Franco Naddei e Sabrina Rocchi affrontano insieme il lungo viaggio della memoria e dell’omaggio dentro un disco che troveremo anche in una preziosa release in vinile, dal suono antico, analogico firmato da Roberto Villa per L’Amor Mio Non Muore. Esce “Ripensandoci”, lavoro dentro cui ritroviamo la canzone di Jula De Palma rivista e codificata nell’anima e nelle intenzioni dal suono ricamato e ricercato di Naddei (Francobeat) e dalla vocalità attenta e rispettosa di Sabrina Rocchi. Pulito, umile, a suo modo personale dentro la ricerca di una via che sia al tempo stesso memoria e attualità, che sia loro ma anche della storia che conosciamo. Canzoni intramontabili che qui ritrovano una nuova voce, una nuova vita… non si perdono ma neanche si svendono e questo delicato punto di incontro è il vero cuore di un lavoro pregiato come questo.
Dopo l’assaggio con i due singoli eccoci a parlare del disco. Impossibile non chiedervelo: perché proprio Jula De Palma?
Jula de Palma era un nome che mi girava in testa da anni, da quando me ne parlò per la prima volta Gino Corcelli, cantante crooner riminese che cantò con lei nel periodo in cui entrambi erano sotto l’ala di Gornj Kramer. Io e Gino lavoravamo in una radio locale (Radio Sabbia) e nelle pause pranzo mi raccontava tante storie di quel periodo d’oro che furono gli anni ‘60 e anche di questa grande cantante che non conoscevo. Dopo molti anni quando Sabrina mi ha chiesto di ritornare a cantare ho pensato subito a Jula proprio pensando alla sua storia come artista e donna. Una storia che è fatta di cura della bellezza dei dettagli, del coraggio, del pensare fuori dagli schemi, di giocare e cantare liberamente, di essere sempre in mille progetti e mille direzioni diverse nel mondo. E molte di queste cose, se non tutte, sono in comune con Sabrina che si è subito appassionata al personaggio ed alle interpretazioni straordinarie di Jula, dandole una spinta in più per riprendere a cantare. Da parte mia l’idea di poter lavorare come produttore puro, senza praticamente suonare nulla, mi affascinava molto. Il nome ce l’ho messo ma devo dire che senza Sabrina questo disco non avrebbe avuto senso, men che meno se lo avessi cantato io!
Una donna, un artista così poco ricordata ma assai importante per la nostra tradizione. Avete anche pensato di poterla in qualche modo “portare” dentro al suono e al lavoro?
Come detto ci siamo molto ispirati a lei non solo come interprete. Volevamo omaggiare non solo la cantante ma anche un po’ rivivere su noi stessi quello che richiede fare un disco così impegnativo. Chiamare i musicisti, incontrarsi in sala oppure a casa per discutere sugli arrangiamenti davanti ad un bicchiere di vino, passarsi spartiti ed opinioni, incontrarsi, parlare, confrontarsi, muoversi. Tutto quello che si è sempre fatto per realizzare un disco ma che spesso diamo per scontato a favore di un: “ti mando i file via internet poi ci pensi tu”. Perché, come detto, il disco è il risultato finale di un qualcosa che ora è una nostra piccola storia ispirata da quella di Jula de Palma stessa. Ovviamente non potevamo ambire ad una grande orchestra come si usava allora, ma infine abbiamo creato la nostra piccola orchestra fatta di amici musicisti bravissimi coi quali abbiamo cercato di creare un nostro mondo sonoro che fosse autentico, sincero e in qualche modo originale.
Ecco parliamo di suono: sembra davvero una commistione incredibile tra un passato da citare e un futuro da inventare. Siete nel punto centrale… ci avete mai pensato?
Se parliamo di suono credo di avere operato per esclusione su quello che non ero in grado di fare, cosa che abitualmente mi aiuta a smontare nei minimi dettagli le canzoni senza poi sapere esattamente come rimontarle come spesso accade ai bambini curiosi e smanettoni. Poi quel che succede è un po’ una magia. Se anche all’inizio avevo un’idea generale sul mondo sonoro, durante il percorso mi sono affidato a piene mani sia all’opinione di Sabrina che a quella degli altri musicisti, e amici, coinvolti. E devo dire che il titolo dell’album ci è apparso come anello di congiunzione di tutto dato che i ripensamenti sono stati tanti ma solo perché sentivamo che tutti i tasselli si stavano incastrando talmente bene che dovevamo uscire dalla nostra famosa zona di confort e abituarci al fatto che potevamo sfidare da un lato i dubbi nel cantare di Sabrina, dall’altro il mio uscire dall’elettronica per andare a scrivere delle note vere!
