Reduce dalla pubblicazione del suo nuovo singolo dal titolo “Come poche cose al mondo”, Giovanni Carnazza, cantautore, fondatore de Le Siepi Dischi e produttore, ha risposto ad alcune delle nostre domande.
“È una canzone che fonde due storie, due come le menti che l’hanno partorito a distanza. Le voci del racconto sono due, una maschile e l’altra femminile interpretate dalla stessa persona. Da una parte, c’è la descrizione di un amore che non ha avuto modo di esprimersi, durato il tempo di una notte e mai davvero consumato. Dall’altra parte, c’è il racconto di un amore vissuto davvero con tutta la paura di una sua potenziale perdita. Troppo spesso ci rendiamo conto del valore delle persone che abbiamo accanto una volta perdute. Fa parte della vita, questo perdersi e ritrovarsi sotto varie forme e sembianze ma troppo spesso tralasciamo di sottolineare la bellezza di ciò che viviamo nel momento stesso in cui lo viviamo. L’arte di vivere il presente, lasciando andare il passato e scordandosi per un attimo del futuro: siamo quello che siamo soltanto nell’attimo in cui lo viviamo; il resto è pura narrazione, che è già distorta nel momento in cui la raccontiamo agli altri.” (Giovanni Carnazza)
Quali sono le due storie che hanno ispirato il tuo brano?
Dovessi raccontarle nei minimi particolari, dando a queste storie dei nomi e dei volti forse la canzone perderebbe di quella universalità di cui invece un ascoltatore ha, secondo me, bisogno. Non scrivo o canto una cosa per mera descrizione. Lo faccio affinché si possa immedesimare, facendo propria l’esperienza che descrivo. Una volta messe nero su bianco le proprie emozioni è come se scomparissero da noi stessi e diventando altro, cioè ciò che le altre persone decidono di farne. In fondo, arte è tutto ciò che suscita emozione, immedesimazione, empatia. Ha a che fare con la nostra umanità più profonda, con l’idea di un destino che ci accomuna e che non ci fa mai sentire soli.
Si può ballare sulle canzoni tristi? Oltre a questa, qualche altro esempio?
Si deve ballare sulle canzoni tristi. In fondo, una canzone triste è solo un modo per esorcizzare una propria paura e quando un ascoltatore si identifica con quella paura ballarla diventa un modo per scacciarla anche dal proprio corpo. Per questo amo unire suoni più sinfonici a ritmi e synth più energici, proprio per cercare di far passare il messaggio che la sofferenza, la paura, il dolore hanno sì bisogno del degno riconoscimento ma poi possono essere scacciati senza alcun problema. Basta volerlo, basta cercare in tutti i modi di essere felici.
Cosa ci puoi anticipare sul tuo disco di debutto?
Coltivando più la veste di produttore e di label manager dell’ennesima etichetta indipendente, Le Siepi Dischi, ho sempre deciso di far uscire dei singoli ogni volta che ne sentivo la necessità. Poi arriva un punto in cui hai bisogno di fare un bilancio, come succede a Capodanno o, quando eravamo bambini, con l’inizio dell’anno scolastico. Questo album per me è un’occasione per fare un bilancio di ciò che è stata per me la musica fino a questo momento. Per questo, conterrà pezzi inediti ma anche tante collaborazioni con artisti che hanno segnato il mio percorso professionale e umano fino a questo momento e con cui ho rimesso mano all’arrangiamento di pezzi che sono già usciti a mio nome.
E cosa ci puoi invece raccontare de Le Siepi Dischi?
Le Siepi Dischi è la mia scommessa più bella, anzi la nostra scommessa più bella. Perché dietro questo nome c’è un team meraviglioso di persone con cui ho il piacere di confrontarmi tutti i giorni e un roster di artisti che condividono la nostra stessa filosofia: la buona musica deve andare a braccetto con una grande umanità e un grande rispetto reciproco. Ci è capitato spesso di scartare progetti musicalmente validi ma con cui non si era instaurata quella sensazione di affidamento che invece ai livelli emergenti è fondamentale. In fondo, noi come label scommettiamo sugli artisti che abbiamo ma anche loro scommettono sulla nostra realtà. Per questo mi piace immaginare Le Siepi Dischi come una grande famiglia che vuole crescere in maniera sinergica e armoniosa. Siamo trasparenti nelle nostre condizioni, rispetto a ciò che facciamo e rispetto a ciò che non possiamo fare, ma soprattutto mi piace sottolineare due cose: non siamo editori (prendo il cedere metà del proprio diritto d’autore come una cosa molto delicata che merita il dovuto rispetto) e lasciamo gli artisti sempre liberi di decidere dove e quando andare via (non costringiamo nessuno a restare con noi).
Nelle tue influenze troviamo diversi nomi internazionali. Sugli italiani chi ci puoi citare in particolare? Il tuo feat. ideale?
La Rappresentante di Lista rappresenta per me ormai da anni il progetto più bello e interessante che vantiamo nel nostro paese. La decisione di Nicolò Contessa di ritirarsi dalle scene, indossando i panni di produttore, è stata sicuramente una grave perdita in termini musicali. Adoravo I Cani ma non riesco a stimare i progetti che ha poi deciso di seguire. Tornando a noi, amo da sempre Diodato. A prescindere dalle sue doti canore incredibili, trovo il suo modo di scrivere vicino al mondo che cerco di crea anche io con le parole. Per questo, senza dubbio il mio feat ideale sarebbe con lui ma mi accontenterei anche di aprire un suo concerto. Per quanto riguarda il mondo emergente, apprezzo particolarmente GINEVRA che trovo molto vicina al sound che amo.
Progetti per il futuro?
In realtà, non mi piace parlare di progetti per il futuro. Il mio progetto è continuare giorno per giorno a far crescere i progetti e le strade che ho deciso di intraprendere: crescere come cantante, come produttore musicale e come co-fondatore di un’etichetta indipendente (l’ennesima, come ci piace definirci). Accanto a questo, coltivo il sogno di un percorso nel mondo accademico. Sono ricercatore in economia e per la prima volta sto tenendo un corso a mio nome in una università prestigiosa di Roma. Io mi ripeto sempre: un passo alla volta, a testa bassa e con i piedi per terra.