– di Martina Rossato –
Total Reverends è l’esordio discografico del progetto rock di Francesco Forni e Piero Monterisi, pubblicato il 10 ottobre 2025 per AreaLive / Believe. Un album potente e viscerale, interamente in inglese, che fonde l’energia del rock anni Settanta con l’attitudine alt-rock dei Duemila e un’anima spiritual-blues.
Dieci brani che attraversano temi come alienazione, desiderio, ipocrisia e redenzione, in un percorso musicale e simbolico che celebra la sacralità del suonare insieme.
Un disco corale, ricco di collaborazioni e di energia live, che fa dei TOTAL REVERENDS una delle realtà più originali e ispirate del panorama rock contemporaneo italiano.
Il nome TOTAL REVERENDS e l’immaginario “ecclesiastico” che lo accompagna sono fortemente evocativi: cosa rappresenta per voi questa simbologia “sacra” nel contesto del rock e del vostro modo di fare musica?
La sacralità della musica. Il bisogno di fare musica nasce con il bisogno di condividere determinati stati d’animo, nel contesto di una sacralità rituale. Nel rock, a partire dagli anni ’60, per la prima volta masse di persone si sono riunite in spettacolari raduni, dove la musica aveva la funzione di catalizzatore catartico. Nel nostro Olimpo ci sono Hendrix, Buckley, Bonham… siamo politeisti.
L’idea di dare a ogni ospite un “nome da prete o da suora” è geniale: quanto è gioco, quanto è satira e quanto, invece, un modo di creare una “comunità” musicale alternativa?
L’idea è quella di mostrare una comunità dedita in modo immersivo e rispettoso al palcoscenico. Musicisti, autori e teatranti si sono alternati sui nostri palchi e ora nel nostro disco. Lo spettatore può osservare da fuori un mondo a sé indipendente dalle logiche della realtà che ci circonda. Che poi tutto questo sia gioco divertente e leggero, lo rende sicuramente uno stimolo in più.
Il disco affronta temi forti come alienazione, ipocrisia, autosabotaggio e desiderio: in che modo questi temi rispecchiano la vostra visione del mondo contemporaneo?
Gran parte di questi sono stati scritti nel momento della pandemia, quando si percepiva che saremmo entrati in una nuova era e che non sarebbe stata una cosa buona. Ancora oggi, a distanza di anni, c’è chi non ha ritrovato una dimensione reale e di confronto diretto con i propri simili, non ha ritrovato il bisogno di stimoli che vadano al difuori di ciò che serve alla mera sopravvivenza economica, al quieto vivere. Strettamente legato a questo, c’è tutto il discorso passionale che riguarda la sfera dell’amore, dell’entusiasmo e della carnalità.
Avete entrambi carriere molto ricche e differenti alle spalle. Cosa vi ha spinto a unire le forze proprio ora e in questa forma così radicale e intensa?
Ci siamo ritrovati musicalmente con l’entusiasmo e l’amore verso questo sound considerato in Italia non praticabile. È stato per un periodo un’oasi felice dove ritrovarsi su un palco. Ora è un progetto che ha preso la prima forma ed è pronto a decollare per nuovi orizzonti.
L’album è interamente in inglese: è stata una scelta stilistica, espressiva o un modo per collocarvi in un panorama sonoro più internazionale?
Tutte e tre. La scrittura, la vocalità e gli stati d’animo cambiano a seconda della lingua in cui si pensa, si scrive e, quindi, si canta. Il mio precedente disco è stato scritto e cantato interamente in napoletano e io, dopo tanti linguaggi affrontati, ho scoperto emozioni e vocalità espressive nuove. L’inglese è stata per me una lingua più frequentata del napoletano, ma mai approfondita come ho fatto in Total Reverends.
Total Reverends mescola influenze anni ’70, alt rock ‘00 e spiritual/blues: come avete costruito questo equilibrio sonoro e quali artisti vi hanno più ispirati durante la scrittura?
Le influenze sono amori che abbiamo nel cuore. Sicuramente le radici affondano nella musica di fine anni ’60, ’70. C’è tanto rock e blues delle origini, il sound è indubbiamente retrò, ma a mio avviso anche molto contemporaneo. A luglio ho assistito per la prima volta ad un concerto di The Black Keys e ho trovato tanta affinità con loro, così come nel lavoro di Jack White o dei QOTSA.
Il disco è stato registrato in quattro studi diversi e con un’ampia squadra di musicisti. Come avete gestito questa coralità senza perdere coerenza e identità?
Il disco è concepito, curato, sviluppato e prodotto in un solo studio, quello che ho nel mio salotto di casa. Gli studi esterni ci sono serviti per tutte le riprese di batterie (T2, Auditorium Novecento Napoli), per alcuni bassi, per ospiti a distanza (Rodrigo D’Erasmo e Raffaele Scogna hanno registrato in diretta da Milano dallo studio di Tommaso Colliva mentre noi eravamo con il Mafio nel T2 qui a Roma) e per riprendere insieme tutti gli ospiti corali di All U can Hit (Fattoria sonora con Federico Leo in consolle).
Come avete scelto gli ospiti e cosa ha aggiunto ognuno di loro alla visione complessiva dell’album?
Molti ospiti facevano già parte della “comunità” di cui abbiamo parlato, e l’idea di collaborare è spesso nata sui palchi o nelle chiacchiere da dopo concerto. Ognuno ha dato tanto al disco, anche quando sembrano piccole cose, proprio perché il sound è ben definito nei limiti che il duo può esplorare. Tutto il resto è l’apporto degli ospiti.
Il brano “LOVE & PAIN” ha un’anima profondamente spiritual-blues: quanto conta per voi la dimensione “rituale” del suonare, del cantare e del condividere energia dal vivo?
Ah, vedi la parola “rituale” la usi anche tu? Ne sono onorato. È proprio come hai scritto qui: tutto nasce e si fonda per condividere questa energia dal vivo. La dimensione in studio ci è servita per aggiungere sfumature e colori a quello che abbiamo trovato sul palco.
Nei vostri concerti l’energia è parte integrante del messaggio: come cambiano i brani sul palco rispetto alla versione in studio?
Questo lo devi e lo dovete scoprire venendo ai nostri concerti. Le due cose sono molto diverse a livello energetico, anche quando si assomigliano nella forma. In più, le canzoni sono vive: si evolvono e crescono ogni live. Non siamo mai stati una band che allestisce un tour con prove e si attiene a forme rigide. Anche la scaletta cambia da concerto a concerto.
Se doveste riassumere il messaggio “totale” dei TOTAL REVERENDS in una sola frase o immagine, quale sarebbe?
Ti cito una frase da una canzone inedita che deve ancora essere registrata: la rivoluzione è inevitabile, è tempo di dirsi “da che parte stiamo”.