Che il risultato finale sia qualcosa di atemporale è forse l’obiettivo massimo che si possa raggiungere.
Penso fortemente che il passato sia il più possibile da conoscere, non fermarsi alla superficie delle nozioni da web, farsi raccontare dalla viva voce di “chi c’era”, che è un po’ come ascoltare i racconti partigiani dei nostri nonni, com’era quel tempo e quali emozioni e sensazioni si provavano senza farsi abbagliare dall’idea che “una volta era tutto meglio”. Qualcosa sicuramente lo era ma altro faceva schifo così come oggi. Quando un pezzo è brutto fa schifo in tutte le epoche. Credo che da questo possa nascere un’idea di futuro. Non basta mischiare i generi per creare qualcosa di nuovo, bisogna mischiare le vite, cosa che ultimamente è stata messa a dura prova.
Mi incuriosisce saperlo: avete cercato la novità o la storia? L’idea iniziale poi assomigliava un poco al lavoro finale?
Di mio sono sempre stato affascinato dai personaggi famosi che cercando una loro dimensione nello star-system e alla fine decidono di sparire proprio per non essere schiacciati o cambiati. Mi viene in mente, parlandone ora, che la storia di Jula di Palma che all’apice della carriera prende e se ne va, mi ricorda Mark Hollis che a sua volta sparì dalle scene senza grandi proclami ma anzi facendolo con eleganza senza che nessuno se ne accorgesse. Già questa è una storia che non è una novità e non ha a che fare con il “mi si nota di più se vengo e sto in disparte o se non vengo proprio?” di morettiana memoria.
Allo stesso modo all’inizio di tutto Sabrina ha sempre pensato a questo disco come ad un unicum per poi essere libera di sparire di nuovo.
Rispettando questo mi sono dato una ulteriore spinta a fare veramente il massimo che potevo e c’è voluto del tempo per capire l’idea generale anche se da subito, una volta scelti i primi pezzi, tutto è andato dove voleva andare senza troppi arrovellamenti.
Prezioso in questo è stato lavorare in gruppo dove a volte si perdono le origini delle idee e si mescolano a quelle degli altri musicisti e tutto diventa armonico. Ho avuto la possibilità di scegliere e questo mi ha aiutato molto a sentire meglio quello che immaginavo.
Poi c’è stata tutta la fase di ricerca dei brani che ci appartenevano di più e qualche bella scoperta inaspettata ha dato la forma al disco così come lo potete ascoltare ora.
Di nuovo a lavoro a L’Amor mio non muore. Una scelta automatica, di comodità o un luogo preciso per ospitare questo tipo di progetto?
Grazie a Roberto Villa lavoro ormai da più di 3 anni all’Amormio e la scelta è stata precisa e diretta senza indugi proprio perché quella magia la trovi solo nei luoghi giusti e con le persone giuste. E ormai è la mia seconda casa. Volevo lavorare su nastro per uscire dal work in progress fatto un po’ in casa e un po’ in studio dato che in mezzo c’è stato il mitico lockdown.
Mettere sulle 24 piste le molte tracce accumulate nel tempo per me è stata una liberazione, così come l’aver affidato il mix finale a Roberto col quale ho grandi affinità sonore e grande stima per la sua cura. È proprio il concetto di avere cura della propria musica quello che ti porta il lavorare in analogico. Non è un tempo preso a spizzichi e bocconi in mezzo al delirio quotidiano con sessioni che si aprono e chiudono per anni senza conoscere né perfezione, né concretezza, né sincerità.. Ad un certo punto sai che indietro non si torna e si devono aprire bene le orecchie e vivere le sensazioni quando si mixa sul serio. In analogico si vive il lavoro di rifinitura con grande concentrazione ma anche con divertimento performativo giocando coi riverberi a molla, gli echi a nastro e tutte quelle cose vecchie, dal suono impagabile, che abbiamo in studio.
Poi essendo L’amor mio non muore anche una piccola etichetta discografica caratterizzata dal suono analogico mi sembrava una bella proposta per lavorarci insieme e così è stato.