi, guardando indietro, vedo un filo conduttore.
In un tempo in cui la dimensione spirituale e cristiana sembra affievolirsi sempre di più, che cosa significa oggi essere cristiani?
Essere cristiani significa, prima di tutto, partecipare a quella vita che trascende l’esistenza terrena, la vita in Cristo. Questa partecipazione, che nasce da un incontro reale con Gesù, si manifesta nel quotidiano attraverso ciò che Lui stesso ci ha indicato: «Da come vi amerete, sapranno che siete miei discepoli». L’amore, dunque, è il segno distintivo dell’essere cristiani. Un amore che nasce da una relazione personale e che diventa anche esperienza comunitaria. Gesù lo dice chiaramente: chi Lo accoglie, accoglie anche il Padre e lo Spirito, che prendono dimora nel nostro cuore. Questa è la radice dell’identità cristiana: una relazione costante, interiore, che si riflette in ogni aspetto della nostra vita. E oggi, forse più che mai, in un mondo che spesso mostra le sue fragilità, le sue oscurità, l’essere cristiani autentici è una luce potente e concreta. Ho conosciuto tante persone che si definivano cristiane, ma che forse non avevano mai vissuto davvero l’incontro con il Signore. E questo porta a vivere la fede con tristezza e uno sguardo molto mondano. Perché se lo si è davvero si porta una luce contagiosa che attrae. Proprio per questo, anche le difficoltà del nostro tempo possono diventare un’opportunità: per tornare all’essenziale, a ciò che conta davvero. Siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. Siamo figli di Dio: è un’affermazione tanto straordinaria da risultare quasi incomprensibile, eppure ci riguarda profondamente.
Quale messaggio ti senti di trasmettere ai giovani cristiani che temono di sembrare “fuori moda”?
Che seguire le mode porta a un solo risultato: l’infelicità. Parlo per esperienza. Ero bravissimo a somigliare ai miei miti, a quelli di cui avevo i poster in camera. Mi riusciva benissimo: copiavo atteggiamenti, modi di essere, e questo mi faceva ottenere anche riconoscimenti della società. Ma dentro non portava nulla: nessuna realizzazione vera, nessuna felicità autentica. Oggi ci sono tanti ragazzi che vivono un’esperienza cristiana autentica e magari si sentono in difficoltà, derisi da un mondo che spesso guarda con sospetto o disprezzo chi crede. Ma loro hanno ricevuto una grazia immensa, un dono che accende una luce nei loro cuori. E proprio in un tempo in cui l’infelicità è sotto gli occhi di tutti, non c’è bisogno di convincere nessuno a parole: è la vita stessa, vissuta secondo la Parola del Signore, che diventa testimonianza. Distinguersi nel bene non è un atto di presunzione, ma può essere un’appartenenza che salva, non perché siamo bravi, ma perché ci lasciamo condurre da qualcuno più grande. Io stesso non sarei qui se non ci fossero stati, anni fa, dei ragazzi di venticinque anni che hanno avuto il coraggio di testimoniare, con semplicità, che la bellezza della loro vita nasceva da una relazione profonda con il Signore. Là fuori ci sono tante persone che vivono nel buio, intrappolate in schiavitù interiori, che attendono di incontrare qualcuno che, semplicemente vivendo la propria fede con autenticità, possa essere un’occasione di rinascita.
Lo scorso 16 maggio ha segnato l’inizio del The Sun Tour 2025, con un calendario ricco di date che vi ha visti (e vi vedrà) in eventi importanti, anche ecclesiali. Come sta andando?
Sta andando benissimo! Per noi gli eventi live sono la parte più importante. Nonostante la nostra età non sia così avanzata, siamo tra gli artisti italiani che, negli ultimi decenni, hanno tenuto il maggior numero di concerti. E questo dice molto su quanto sia fondamentale per noi l’incontro diretto con le persone: cantare, suonare, testimoniare, vivere insieme questa avventura è un’esperienza che ci riempie, che dona senso. Nell’amicizia, nell’amore, nel lavoro… tutto si colora di significato quando è condiviso con sincerità. E poi ai concerti c’è sempre una bellissima partecipazione. Si percepisce chiaramente che molte persone stanno cercando qualcosa: forse perché si rendono conto che, là fuori, tante delle proposte musicali che arrivano sono vacue. Ci sono persone che iniziano un cammino interiore, un’indagine più profonda, e cercano qualcosa che abbia senso, senza però rinunciare alla forza vitale.
Il 21 giugno sarete a Cinisello Balsamo per un concerto-testimonianza. Cosa significa per voi questo formato? In che modo unisce musica e racconto?
Questo è un evento davvero molto particolare e intenso, che permette a chi partecipa di vivere un’esperienza che va ben oltre un semplice momento di intrattenimento. Portiamo in scena una scaletta ricchissima: ben ventuno brani tratti dai nostri album. È la prima volta che proponiamo un concerto così articolato e completo. Inoltre, durante lo spettacolo condividiamo alcuni passaggi cruciali delle nostre vite, momenti che ci hanno segnato profondamente. Non è sempre facile raccontarsi, soprattutto quando si tratta di episodi intimi o di cadute, ma lo facciamo perché crediamo sia utile. Condividiamo questi frammenti per far capire che, anche nei momenti più difficili, esiste un amore che ci accompagna e guida la nostra vita, e che, se lo permettiamo, ci può fare davvero rialzare. Oggi più che mai è fondamentale offrire un messaggio di speranza. Forse è proprio questo il cuore del nostro tour: un percorso che riaccende la speranza, che incoraggia e che rialza.
L’evento è promosso dal Centro Culturale San Paolo e ospitato nella sede della Società San Paolo. Qual è il vostro rapporto con queste realtà? C’è una collaborazione pregressa o un legame particolare?
In occasione del concerto a Cinisello Balsamo, ho notato una bella squadra dietro l’organizzazione dell’evento. Noi, di per sé, non avevamo una relazione pregressa con la Società San Paolo, ma abbiamo un’amicizia con uno dei ragazzi. È una persona che stimo molto: ci conosciamo da anni, e nel tempo abbiamo avuto modo di apprezzare le sue qualità straordinarie. E poi, come spesso accade, quando c’è una bella energia individuale, questa si riflette anche sul gruppo. Dietro alle cose belle non c’è solo un singolo, ma c’è sempre una squadra che condivide un’idea, una visione, e ci crede davvero.
Prima del vostro concerto ci saranno giovani band del territorio e alla fine una raccolta fondi per un progetto missionario. Come vivete il fatto che la vostra musica sia parte di una rete di esperienze più ampia e solidale?
È una grandissima gioia. Forse è proprio uno degli aspetti che più ci spinge a continuare a fare quello che facciamo. È qualcosa di profondamente importante, che va oltre la musica e l’essere musicisti. Credo sia una prospettiva che dovrebbe toccare un po’ tutte le persone nella società: non limitarci a ciò che riguarda solo noi stessi, ma cercare, nel nostro piccolo, di essere un ponte, un canale di comunicazione per iniziative, possibilità, persone e realtà che possono trarre beneficio dalla nostra presenza.
Il 29 novembre vi esibirete per la prima volta all’Alcatraz di Milano, in occasione del release party del vostro nuovo album. Che cosa possiamo aspettarci da questo live?
Sarà un live davvero speciale, unico nel suo genere: porteremo sul palco per la prima volta alcuni brani del nuovo album, insieme alle nostre canzoni più conosciute. Inoltre, sarà la prima volta per noi all’Alcatraz e questo rende tutto ancora più speciale. Invito tutti a partecipare.