Rivoluzionario o rivoluzionando? Perché con Lorenzo Kruger dei Nobraino aveva celebrato Paolo Conte scendendo a patti con una forma canzone assai (e dico assai) classica e un pochetto irriverente nei modi – come d’altronde il maestro ci insegna. Dunque fatta salva la grande letteratura, oggi è tempo di cambiare e di rivoluzionare, appunto, se stessi per prima cosa e poi il resto del mondo che vive attorno. Punto a capo. Giacomo Toni abbandona gli abiti convenzionali e pubblica questo “Nafta” che a dirla tutta non ci sta a fare la parte del ragazzo educato in giacca e cravatta. Un piano punk quasi funk di sicuro psichedelicamente trasgressivo in una lirica fatta canzone un po’ da ubriacarsi l’anima e un po’ da rincorrerci dietro immagini e sensazioni. Un disco da acidi e fiori di campo insomma. Canzone d’autore d’avanguardia che però non fa il verso ma è testimonianza di evoluzione. Infatti inchioda tutti al muro con “Inchiodato a un bar”, testimonianza che sa essere incisivo nei panni educati. Conosce il mestiere e ha gusto raffinato. Da qui in avanti si può permettere il lusso di dire la sua.
Un titolo forte. Hai scelto “Nafta” per la puzza, per il sapore o per l’energia che produce?
Le tre cose insieme… Ma soprattutto per il fatto che viene usata per i trattori. Il rimando agricolo era importante per dare un paesaggio ben preciso ai personaggi.
Un parallelo visivo ispirato dalla nafta come fosse benzina: dando fuoco, un incendio, il caos. A suo modo questo disco è così?
Volevamo dare un messaggio sonoro che fosse in controtendenza.Da questo punto di vista direi che il disco vuole essere incendiario. Ha la sua brava sete di marmitte fantastiche e di bielle scintillanti.
Il punk del tuo pianoforte, la forma canzone che stravolgi e rendi acerba, il tuo totale essere libero di espressione e gusto. Avanguardia o controcultura?
Preferisco considerarla canzone di ricerca, anche perché a volte mi piace tentare una strada che porti al “classico”.
Dalle note di stampa viene fuori un Giacomo Toni che cerca di reagire alla canzone d’autore troppo educata e troppo composta… è così? Come mai?
La vita mi ha messo di fronte all’inutilità delle mie sperimentazioni narrative.Tuttavia, più che alla compostezza della canzone (che non è necessariamente un male), il mio modo di scrivere si opporrebbe a una certa estetica contemporanea, che alterna il piagnisteo generazionale all’arrivismo svergognato. Spesso ho l impressione che la musica sia diventata il bidone della spazzatura della letteratura e m’ abbacchio.
Per chiudere ti lascio (spero) un input per un’analisi dal titolo: la provincia. Potrebbe mai venire da una Milano questo disco?
Credo di no. I caratteri che ho raccolto provengono da persone che ho incontrato realmente. Hanno tutti quell’autocompiacimento anarcoide tipico della provincia, e la presenza della natura pesa come un macigno su di loro. Milano, che amo e non m’ama, così inserita nell’opera umana, oggi avrebbe una illegalità diversa da descrivere, un rapporto con la natura differente, meno vertiginoso.