Non è tanto la bellezza a colpire durante l’ascolto di questo nuovo disco di Jesto. La bellezza è qualcosa che lasciamo alla sensibilità di ognuno. Per quanto mi riguarda è la verità una grande parola che sarebbe opportuno ricordare. La verità che c’è dietro un artista come Jesto è qualcosa che raramente oggi vediamo, drogati come siamo dalle apparenze da social network. Ed il nuovo disco di un rapper come lui, figlio del grande Stefano Rosso, è una dimostrazione sociale di verità. Si intitola “IndieJesto” ed è una rivoluzione per il suo modo di fare musica: chitarra acustica, voce (che non tradisce lo stile) e canzone d’autore acustica, diretta, pulita, figlia del pop nelle liriche, seguace di grande folk nelle scritture melodiche e negli arrangiamenti grazie alla mano di Andrea Tarquini. Niente rap, niente trap, niente hip-hop. Un suono quotidiano soltanto, ben prodotto, che racchiude l’espressione che ha urgenza di esistere. Ed è verità quella che si esprime con l’arte, opinabile certamente, ma per una volta, si rende sfacciatamente vera e personale. Jesto porta a casa un disco da cantautore e, lasciatemi azzardare questo commento: penso che questo sia il vero primo lavoro che mi arriva come vero incontro tra i linguaggi di questo futuro digitale e la scuola classica di cui suo padre era maestro. Un disco lontano dalle logiche del marketing di copertina, lontano dalle produzioni stellari, lontano dal rumore mediatico di massa che impone i video, il look, le apparizioni, il bel taglio dei vestiti… tutto questo sparisce ed è segno di grandissima forza e urgenza artistica che non ha tempo da perdere dietro le apparenze dei burattini. “IndieJesto” è un disco ricco di dolcissima verità.
Non si può prescindere da questa trasformazione che avevi timidamente lasciato intendere ma che ora è decisamente “ufficiale”. Perché? Cosa rappresenta?
Con “Buongiorno Italia” mi sono approcciato alla chitarra per la prima volta, ma l’ho usata in maniera marginale, come arricchimento di canzoni che già erano pronte. Con “IndieJesto” invece ho basato tutto sulla chitarra. La prima versione di questo album era solo voce e chitarra, poi l’abbiamo arrangiata e abbiamo messo il groove in studio, tra bassi elettronici e sintetizzatori, ma lasciando predominante il feeling di voce e chitarra.
Faccio quello che mi stimola, e dopo “Buongiorno Italia” ho sentito quest’esigenza di fare un disco più acustico. Ho bisogno di mettermi sempre alla prova e di seguire l’ispirazione ovunque mi porti.
Lasciati fare questa domanda sentimentale: ti senti più vicino a tuo padre? Ovviamente sto rivolgendo questa domanda pensando al mondo musicale, come genere, come forma canzone…
Si, sicuramente mi sto avvicinando al mondo di mio padre, musicalmente parlando. Anche se, per come la vedo io, la mia poetica e la sua erano già molto vicine, anche nelle mie fasi precedenti. Cambiava la forma, ma anche nei miei dischi puramente rap si poteva percepire una vicinanza con mio padre. Ovviamente questa nuova fase più acustica e più cantautoriale è più vicina all’eredità musicale che ho addosso. C’è da dire che la poesia di mio padre è ancora inarrivabile, quindi devo lavorare di più e meglio, per potermi affiancare a lui.
Lavorare con le chitarre poi, mi riporta alla mente i momenti di vita in cui mio padre era presente, è come se accendessi una parte del mio inconscio che mi riporta ai tempi in cui suonava in casa e io, da bambino, ascoltavo e basta. È la magia della musica.
Sarà una trasformazione definitiva o è da considerarsi una parentesi?
Sono in continua evoluzione. Potrei fare di tutto, vado dove mi porta l’ispirazione.
