– di Martina Rossato –
Imbattersi in un disco di soli featuring non è poi cosa comune, nel mondo del pop rock. Mi approccio così con grande curiosità all’ascolto dell’ultimo album degli Zen Circus, “Cari Fottutissimi Amici”. Ancora prima di sentirlo, ne osservo la copertina: non ha niente a che vedere con quella dell’omonimo film del ’94. Nella foto di Ilaria Magliocchetti Lombi, Appino, Ufo e Karim sono ritratti a bordo di alcune autoscontro, come a voler prendersi gioco degli oltre vent’anni di carriera che hanno ormai alle spalle. Il gruppo ha esordito nel ’94, e da allora The Zen Circus è stato (quasi sempre) sinonimo di successo.
Uscito per Capitol/Universal, “Cari Fottutissimi Amici” è un disco nato senza premeditazione dall’esigenza di creare un dialogo tra passato e presente. Per un gruppo che ha alle spalle dodici album, che ha dato probabilmente il massimo nel 2016 con “La Terza Guerra Mondiale” e che nel 2020 si è preso la briga di consolarci in piena pandemia con “L’Ultima Casa Accogliente”, era arrivato il momento di cambiare qualcosa, trovare una nuova combinazione vincente. Come parlare con un amico può aiutare a uscire dalle situazioni più difficili e dal confronto possono emergere le idee migliori, si era forse reso necessario per gli Zen collaborare con altri artisti per trovare un punto di ripartenza. Le collaborazioni – tutti grandi nomi della musica italiana – parlano chiaro: ci sono volti ormai storici, affiancati dai nuovi (anche se ormai non nuovissimi) della scena.
La prima traccia, scritta e cantata con Brunori, è indicativa fin dal titolo, “Ok boomer” e dall’incipit: «I ragazzi di oggi una volta eravamo noi». Questa frase rappresenta molto bene la sensazione che il disco lascia addosso a chi lo ascolta, quell’idea che gli Zen si sentano ormai quasi fuori luogo: troppo cresciuti per continuare ad essere i ribelli di “Andate Tutti Affanculo”, troppo giovani per accettare l’idea che presto saranno loro stessi i nuovi boomer. “Too old to rock’n’roll, too young to die”, come già cantava Ian Anderson tanti anni fa.
A proposito di “Ok boomer”, i ragazzi hanno raccontato che il titolo del primo provino di Brunori era ironicamente “I ragazzi di Joggi”, il piccolo borgo di origine di Dario, in provincia di Cosenza. Il brano è diventato poi il pretesto per sottolineare il divario con le nuove generazioni: «Perché siamo nostalgici, romantici, sogniamo un mondo che non c’è più».
Senza dubbio è interessante la traccia centrale del disco, alla quale hanno dedicato particolare attenzione e spazio: la canzone, con i suoi undici minuti di lunghezza, non passa certo in sordina. “Caro fottutissimo amico” è per la prima metà uno scambio di battute quasi epistolare tra Appino e l’amico Motta. Una canzone libera – forse troppo – che non segue nessuno schema. Dopo il ritornello, la lunga la parte strumentale rende la canzone più da vivere che da ascoltare.
Forse questo disco non era il luogo più adatto per un pezzo così lungo e complesso, in cui la batteria prende lentamente il ruolo di protagonista, circondata da altri suoni sempre più distorti e lievi. Sicuramente molto apprezzabile è la coraggiosa (per quanto non sorprendente) scelta di inserire nell’album un brano così poco pop. Il disco si chiude con uno strumentale feat. Musica Da Cucina, “Salut les copains”, che riprende concettualmente la coda di “Caro fottutissimo amico”.
L’album lascia un po’ con l’amaro in bocca. Sembra che manchi qualcosa, tanto che alla fine dell’ascolto viene da chiedersi se questo album di featuring non sia solo il tentativo di colmare una mancanza da parte del gruppo. Dopo vent’anni è comprensibile avere bisogno di nuove ispirazioni, e andarle a cercare tra i vecchi amici può essere una soluzione. Bisognava confrontarsi con il passato e il presente della musica per fare il punto della situazione; era giusto mettersi da parte, prendersi tempo e cercare nuovi stimoli all’esterno.
Gli Zen Circus hanno deciso di pubblicare un album di cui non sono i protagonisti, e per ora va bene così.