– di Assunta Urbano.
Foto Davide Fracassi –
Valentina Polinori dà il via al suo percorso artistico all’età di quattordici anni, iscrivendosi al Conservatorio di Santa Cecilia della sua città natale, Roma. Dopo anni di studi universitari, la Laurea in Storia dell’Arte Contemporanea e l’attiva professione in ambito scolastico, inizia a scrivere canzoni e non abbandona mai la musica.
Ben presto viene raggiunto un fondamentale obiettivo, ovvero l’incisione del primo disco Mobili, uscito nel 2017. Gli anni seguenti la portano in giro per i palchi italiani, come opening act di Galeffi, Lo Stato Sociale ed altri artisti del panorama indipendente. Questo 2020 segna un ulteriore punto d’arrivo: la pubblicazione del suo secondo lavoro intitolato Trasparenti, anticipato dal singolo e dal video Bosco (ascolta Trasparenti su Spotify).
I dieci brani presenti all’interno sono uniti dallo stesso filo conduttore, per l’appunto, la trasparenza. E proprio di questo percorso e del secondo disco abbiamo parlato con Valentina Polinori.
Caparezza, nel 2003, cantava in Il secondo secondo me: “il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”. Il 21 febbraio scorso è uscito Trasparenti, per l’appunto, il tuo secondo lavoro. Come ti sei approcciata a questa nuova esperienza?
In realtà, io non l’ho sentito questo peso del secondo album. Credo sia semplicemente complesso fare un album in generale. Rispetto al primo, forse, avevo delle ansie che avevo già superato e quindi, per certi versi, è stato più facile. I brani, poi, sono stati curati da un produttore artistico (Alessandro di Sciullo ndr.) e quel lavoro era già stato fatto. Da quel punto di vista mi sono sentita più tranquilla.
Trasparenti non è il titolo di nessuna canzone all’interno del disco, anche se la parola è citata nel pezzo Andiamo fuori. Parliamo di questo lavoro e di che importanza ha il concetto di trasparenza nel tuo percorso musicale?
Quelli interni a Trasparenti sono dei brani che ho scritto, in modo rapido, in uno stesso periodo e quindi è come se si fossero uniti da soli. Poi ci sono state la parte di registrazione e produzione successive. Abbiamo impiegato circa un anno, tra una cosa e l’altra. Il concetto di “trasparenza” è venuto fuori proprio da quel brano lì ed ho pensato che fosse un aspetto in comune con tutte le altre tracce. È l’idea di sentirsi “letti dentro” e la voglia di iniziare a raccontare alcuni aspetti in modo più onesto. È una cosa che provo a fare, un obiettivo che mi pongo, nel mio percorso artistico generale. Mi piace creare dei rapporti il più possibile spontanei e delle reti umane anche con gli altri artisti, senza inutili barriere. Allo stesso modo, quella è una modalità di essere trasparenti.
Il tutto è stato anticipato, in primis, dal singolo e dal video Bosco, che effettivamente rende l’idea di trasparenza che intendi trasmettere. Raccontami di questa canzone, al cui interno ho visto una metafora di perdizione in un luogo sia fisico, ma soprattutto mentale.
Bello, non ci avevo pensato! È davvero una bella immagine. La “trasparenza” in Bosco è un po’ l’onestà di dichiarare quando ci si sente persi. In quel momento ti chiedi dove sei, non sai risponderti e devi fare i conti con le tue fragilità. Bosco parla di questa cosa. Racchiude in sé la forza di confessare a chi ti sta accanto quello che provi, quando ti senti in difficoltà e quando hai bisogno di qualcuno che ti aiuti ad uscire al di fuori da qualcosa. Insomma, è un modo per esprimere un disagio.
Invece, il video come è nato?
Ho un buonissimo rapporto con i ragazzi de LaClique, con cui ho realizzato anche altri video per il disco precedente. Mi trovo molto bene con Davide Fracassi che è stato il regista. Quando ci siamo incontrati per parlare del video, ci siamo accorti che nessuno voleva raccontare una storia. Io avevo come idea quella di creare alcune scene in studio, loro mi hanno proposto di girare in uno spazio aperto, che richiamasse il bosco. Quindi, abbiamo un po’ mischiato le due cose, cercando sempre di evitare il filo narrativo. Volevamo solo creare delle immagini evocative.
Certo, si sente molto questo bisogno nel video.
Il brano Camilla è l’unico con il titolo che si riferisce ad un nome, caratteristica, invece, più frequente in Mobili del 2017. Dare un “nome” di persona ad una canzone, probabilmente, crea più empatia tra chi canta e chi ascolta. Dato che nel complesso in questo lavoro si percepisce l’intimità, secondo te, quanto è importante per un artista essere autobiografico?
In parte, è una cosa che sto scoprendo adesso. Nel primo disco, magari non l’ho fatto molto, ma mi rendo conto che le canzoni parlano comunque sempre di me esplicitamente o di me attraverso altri personaggi. Erano sempre dei miei pensieri, ma in questo caso sono più espliciti. Come si può vedere e sentire, parlo quasi sempre in prima persona, quindi sono autobiografici. Secondo me, è una cosa difficilissima. Non è sicuramente indispensabile, per ora la sto sperimentando. Mi piace e, in qualche modo, mi serve. Non è neppure una cosa studiata “a tavolino”. È come sto scrivendo ora ed è tutto molto naturale.
Sei stata opening act di vari artisti, come Lo Stato Sociale o Galeffi. Il 17 aprile, però, ci sarà il tuo personale Release Party a Le Mura. Come sarà questa data? Cosa dovrà aspettarsi il pubblico dal live di Valentina Polinori?
È da tanto che non suono a Roma con la band al completo. Sicuramente il pubblico mi troverà molto emozionata per questo motivo. Questa è la prima volta che stiamo allestendo e provando i brani del nuovo disco. C’è dietro un lavoro molto bello da fare. Di base sarà un live “suonato” e questa sarà un’altra cosa che ci si aspetterà. Creare un’esibizione, presentando un tuo nuovo lavoro, è un’emozione molto forte. Sarò di certo molto felice.