Diciamo che attualmente cantare sulle chitarre è diventato imprescindibile per me, mi da una sensazione così bella che difficilmente abbandonerò. Mi piace anche cantare su robe più elettroniche, quindi tutto può essere. Il bello di me è che non sai mai cosa aspettarti. E lo dico anche a me stesso, non so proprio cosa aspettarmi da me! Per dire, sto facendo un fumetto, scritto e disegnato da me, semplicemente perché ho anche quest’esigenza comunicativa. Sperimentare un tipo di narrazione diversa. Detto questo, sono già al lavoro su nuova musica, non so stare senza andare in studio! Se non butto fuori quello che ho dentro, sento di non fluire.
E perché questo titolo acido come “IndieJesto”? Al di la del gioco di parole che ritroviamo spesso nella scena indie, ci dici per caso che sarà ostico per chi segue e ama Jesto da anni?
Si, il titolo ha molteplici significati. Da una parte avevo bisogno di dire già nel titolo che non sarebbe stato un disco rap. Ho giocato sull’indigestione appunto, sia riferito al mio pubblico abituale che avrebbe potuto non mandare giù questo cambiamento, sia per il fatto che ho fatto così tanti progetti rap da farne indigestione e dover vomitare qualcosa di diverso. Ho cambiato il tappeto sonoro, ho cambiato il modus operandi per la composizione e ne è uscita una pietanza completamente nuova. Ho cambiato la ricetta, ecco, ma sono sempre io a cucinare. Devo dire che al mio pubblico di Supershalli il disco è piaciuto, per quanto fosse inaspettato. Hanno imparato a conoscermi, e sanno che tutto quello che faccio lo faccio perché ne ho necessità, e lo faccio rimanendo me stesso. Con questi presupposti, posso fare veramente quello che sento, senza la paura di essere giudicato o non capito. Il bello del mio rapporto con i fan è che ormai mi conoscono, sanno come sono fatto e c’è un legame tra noi che credo sia veramente raro tra artista e pubblico. Sanno che sono sincero e rispettano le mie scelte.

La copertina di IndieJesto
L’incontro con Andrea Tarquini quanto è divenuto complice per la scrittura di questo lavoro?
Mi ha seguito nella fase compositiva. Avevo già tutte le melodie e le parole in testa, e ci siamo messi davanti al camino, a dare un tappeto sonoro alle melodie che avevo dentro. Per lui è stato naturale seguirmi, cantavo un ritornello e gli suggerivo il tipo di sound che sentivo per quello specifico pezzo, e lui, suonando la chitarra, trovava il giusto mood. Per esempio, per Vegani Domani volevo un leggero richiamo ai Nirvana, e mentre cantavo gli dicevo “famola più Nirvana!” Scherzi a parte, è stato tutto molto naturale, abbiamo seguito il flusso. È nato tutto in due giorni, almeno la prima versione voce e chitarra di tutte le canzoni che compongono IndieJesto.
Eppure la voce la tratti quasi come sempre… o sbaglio?
La mia attitudine è sempre la stessa. Sento una melodia che mi piace, e da quando si accende il microfono vado quasi in freestyle. Anni e anni di freestyle mi hanno dato un’elasticità e una libertà mentale per cui posso fare una canzone da zero senza pensarci, in pochi minuti.
Tutto sta poi nel trovare l’idea giusta, che mi stimoli e mi trasmetta quel qualcosa che non si può spiegare. Forse rispetto al passato sto dando più risalto alle melodie, e sto sperimentando con la voce per mettere molto di cantato e meno di rappato, ma, in generale, ho sempre fatto un rap molto musicale e melodico.
Parliamo del video di lancio, cosa ci dici in merito?
Intendi il video promo con il sottofondo di “Stupido”? Guarda, abbiamo deciso di uscire con il disco a sorpresa e senza singoli né video ufficiali. Quel contenuto video ritrae semplicemente un momento di vita vissuta, ci sono io con amici di sempre, tra cui il famoso street-Artist Mr.Wany, che andiamo a bere una birra, e sul tragitto ci fermiamo tra negozi di vinili e un negozio vintage. Niente di più di quello che facciamo normalmente, in una serata qualunque. Per questo disco volevo che trasparisse il me più vero, quotidiano, senza finzioni o forzature, quindi quel video-promo era il modo migliore di rappresentare il lancio del disco. Semplicemente me stesso, così come la parte musicale.